Tra le soluzioni impiegate per rendere più sostenibile la nostra presenza sul Pianeta c’è l’uso di piatti, bicchieri e posate “bio”. L’utilizzo cioè di prodotti realizzati con materiali capaci di decomporsi attraverso l’azione di microorganismi come batteri e funghi e diventare così elementi naturali.
Ti sarà certamente capitato di leggere sulle etichette che quelle che stai utilizzando sono posate compostabili, biodegradabili o magari riutilizzabili. Scommetto però che non sempre ti è chiaro cosa significhino davvero questi termini.
Tranquillo: farsi prendere dalla confusione è facile e normale ma può portare a commettere un errore e a smaltire questi oggetti nel modo sbagliato. Imparare a riconoscerli e a trattarli nel modo giusto è fondamentale per i sistemi (e gli obiettivi) della raccolta differenziata.
Prima però la teoria. Quando senti parlare di materiali compostabili devi pensare a quei materiali che possono decomporsi completamente in un ambiente di compostaggio diventando quindi compost, cioè un materiale ricco di nutrienti che può essere utilizzato per un secondo scopo, magari per fertilizzare e arricchire il suolo.
Quelli biodegradabili invece sono più genericamente tutti quei materiali che possono essere decomposti in modo naturale attraverso l’azione di microorganismi come batteri e funghi. Ti starai chiedendo qual è la differenza.
Tieni presene che un materiale per essere compostabile deve essere necessariamente biodegradabile ma, al contrario, uno biodegradabile non è per forza anche compostabile: ci sono infatti dei materiali che potrebbero non degradarsi sufficientemente durante i processi di compostaggio.
La differenza tra compostabile e riciclabile sta dunque nei tempi della degradazione: per essere considerato compostabile, un prodotto deve decomporsi entro un periodo di tempo specifico senza lasciare residui tossici: di solito si tratta di 90 giorni.
I materiali riutilizzabili, invece, sono tutti quei materiali realizzati appositamente per essere impiegati più volte nel corso della loro vita prima di essere smaltiti. Si tratta anch’essa di una soluzione sostenibile perché permette di ridurre la quantità di rifiuti prodotti e diminuire quindi la piaga dell’inquinamento.
E ora la pratica: dove si buttano questi materiali, una volta finito di utilizzarli? Saperlo – e quindi non sbagliare – è cruciale per massimizzare i benefici ambientali di questi oggetti e contribuire attivamente a una maggior sostenibilità delle nostre attività quotidiane.
Perciò ricorda che se sull’etichetta della confezione è specificato che si tratta di prodotti compostabili, puoi tranquillamente gettare piatti e bicchieri nella raccolta dell’umido perché nel giro di pochi giorni si decomporranno diventando umido al pari, per esempio, di un rifiuto organico o alimentare.
Per non confonderti, fai attenzione alla presenza sull’etichetta dell’indicazioni UNI EN13432. Si tratta della normativa che specifica le caratteristiche che un imballaggio o un prodotto deve avere per potersi definire biodegradabile e compostabile. Se c’è, vuol dire che puoi buttarli nell’umido.
Ricordi cosa ti ho detto prima? Non tutti i materiali biodegradabili sono anche compostabili. Tienilo a mente perché potrebbe capitarti di avere tra le mani piatti, bicchieri e posate “bio” e rischiare comunque di sbagliare.
Ci sono oggetti, infatti, che sulla confezione sono etichettati come biodegradabili perché, effettivamente, sono realizzati con materiali “bio” e non con plastiche di origine fossile. Può essere, tuttavia, che questi non si decompongano in tempi rapidi diventando compost.
Può capitare insomma che siano realizzati con materiali capaci di deteriorasi se a contatto con funghi e microrganismi naturali senza però trasformarsi in materia compostabile insieme a tutto il resto che butti nella raccolta dell’umido.
Il fatto che sia biodegradabile, dunque, non significa automaticamente che sia anche compostabile e per questo quello specifico rifiuto andrebbe smaltito in maniera diversa: nell’organico bensì nell’indifferenziato.
La dicitura biodegradabile spesso induce a pensare che quel materiale sia sicuro per l’ambiente ma ora sai che realmente come funziona e dove è giusto smaltirlo.
Fonte | Tecnopolo Bologna – CNR