“Per ridurre lo spreco alimentare, bisogna pensare anche a produrre meno”: intervista a Marco Ranieri, ideatore del progetto Avanzi Popolo 2.0

Lo spreco alimentare può essere ridotto, non solo recuperando le eccedenze e distribuendole, ma anche adottando una politica di produzione “nuova”: produrre meno, per sprecare meno. intervista a Marco Ranieri, cofondatore della Onlus Farina 080 e del progetto Avanzi Popolo 2.0.
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Gaia Cortese 13 Settembre 2022

Lo spreco alimentare nel mondo ammonta a circa 1,3 miliardi di tonnellate all’anno, pari a circa un terzo della produzione totale di cibo destinato al consumo umano. Un dato che fa impressione se si considera che negli ultimi anni la crescita della povertà non ha fatto altro che aumentare (basti pensare al dato fornito dall’Istat nel 2020 secondo cui le famiglie italiane in povertà assoluta sono circa 2 milioni). Perché non siamo ancora venuti a capo su come ridurre o porre fine allo spreco alimentare?

Abbiamo incontrato Marco Ranieri, vice presidente dell’Associazione Onlus Farina 080, promotrice del progetto Avanzi Popolo 2.0.

Come è nata l’associazione Farina 080 e in seguito il progetto Avanzipopolo 2.0?

Farina 080 nasce come associazione di promozione sociale con un obiettivo chiaro: attivare azioni contro lo spreco di cibo, a partire dalla costruzione di canali di contatto tra i luoghi dove si produce lo spreco (famiglie, dettaglianti e ristoratori) e i luoghi del bisogno. Come lo facciamo? Attingendo a due risorse ampiamente inutilizzate: il cibo che rischia di essere buttato e la disponibilità di tempo della comunità.

Ogni anno un terzo della produzione alimentare mondiale, pari a 1,3 milioni di tonnellate di cibo, viene sprecata.

L’idea di Avanzi Popolo 2.0 invece è nata intorno al 2015, in concomitanza con Expo Milano dove, come associazione, abbiamo intercettato alcuni dati (FAO, 2011) sullo spreco alimentare che ci hanno lasciano atterriti: ogni anno un terzo della produzione alimentare mondiale pari a 1,3 milioni di tonnellate di cibo viene sprecato; e con il cibo sprecato in un solo anno potrebbero essere nutriti per quattro anni gli oltre 868 milioni di poveri che soffrono la fame nel mondo.

I dati da considerare sono anche quelli dell’impatto ecologico dello spreco alimentare, come il consumo di acqua: per produrre il cibo che viene sprecato in un anno, vengono impiegati 250 km3 di acqua, per farsi un'idea, pari a cinque volte il volume del Lago di Garda.

Tutto questo ci ha fatto riflettere e ci ha convinto a impegnarci nell’ambito non solo dello spreco alimentare, ma anche della sostenibilità ambientale, senza tralasciare l’aspetto culturale, perché è evidente la necessità di fare cultura anche intorno al cibo.

Con la legge 166 del 2016 ("Disposizioni concernenti la donazione e la distribuzione di prodotti alimentari e farmaceutici a fini di solidarietà sociale e per la limitazione degli sprechi") che consente il riuso delle eccedenze alimentari a fini di solidarietà, il progetto ha anche uno scopo sociale: quello che facciamo, infatti, è donare cibo alle organizzazioni che a loro volta si occupano delle persone in difficoltà.

Come spiegheresti la filosofia del “food sharing”?

Il food sharing offre la possibilità di condividere le eccedenze alimentari tra varie persone, indipendentemente dai redditi di ciascuno. Ti faccio un esempio: completata la fase di svezzamento del proprio bambino, una mamma potrebbe aver avanzato degli omogeneizzati che un'altra mamma comprerebbe al supermercato. Perché non donarli invece che buttarli via? Prima della pandemia il progetto era anche supportato da una piattaforma web che permetteva questi scambi e consentiva alle persone della comunità di relazionarsi. È stata proprio la piattaforma a permetterci di portare in Puglia un'esperienza che è nata e si è sviluppata in Germania.

