Parte di una preziosa foresta in Uganda sta per essere spazzata via da una piantagione di canna da zucchero

Le associazioni continuano a opporsi, ma l’Alta Corte di Kampala e anche il re hanno dato l’autorizzazione a trasformare un’area ricca di biodiversità in una piantagione di canna da zucchero. Ora è stata lanciata una campagna chiamata “Save Bugoma Forest”.
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Sara Del Dot 22 Giugno 2020

Dell’eterna battaglia tra natura e profitto ancora non sembra possibile vedere una fine. Nonostante gli ultimi anni abbiano visto crescere la consapevolezza riguardo la necessità di tutelare e preservare il patrimonio inestimabile che il nostro Pianeta ci offre, in nome del dio denaro è ancora possibile compiere dei veri e propri scempi. Come quello che potrebbe essere presto perpetrato in Uganda.

Qui, infatti, 900 ettari di foresta tropicale che ospitano un preziosissimo tesoro di biodiversità potrebbero presto essere rasi al suolo per far spazio a una piantagione di canna da zucchero. E ad autorizzare la dannosa impresa è stata addirittura l’Alta Corte di Kampala, supportata dal re ugandese Solomon Iguru Gafabusa.

La zona in questione è una parte della foresta di Bugoma, un’area verde di 411 km quadrati nel distretto di Kikuube, nell’Uganda occidentale, che ospita un ricchissimo patrimonio naturale in cui sono presenti anche scimpanzé, elefanti e specie di uccelli molto rari.

Di questa foresta, 900 ettari lasceranno presto spazio a una piantagione di canna da zucchero, ad opera della compagnia Hoima Sugar di Mauritius, che si è aggiudicata lo spazio dopo una battaglia con Ong e conservazionisti. Da un mese, sono in corso le attività di bonifica del territorio. Ciò che ha reso legittima questa azione è stato il fatto che la zona interessata si trova nel territorio ancestrale ugandese e non all’interno dell’area protetta. Ma le associazioni hanno scelto di non arrendersi e hanno lanciato una campagna, Save Bugoma Forest, per sensibilizzare quante più persone possibili sulla necessità di tutelare questa terra e sulle conseguenze catastrofiche che queste piantagioni, presentate come un’irrinunciabile opportunità per territorio e cittadini, potrebbero comportare per l’intero ecosistema del Paese.