Quanta plastica c’è in mare? A dircelo potrebbero essere le tartarughe marine

Uno studio condotto da alcuni ricercatori dell’Università di Bologna in collaborazione con la Fondazione Cetacea, presenta dei risultati preoccupanti: su 45 tartarughe analizzate, tutte presentavano detriti plastici nelle feci.
Entra nel nuovo canale WhatsApp di Ohga
Sara Del Dot 23 Febbraio 2021

Le abbiamo viste intrappolate nelle reti abbandonate o catturate per errore durante attività di pesca, le abbiamo viste spiaggiate agonizzanti sui litorali avvolte da spaghi o fili di plastica, le abbiamo sapute morte con lo stomaco pieno di rifiuti ingeriti perché, forse, sembravano loro del cibo.

Le tartarughe marine sono tra le vittime primarie dell’inquinamento da plastica che affligge i mari, e proprio per questo potrebbero rappresentare un efficace termometro della situazione dello stato di salute dei mari.

A testimoniarlo è stato un gruppo di studiosi dell’Università di Bologna che ha analizzato 45 esemplari ospiti dell’ospedale delle tartarughe della Fondazione Cetacea di Riccione, partner della ricerca, pubblicandone i risultati su Frontiers in Marine Science in uno studio dal titolo “Impact of Plastic Debris on the Gut Microbiota of Caretta Caretta from Northwestern Adriatic Sea”.

L’esito dell’analisi è, purtroppo, inequivocabile: infatti, nelle feci di ciascun esemplare era presente della plastica in varie quantità e tipologie. Una situazione tanto prevedibile quanto pericolosa, dal momento che pare che questo materiale può alterare il microbiota degli animali compromettendone la salute e, bloccandosi in fondo all’intestino, può facilmente danneggiarne i tessuti creando problemi al funzionamento dell’organismo.

I risultati, poi, forniscono un’ennesima testimonianza dello stato di inquinamento del mar Adriatico, che già si sapeva fortemente compromesso. La presenza così pervasiva di plastica nell’ecosistema marino lascia presagire che non ci sia scampo per alcuna forma di vita presente in mare, dalle tartarughe ai pesci che mangiamo. In sostanza, questo materiale è ormai ben radicato all’interno della nostra catena alimentare. Come testimoniano le 45 Caretta Caretta.