Raccogliamo l’acqua come fanno i cittadini di Tucson: un esempio che tutti possono imitare

Tuscon (Arizona) è una città che sorge nel deserto e dove la principale fonte idrica si trova a 540 chilometri di distanza. Ma un gruppo di cittadini ha dato il via a un sistema di raccolta e riuso dell’acqua piovana e delle acque grigie che ha permesso di far rifiorire gli spazi verdi. Non solo. Oggi queste piccole foreste urbane sono anche fonte di cibo.
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Giulia Dallagiovanna 29 Marzo 2023

Tucson è la seconda città più popolosa dell'Arizona. Si trova a due passi dal confine con il Messico e se la cerchi su Google Maps, vedrai una grande distesa marrone chiaro. Tuscon infatti sorge in un ambiente desertico e deve convivere con un clima desertico, con temperature che in estate superano i 38 gradi. Entro il 2050, il termometro potrebbe segnare 40 gradi e mezzo per almeno un terzo dei giorni dell'anno. A Tucson cadono in media 280 millimetri di pioggia, meno della metà rispetto all'Italia. Come potrai immaginare, qui l'acqua è già l'oro blu. La principale font di approvvigionamento idrico ad oggi è il Colorado, che arriva fin qui lungo il canale Central Arizona Project, grazie a un sistema di pompaggio che lo spinge per ben 540 chilometri. Ma questo grande fiume oggi è a secco.

Ecco perché quello che sta accadendo a Tucson è un esempio di cui prendere nota. Una rivoluzione lenta, green e nata dal basso che prova a fornire la risposta a una domanda che prima o poi rischiamo di doverci fare tutti: da dove prendo l'acqua per bere e per lavarmi?

L'idea è semplice e nasce dall'intuizione di Brad Lancaster, un cittadino residente nel quartiere di Dunbar Springs: raccogliere meglio e ottimizzare l'uso di tutta l'acqua che abbiamo a disposizione a stretto giro. Quella più vicino a noi, insomma: l'acqua piovana e l'acqua grigia, derivante dagli scarti domestici (in altre parole, la corrente che scorre via mentre ti stai facendo la doccia) o dalla condensa generata dagli impianti di climatizzazione ad aria.

La prima mossa, Lancaster la fa già negli anni '80, quando, in via non esattamente legale, inizia a tracciare dei piccoli solchi nei marciapiedi per dirigere la pioggia verso i bordi delle strade e, in seguito, verso piante, aiuole e parchi nelle vicinanze. Questo gesto quasi banale in realtà ha radici antiche: gli agricoltori dell'Arizona erano da sempre abituati a immagazzinare, filtrare e riutilizzare l'acqua piovana per uso domestico, per l'irrigazione e persino per bere.

Nel tempo, il problema della carenza idrica è andato peggiorando. Ti basti sapere che dal 2020 l'Arizona, assieme a Texas, California e Oregon stanno affrontando quella che la rivista scientifica Nature ha chiamato una "mega-siccità": la peggiore degli ultimi 1.200 anni. Sulla spinta della necessità, sempre più persone hanno avviato iniziative simili. Non solo a Tucson, ma più o meno in tutto il Paese, dalle terre dei nativi americani fino alle grandi città moderne e assetate.

Il sistema non ancora standardizzato prevede di raccogliere l'acqua ovunque questa cada: sui tetti, nei giardini, lungo le strade e così via. Grondaie, canali e solchi la incanalano artificiali la incanalano verso cisterne o serbatoi, dove viene fitrata e poi avviata al riutilizzo. Oppure, viene intercettata passivamente, sfruttando la configurazione del terreno e la creazione di pendii e bacini naturali, in modo che venga deviata subito verso vegetazione e spazi verdi, senza disperdere nemmeno una goccia. Nessun grande impianto, nessuna tecnologia costosa. Una riorganizzazione alla portata di tutti. Captare l'acqua piovana e le acque grigie, insieme alla coltivazione di piante autoctone resilienti alla siccità, può portare a ridurre il consumo di acqua da altre fonti come fiumi e falde sotterranee.