Il progetto Avanzi Popolo 2.0 consente poi di mettere in relazione i luoghi spreco con i luoghi del bisogno, in una logica a km zero; in questo modo abbattiamo la co2 emessa per il ritiro delle eccedenze, i rischi della sicurezza alimentare e allo stesso tempo le aziende che donano sono soddisfatte perché possono farlo all’interno della propria comunità.

Cosa sono i "frigoriferi solidali"?

Sono normalissimi frigoriferi che abbiamo collocato in alcuni luoghi dove è possibile lasciare e prendere del cibo. La loro funzione cambia a seconda del luogo in cui si trovano: in uno sportello della Caritas, per esempio, un frigorifero solidale permette di recuperare anche frutta, verdura e fresco trasformato affinché venga distribuito alle famiglie più povere; tuttavia, un frigorifero trova posto anche in un co-working dove le eccedenze alimentari possono essere condivise tra tutti. In questo modo, si creano anche le basi per la costruzione di una comunità.

E invece cosa sono le "raccolte di quartiere"?

Non è altro che una modalità di recupero delle eccedenze alimentari. Siamo attivi su tre quartieri di Bari e funziona così: a fine giornata, verso le 19, partiamo da una parrocchia o da uno sportello della Caritas, facciamo il giro degli esercizi commerciali che aderiscono all'iniziativa e recuperiamo l’invenduto; successivamente quanto raccolto viene riconsegnato al luogo di partenza dove vengono custoditi pattini e biciclette, i mezzi che utilizziamo per spostarci quando ci occupiamo della raccolta. Durante una raccolta, infatti, abbiamo avuto la fortuna di incontrare alcuni atleti dell'Associazione sportiva dei pattinatori di Bari; si sono resi disponibili subito chiedendoci semplicemente di mettergli a disposizione degli zaini per aiutarci nella raccolta dei viveri.

Qual è stata la più grande soddisfazione che hai provato da quando è nato il progetto?

Non ci occupiamo della distribuzione diretta dei viveri, ma fin da subito è stato davvero emozionante il lavoro di costruzione delle raccolte di quartiere. È stato bello vedere l'entusiasmo degli esercizi commerciali, orgogliosi di contribuire al benessere del proprio quartiere. E poi c'è stata grande sorpresa e soddisfazione anche nel ricevere nel 2018 la chiamata dal Presidente Mattarella per ricevere l'onorificenza come Cavaliere dell’Ordine al merito della Repubblica “per l’appassionato impegno nel recupero e redistribuzione degli alimenti e nella promozione dell’educazione contro lo spreco”.

Poi abbiamo avviato anche il progetto dello School Sharing, un progetto con le scuole che al di là della dimensione laboratoriale, in cui vengono spiegati argomenti come lo spreco alimentare (come leggere etichette e scadenze, come funziona il frigorifero, etc.)  prevede anche la collocazione di una dispensa nella scuola dove i bambini portano il cibo in eccesso che trovano a casa: può trattarsi per esempio di merendine e biscotti che vengono scambiati durante la merenda per rendere questo momento della giornata ancora più conviviale. Oltre a questo, i bambini imparano anche gestire la dispensa, il cui contenuto viene  donato poi alla Caritas, in ottica di quell'educazione all’impegno alla solidarietà che dovrebbe essere materia scolastica.

Cosa pensi dell’iniziativa sempre più diffusa del carrello solidale nei supermercati e nei centri commerciali?

Il rischio è che la questione della povertà si mangi l’elemento ecologico dello spreco alimentare. Voglio dire che i vari "Dona cibo" sono utili, ma non sono una forma di contrasto allo spreco, bensì compartecipano in qualche modo a una logica di iper consumo. In pratica compro un barattolo di salsa di pomodoro in più per donarla: di certo le varie coop saranno contente di ospitare queste giornate, ma questo non funziona nell'ottica della lotta allo spreco alimentare.

Nell’ottica del contenimento dello spreco alimentare, si deve considerare anche il produrre meno per avere meno. Fino ad oggi il sistema si è interrogato su uno spreco già dato per certo, mentre il tema è arrivare a ridurre lo spreco a monte. Per questo stiamo lavorando con il Comune di Bari per creare una vera e propria food policy che punti a ridurre la produzione alimentare oltre che a ridurre gli sprechi.