Raoul Tiraboschi (Slow Food) a Ohga: “No, la sovranità alimentare non è il Made in Italy”

Se anche tu ti sei chiesto cosa significhi sovranità alimentare, confuso dal dibattito a cui abbiamo assistito nell’ultimo periodo, abbiamo provato a fare qualche chiarimento insieme al vicepresidente di Slow Food Raoul Tiraboschi.
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Francesco Castagna 24 Novembre 2022
Intervista a Raoul Tiraboschi Vicepresidente Slowfood

Sovranità alimentare, Made in Italy, l'ultimo mese si è riempito di termini che rimandano a una visione molto patriottica dell'Italia. Ma cosa significano e in che contesto devono essere utilizzati? I sistemi alimentari sono l'insieme di attività coinvolte nella produzione, nella lavorazione, nel trasporto e nel consumo di cibo. La loro organizzazione e programmazione è fondamentale, perché nel 2022 non esiste ancora una politica internazionale capace di organizzare le reti per produrre e trasformare il cibo e fare in modo che poi arrivi al consumatore. Questi canali non funzionano, a dimostrarlo è il fatto che, secondo l'ultimo rapporto UNEP e della FAO "lo spreco alimentare ha raggiunto la soglia del 31% del totale della produzione destinata agli esseri umano: il 14% viene perso prima ancora di arrivare nella case dei cittadini, e il 17% viene invece sprecato"

811 milioni di persone al mondo soffrano di fame cronica, secondo l'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'alimentazione e l'agricoltura (FAO). Un modello da riscrivere, soprattutto perché gli Stati membri delle Nazioni Unite devono impegnarsi nel rispettare gli obiettivi previsti dall'Agenda 2030. Tra questi infatti, il secondo obiettivo è quello di porre fine alla fame, raggiungere la sicurezza alimentare, migliorare la nutrizione e promuovere un’agricoltura sostenibile. Anche perché, segnala il World Food Programme "l'aumento nella domanda mondiale di cibo che richiederà sistemi alimentari più solidi entro il 2030 è stimato del 35%", mentre -aggiunge il WFP,  "il 40% di vantaggi nei costi e nell'efficienza derivano dai ‘segmenti intermedi' – come trasporto, immagazzinamento, lavorazione e vendita al dettaglio".

Per raggiungere il goal Fame Zero sono tante le politiche che devono essere prese in considerazione, a cominciare dalla revisione e organizzazione dei sistemi alimentari. Servono modelli di produzione che non inquinino più come quelli attuali, ma che tengano conto del fatto che un'agricoltura e un allevamento di sussistenza partono anche dal concetto di produzione nazionale.

Da questo assunto si capisce già che tutto ciò che viene presentato come tutela di una cultura alimentare identitaria, o Made in Italy, poco ha a che vedere con il concetto di Sovranità alimentare. 

Tale definizione invece rimanda a una serie di concetti di diverso tipo come la promozione del Chilometro Zero; la promozione di cibo nutriente prodotto a livello locale; il potenziamento delle riserve pubbliche di cibo e il sostegno ai piccoli agricoltori tramite la facilitazione dell'accesso al credito, lo sviluppo di capacità e l'accesso ai mercati. Non c'è nulla di identitario in questa concezione quindi, bensì di metodologico. È il metodo infatti, come ti ho detto prima, a essere sbagliato. Secondo le stime del report UNEP e della FAO, "l'8-10% delle emissioni globali di gas serra è associato al cibo che non viene consumato".

Per questo motivo, noi di Ohga abbiamo voluto chiarire alcuni aspetti insieme a Raoul Tiraboschi, vicepresidente di Slow Food, associazione internazionale no profit che mira a  ridare il giusto valore al cibo, nel rispetto di chi produce, in armonia con ambiente ed ecosistemi.

In piena crisi climatica, consapevoli che le nostre coltivazioni negli anni cambieranno perché ci dovremo abituare a nuove temperature, ha ancora senso parlare di sovranità alimentare?

È un tema talmente quotidiano e in costante aggiornamento. Questa Cop è ancora molto lontana, a mio parere, dal ragionare su temi del genere. La tematica della sovranità alimentare è tirata da tutti i lati fino alla sovranità in maniera più autarchica. Io penso semplicemente che parlare di sovranità alimentare significhi prendere atto che il nostro mare, il Mediterraneo, sta subendo un aumento delle temperature che più o meno sono del 20% più alto rispetto alle altre aree del Pianeta. Nel 2022 il Mediterraneo è davvero cambiato in maniera tangibile.

Questo ha avuto un impatto sul nostro Paese a cascata. Non possiamo aumentare più di tanto le nostre superfici coltivabili per vari motivi, quelli rimasti incolti sono pochi ormai. Immaginare che l'Italia sia autonoma dal punto di vista produttivo, oltre che essere impossibile è un'utopia assurda.

Tra l'altro c'è la questione siccità..

