
Un anno dopo, sull’Isola del Giglio, i mufloni tornano ad essere nel mirino. Introdotti sull’isola con lo scopo di conservarne la specie, vengono considerati una specie aliena invasiva e, pertanto, un pericolo per la biodiversità e l’agricoltura locali.
Succede quindi che venga approvato dalla giunta della Regione Toscana il “Piano di prelievo del muflone 2022-2023”, un documento che consente di abbattere i mufloni fino al 15 marzo 2023, senza distinzioni di sesso e di età.
In una diffida indirizzata al Presidente della Regione Toscana, al Presidente della Provincia di Grosseto, al sindaco del Giglio e all’Ente Parco Aricpelago Toscano, la Lega italiana per la Difesa degli Animali e dell’Ambiente (LEIDAA) e l’Organizzazione internazionale protezione animali (OIPA) hanno chiesto di “revocare il provvedimento, e tutti gli atti conseguenti, aventi ad oggetto l'abbattimento dei mufloni dell'isola del Giglio, provvedendo all'adozione di misure di contenimento alternative valide e non cruente, capaci di tutelare la vita di altre specie, nel rispetto dei principi di cui alla normativa comunitaria, della Carta Costituzionale e dell'opinione pubblica, nettamente schierata per la tutela di questa specie".
Non solo. Le due associazioni hanno ricordato che "a seguito di rimostranze da parte di cittadini e associazioni protezionistiche, l'Ente Parco aveva accettato di sospendere gli abbattimenti procedendo alla cattura degli animali per il loro trasferimento e sterilizzazione fuori dall'isola, in luoghi protetti, ma di tutto questo, a distanza di quasi un anno, nonostante anche l'impegno espressamente assunto dall'Ente in sedi pubbliche parlamentari, non è seguito alcun aggiornamento, non sono stati forniti dati relativi alle modalità di cattura e trasferimento dei mufloni dell'isola del Giglio e al monitoraggio degli esemplari ancora presenti: in altre parole, non si è avuto più alcun riscontro delle attività o, comunque, dei tentativi idonei ad applicare in primis dei metodi alternativi incruenti all'abbattimento degli ultimi esemplari rimasti”.
“Il problema dei mufloni esiste da tempo – ha dichiarato Claudia Taccani, Responsabile Sportello Legale OIPA Italia -. In passato altre associazioni sono intervenute trasferendo alcuni esemplari in riserve e aree protette e quindi sottraendoli dall’abbattimento. Purtroppo per altri esemplari la sorte è differente perché l'abbattimento è previsto e autorizzato con delibera dalla Regione Toscana e prevede la possibilità di abbattere i capi fino al prossimo 15 marzo, senza alcuna distinzione, quindi nel “calderone” rientrano maschi, femmine (anche gravide) e giovani esemplari. Eppure, l’attuale progetto "Let’s Go Giglio. Less alien species in the Tuscan Archipelago: new actions to protect Giglio island habitats", che stanzia fondi per poter monitorare le specie aliene potenzialmente invasive, si basa sul regolamento UE 1143/2014 che prevede l’applicazione in primis di misure non cruente di contenimento".
“Quello che ci ha lasciato stupiti e che abbiamo riportato nella diffida presentata – continua Claudia Taccani -, è che da uno studio pubblicato sulla rivista specializzata Diversity è emerso che questi mufloni hanno un DNA ancestrale, scomparso dai mufloni della Sardegna, ma conservato in questi esemplari, a loro volta frutto di un progetto di salvataggio attuato in Sardegna”.
Oipa e Leeida hanno chiesto di revocare la disposizione di abbattimento e di mettere in pratica delle misure alternative, come allargare l’attuale territorio del parco, o prelevare dei mufloni e spostarli in zone più idonee in modo che il numero di esemplari venga contenuto.
“Tra le pratiche di contenimento c’è per esempio la sterilizzazione – spiega la Taccani -. D'altro canto il regolamento comunitario su cui si basa il progetto Let’s go Giglio prevede l'eradicazione della specie aliena, prediligendo l’applicazione di misure alternative all’abbattimento. Lo stesso regolamento richiede che venga dimostrata questa incompatibilità della specie aliena sul territorio e finora, questi effetti dannosi sull'isola del Giglio non sono stati provati. Gli stessi agricoltori che sono stati sentiti a riguardo hanno sconfessato queste problematiche, quindi non c’è prova del danno".