Ogni diamante sia tracciabile: la scelta di Tiffany in nome della sostenibilità ambientale e sociale

Da ottobre a fianco di ogni pietra preziosa superiore a 0,18 carati ci sarà una sorta di tesserino che riporterà i dettagli relativi alla provenienza e al processo di lavorazione: Tiffany è il primo marchio di gioielleria di lusso a livello mondiale a prendere una tale decisione.
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Federico Turrisi 20 Agosto 2020

Un diamante è per sempre, si sa. Quindi è meglio sceglierlo bene. Se hai visto il film "Blood Diamond" con Leonardo DiCaprio e Jennifer Connelly sai che all'interno del mondo del commercio mondiale di pietre preziose si può nascondere un forte rischio di illegalità e si può finire per alimentare un giro d'affari che coinvolge, per esempio, alcuni gruppi armati in Africa. Non vogliamo fare di tutta l'erba un fascio, ma questo rischio c'è, inutile negarlo. Perché allora le gioiellerie non espongono insieme alla loro merce anche l'identikit del singolo gioiello, fornendo informazioni sulla sua provenienza e sulla sua lavorazione? Si offrirebbe così la possibilità di ripercorrere lungo la filiera la catena di approvvigionamento del prodotto, dalla miniera fino all'utilizzatore finale.

La statunitense Tiffany (che dall'anno scorso fa parte del grande gruppo francese LVMH), ossia uno dei marchi più famosi al mondo di gioielleria di lusso, ha deciso di fare un importante passo in avanti sulla strada della trasparenza, della tracciabilità e della corporate social responsibility (Csr),  annunciando che da ottobre renderà noto l’intero percorso di lavorazione dei propri diamanti, a partire da 0,18 carati. In pratica, ciascuna pietra preziosa sarà corredata di una specie di certificato che riporta informazioni sul Paese d'origine del diamante stesso, sul luogo in cui è stato tagliato, lucidato, classificato e poi montato su un gioiello.

É la prima grande azienda del settore a farlo, e la scelta di Tiffany rappresenta un passaggio non da poco. Se i clienti infatti si dimostrano più attenti a temi quali il rispetto dell'ambiente e dei diritti umani, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo, le società e le multinazionali non potranno che adeguarsi e venire incontro a tali esigenze. Sono i consumatori consapevoli il motore del cambiamento.