Anche e soprattutto. Quest'estate a Cremona è stato seminato del grano antico, che non ha subito la siccità rispetto ad altri tipi di grano. È un grano geneticamente nato per resistere alla mancanza di acqua. Il tema però dobbiamo guardarlo in modo più ampio, cioè noi non possiamo immaginare la sovranità nel senso di autonomia, ma possiamo farlo come aumento delle relazioni tra i Paesi vicini e pianificazione più ampia di quella nazionale, e quindi regionale. Noi tra Paesi dobbiamo costruire un percorso per il quale la sovranità va intesa non come autosussistenza ma come pianificazione. La prima non ha senso, mentre la seconda potrebbe risolvere molti problemi. Come farlo in questo momento in cui i cambiamenti climatici sono importanti?

Io credo molto nei partnerariati. L'Unione Europea può fare un lavoro straordinario da questo punto di vista. Una complementarità più ampia, un ritorno della politica. Una pianificazione più ampia, intesa come visione da qui a dieci anni. Questo è determinante nel tema della sovranità alimentare, intesa come sostegno alle produzioni locali e dall'altro lato una liberalizzazione che è andata a distruggere produzioni piccole che rappresentano un concetto storico. Le due cose devono tenersi insieme.

Quindi? 

Quindi una sovranità 4.0 deve essere necessariamente una sovranità allargata. È molto interessante il percorso che è stato fatto nel 1996 con Via Campesina con la rete mondiale dei piccoli produttori e la prima definizione di sovranità alimentare, fino a quello che è oggi. Sono passati anni, è cambiato il millennio e questo concetto ora può assumere tematiche molto diverse e inquadramenti molto diversi. Bisogna essere molto concreti e dire che sovranità significa ora complementarità.

È lecito affermare che sovranità alimentare è un concetto molto diverso dal Made in Italy?

Assolutamente. Molto diverso. Anzi, diciamo che non c'entrano nulla. Ci sono delle parole come eccellenza, tipicità, qualità, che sono termini che vanno normalmente a identificare il Made in Italy. Ecco, io parto dai presidi Slow Food, che sono un esempio di Made in Italy, dove questo concetto è rappresentato da un percorso culturale. Il paesaggio e il tessuto agricolo raccontano il prodotto e la cultura di quel prodotto.

La sovranità alimentare non è espressione del prodotto in sé ma di un ragionamento più ampio. Faccio un esempio: ci sono diverse aziende che producono prodotti italiani, ma un conto è la produzione e un conto è il percorso con cui si crea una cultura del prodotto, una convivialità, una storia.

Un commento sulla Cop27?

Io penso semplicemente, senza troppe polemiche, che si è vista l'assenza della nostra Presidente del Consiglio Giorgia Meloni e del neo ministro dell'Ambiente Pichetto Fratin. La Germania, l'Olanda, il Belgio, la Spagna, la Francia etc. si sono seduti ai tavoli, e questo ha avuto un peso. Significa che è stato dato un ruolo importante ad Alessandro Modiano, ma la parte politica è mancata. Non siamo stati a capo di un negoziato.

Anche voi avete parlato di difficoltà di accesso al cibo. Abbiamo raggiunto da poco gli otto miliardi di persone, come si immagina gli scenari futuri?

Il Pianeta terra produce cibo per diversi miliardi di persone in più rispetto a quelle che sono nate oggi. Abbiamo anche 800 milioni di persone che soffrono la fame, una cifra spaventosa. Io mi rifaccio molto a quello che sostiene il professor Segre di Bologna, che parla di ius cibi. Il tema è cominciare a sprecare meno, perché questo è già un primo passaggio. Poi bisogna assolutamente agire sul land grabbing, il fenomeno con cui gli investitori cercano dove coltivare cibo per l'esportazione. Molti Paesi africani producono cibo che non resta in Africa, viene portato fuori ed è una grandissima ingiustizia. È una forma di colonialismo degli ultimi 30 anni.

La questione è smettere di inseguire la produttività, ridurre gli sprechi e cercare di rendere questa agricoltura più sostenibile. È nei Paesi in cui c'è un problema di carestia che bisogna parlare di sovranità alimentare. Significa valorizzare il più possibile la produzione di quei Paesi, attraverso un aiuto tecnologico ed economico. Dall'altro lato sopperire attraverso strumenti di partenariato, che permettono un sostegno reciproco. Dove non è più possibile e/o è più difficile coltivare è necessario che gli agricoltori siano sostenuti.

Chiudiamo con una provocazione. Secondo lei -se strutturata bene- una filiera di carne sintetica rientrerebbe nella vostra concezione di sovranità alimentare?

Slow Food ancora su questo non si è espresso. La mia opinione è che la campagna che sta facendo Coldiretti, sotto questo punto di vista, sia sacrosanta. Noi non possiamo immaginare, al netto della verifica e della sostenibilità, io credo che il cibo abbia una filiera non solo ingegnerizzata ma anche culturale e sociale. Noi dobbiamo non tanto puntare il dito sulla produzione di carne e di cibo sintetico, ma valorizzare quello che già c'è, perché sia sempre più conosciuto, valorizzato e protetto. Credo che i produttori oggi stiano facendo un lavoro di presidio del territorio e di cura del nostro futuro che deve essere preservato.