Perché la caccia ai trofei è da abolire e l’ecoturismo può essere una valida alternativa

Tremila dollari per uccidere una giraffa, 70 mila per un leone. Le somme di denaro che girano nell’ambiente dei cacciatori ai trofei sono ingenti, ma pensare che sia una risorsa economica troppo preziosa per rinunciarci è un grave errore. Un’alternativa esiste.
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Gaia Cortese 25 Maggio 2022

Può un'attività crudele e immorale essere allo stesso tempo legale? Quando si parla di caccia ai trofei, sì. Ed è una vergogna. Perché se questa attività è legale, e quindi regolamentata da una legge, non può passare il messaggio che uccidere un animale per appenderne la testa ad una parete sia in qualche modo giustificabile.

Ogni anno centinaia di migliaia di animali selvatici, comprese le specie minacciate o in via di estinzione, vengono uccise in tutto il mondo dai cacciatori di trofei, disposti a pagare ingenti somme di denaro per sparare a grandi mammiferi da esibire sulla parete o il pavimento di casa, una volta importati nel proprio paese di origine.

E quando si parla di ingenti somme di denaro lo sono veramente. Uccidere una giraffa dopo averla inseguita fino a sfinirla a bordo di un SUV può costare fino a 3000 dollari, ma si può arrivare a spendere fino a 50mila dollari per ammazzare un elefante o a 70 mila dollari per un rinoceronte bianco. Ma ci sono delle alternative? Per trovarle è necessario avere consapevolezza dell'immoralità di tale fenomeno, l'unica strada da percorrere per poter porre fine a questo orrore.

La caccia al leone in scatola

Uccidere un leone adulto, meglio ancora se un maschio alfa, è poi il sogno della maggior parte dei cacciatori. In Sudafrica, per esempio, pur aggiudicarsi il trofeo e farlo con poca fatica, molti cacciatori scelgono di acquistare un pacchetto per poche migliaia di euro per la cosiddetta "caccia al leone in scatola" (dall’inglese canned lion hunting).

In pratica, quegli stessi leoni che, ancora cuccioli, vengono coccolati, accarezzati e fotografati dai turisti, hanno davanti a sé un destino infausto. Dopo essere stati allevati in cattività e sfruttati a scopo di lucro per l’intera esistenza, vengono destinati alla caccia in scatola.  e quindi rilasciati in un’area di caccia meno di sette giorni prima della battuta, sedati o attirati con delle esche, in modo che il risultato finale, ossia il trofeo da portare a casa, sia garantito al 99 per cento perché da quell’area recintata quei leoni non usciranno più, se non da morti.

Leoni, elefanti, leopardi, rinoceronte bufali del Capo sono considerati i "Big five", ossia i cinque trofei più ambiti dai cacciatori in Africa.

Esistono poi vere e proprie convention e fiere dedicate alla caccia ai trofei, che generano oltretutto considerevoli profitti, dove gli animali da sacrificare compaiono in una sorta di catalogo: la differenza di prezzo la fanno l’età dell'animale, le sue dimensioni, la qualità della criniera e via dicendo.

Il Safari Club International (SCI), che ha rimpiazzato il più datato Roland Ward, arriva a stabilire le minime dimensioni di trofeo, assicurando perciò che esemplari al di sotto di una certa età non vengano cacciati. Ciò significa che altri animali, superata una certa soglia di età, possono trasformarsi in trofei di caccia?

Europa e Italia, il triste primato per importazioni di trofei

Se gli Stati Uniti sono noti per essere i maggiori importatori di trofei di caccia, l’Europa non è da meno e si piazza subito dietro gli USA. Secondo quanto dichiarato dalla HSI (Humane Society International – Europe), dal 2014 al 2018 solo in Europa sono stati importati quasi 15 mila trofei di caccia di 73 specie di mammiferi di medio-grandi dimensioni. E l’Italia? Il nostro paese è il primo importatore di trofei di ippopotamo, il quarto di leoni africani e il quinto di elefanti africani; tutto per poter esibire denti e artigli, teste imbalsamate, code ed ossa tra le quattro mura domestiche.

Quanto frutta la caccia ai trofei?

La caccia ai trofei è una vera e propria industria e come è stato sottolineato precedentemente è un commercio legale, sostenuto dagli interessi economici non solo degli allevamenti, delle agenzie e delle compagnie di caccia, ma anche degli stessi governi dei Paesi dove si pratica la caccia ai trofei.

Non solo. A difesa della caccia ai trofei  è stato anche detto che si tratta di un’attività utile a sostenere l’economia locale: secondo quanto dichiarato dal Safari Club International, per esempio, la caccia ai trofei in alcuni Paesi africani (Botswana, Etiopia, Mozambico, Namibia, Sud Africa, Tanzania, Zambia e Zimbabwe) non solo ogni anno produce benefici economici per più di 400 milioni di dollari, ma crea anche occupazione per 53mila posti di lavoro.

In verità i numeri sarebbero da ridimensionare in quanto i vantaggi economici legati alla caccia ai trofei si aggirano sui 132 milioni di dollari l’anno, e i posti di lavoro garantiti da questa attività sono tra i 7.500 e i 15.500.

L'ecoturismo è l'alternativa (ed è più vantaggiosa)

Negli otto Paesi presi in considerazione, il turismo rappresenta tra il 2,8 al 5,1% del Pil, ma solo lo 0,03% è generato dai cacciatori di trofei. Un contributo, oltretutto, nettamente inferiore a quello prodotto dall’ecoturismo, ovvero dall’osservazione diretta della fauna selvatica.

Un esempio particolarmente esplicativo è dato da un rapporto del 2014 del The David Sheldrick Wildlife Trust che ha rilevato che il valore di un singolo elefante nell'ambito del turismo è di 22.966 dollari l'anno o 1,6 milioni di dollari nel corso della vita, mentre il valore grezzo medio dell'avorio ottenuto da un singolo elefante è di  21mila dollari. In poche parole, un elefante che può essere osservato in natura e fotografato per tutta la sua vita porta molto più valore economico di un elefante ucciso da un singolo cacciatore di trofei o bracconiere.

La proposta di legge per abolire la caccia ai trofei

Recentemente è stata presentata la prima proposta di legge per fermare il commercio dei trofei di caccia in Italia (qui il link della petizione). la proposta è stata presentata dopo che la Humane Society International – Europe nel 2021 ha pubblicato il report “I numeri della caccia al trofeo: il ruolo dell’Unione Europea nella caccia al trofeo a livello mondiale”, da cui sono emerse tutte le responsabilità dell’Italia.

La proposta di legge prevede il divieto di importazione, esportazione e ri-esportazione da e per l’Italia dei trofei di caccia di specie protette ai sensi della Convenzione sul commercio internazionale delle specie minacciate di estinzione (CITES); in caso di violazione del divieto, la pena prevede l’arresto fino a tre anni e un’ammenda fino a 200mila euro e 300mila euro in casi di recidiva, nonché la confisca dei trofei di caccia che, sentita la Commissione CITES, saranno distrutti o utilizzati a fini didattici.