E a proposito di piante, attorno al 1996 gli attivisti di Tucson hanno dato vita all'organizzazione Dunbar/Spring Neighborhood Foresters e avviato iniziative di riforestazione urbana molto particolari. Gli alberi infatti vengono irrigati attraverso il sistema che ti abbiamo appena descritto e, in cambio, restituiscono ombra refrigerante e soprattutto cibo. Proprio così, Lancaster l'ha definita una specie di "dipensa vivente". Ogni blocco di piante conta circa 100 specie differenti di alberi, cespugli, arbusti e fiori. Da qui provengono frutta, verdura e bacche che finiscono poi nelle dispense dei residenti, ma anche agli animali come foraggio.

Secondo i promotori, questa piccola rivoluzione urbana fondata su una sorta di agricoltura pluviale permetterebbe anche ai centri abitati più aridi di far fronte ai deficit idrici, destinati a peggiorare nei prossimi anni. "L'acqua piovana dovrebbe essere la fonte primaria per l'approvvigionamento di ogni abitazione ed edificio", ha sostenuto Lancaster parlando al Washington Post.

A Tucson il primo impianto vero e proprio è stato installato nel 2008, sulla spinta del movimento cittadino che nel frattempo si era venuto a creare. Nel 2012 poi questo sistema è entrato a far parte di un programma di agevolazioni destinate a raggiungere l'obiettivo città carbon neutral entro il 2030. Nel frattempo, poi, si è provveduto anche alla costruzione di bacini più grandi e piccole dighe rocciose per contenere e immagazzinare l'acqua proveniente dalle inondazioni, che durante la stagione dei monsoni interessano questa parte di Stati Uniti.

A livello legislativo, nella città sono stati approvati i primi mandati di raccolta dell'acqua piovana di tutta l'Arizona ed è stato ordinato agli esercizi commerciali di arrivare basare il 50% del proprio consumo idrico su questa risorsa. Va detto, però, che queste regole sono in gran parte rimaste inapplicate.

Intanto, il sistema partito da Tucson è stato sfruttato dalle comunità Navajo. Dopo che il Navajo Water project aveva rilevato come il 30% di nativi americani della zona non avesse garantito un accesso sicuro all'acqua, l'ong Native Seeds of Harmony ha sfruttato i 72mila dollari concessi dal First Nations Development Institute (organizzazione senza scopo di lucro che supporta queste comunità) per avviare tre progetti di captazione dell'acqua piovana. Ne hanno beneficiato tre imprese agricole che non avevano più alcuna fonte di approvvigionamento. Un altro gruppo, Nihikeya, ha invece approfittato dei finanziamenti erogati durante l'emergenza Covid per installare grondaie in 69 fattorie Navajo. Questi canali alimentano serbatoi mobili, trasportabili su pickup e ricaricabili quando non piove. Il tutto tenendo conto anche di elementi naturali con cui gli agricoltori interagiscono ogni giorno: sole e vento.

L'Italia nel 2022 ha affrontato l'anno più caldo di sempre, con il 45% di pioggia in meno rispetto alla media. Negli ultimi 6 anni si sono già verificati tre eventi estremi di questo tipo e ci stiamo avvicinando all'estate con il Po in secca e le Alpi senza neve. Un giorno, forse, anche cercando il nostro Paese su Google Maps potremmo trovarci di fronte una distesa marroncina e arida. Mentre il governo sembra aver accolto il piano invasi proposto da Coldiretti e ANBI e destinato ai campi, ciascuno di noi può fare qualcosa per gestire il proprio consumo domestico. Quello di Tucson, di una città che sorge in mezzo al deserto, potrebbe davvero diventare un esempio da imitare.