Per la giornata mondiale del riciclo, la cui ricorrenza cade proprio oggi 18 marzo, abbiamo deciso di parlarti di una realtà molto particolare che unisce inclusione sociale e rispetto dell'ambiente. Dare una seconda opportunità, una seconda chance, è una sorta di manifesto programmatico per Made in Carcere, la creatura concepita e fatta crescere da Luciana Delle Donne. Gli oggetti venduti con il marchio Made in Carcere sono semplici, se vogliamo: borse, custodie, portachiavi, braccialetti e altri accessori. Ma dietro c'è tutto un mondo. Infatti questi prodotti sono realizzati da donne detenute di diversi carceri in Puglia – Lecce, Bari, Taranto, Trani e da poco si è aggiunto anche il carcere maschile di Matera, in Basilicata – con tessuti di scarto destinati altrimenti alla discarica o al termovalorizzatore.
La sostenibilità, termine sempre più abusato oggigiorno, non deve essere solo ambientale ma anche sociale. "E oltre a questo, penso alla bellezza delle cose: se realizzi qualcosa di sostenibile, devi anche incontrare il gusto delle persone, saperle coinvolgere. Altrimenti il rischio è che diventi un’esperienza che dura poco. Sostenibilità per me significa anche trasferire la bellezza che c’è nelle persone". A parlare è proprio Luciana, l'ideatrice di Made in carcere. Quando nel 2006 ha lasciato un posto da dirigente bancario a Milano per tornare a Lecce, la sua terra di origine, e dare vita a questo progetto, l'obiettivo primario non era certo fare soldi. Semmai l'esigenza era quella di aiutare le persone, in un contesto percepito come disagiato – quello del carcere -, e riabilitarle attraverso il lavoro, contribuendo a ciò che Luciana chiama Bil, ovvero benessere interno lordo. "Per alcuni parlare di «impresa sociale» può quasi sembrare un ossimoro, ma quando riesci a combinare questi due aspetti, dare valore alle persone e ottenere una fonte di guadagno, allora hai vinto".
Per Luciana Delle Donne c'è un altra espressione che aiuta a definire l'essenza di Made in Carcere: economia rigenerativa. Che cosa significa? Semplice, vuol dire rigenerare le cose, ma anche le persone. "Da una parte, diamo una seconda vita ai tessuti di scarto, che ci vengono dati anche da alcuni imprenditori illuminati che preferiscono donarli anziché mandarli al macero. La materia prima è praticamente a costo zero, ma richiede poi una lunga e attenta fase di lavorazione: non è un tessuto che stendi e tagli, ma si tratta di tanti pezzetti di tessuti diversi con cui bisogna poi ricreare una bellezza del prodotto. Ci vuole fantasia". Dall'altra parte, attraverso lo sviluppo di competenze sartoriali e lavorando in un ambiente molto più confortevole rispetto alla cella, le detenute riacquisiscono la loro dignità, intraprendendo un percorso di reinserimento e riscatto sociale. "Aver avuto un'esperienza di lavoro in carcere abbatte la recidiva dell'80%, è un dato statistico", aggiunge Luciana.
Col tempo Made in Carcere si è consolidata e ha ottenuto diversi riconoscimenti. Si è imposto come valido esempio di imprenditoria sociale, che cerca di sottrarre il concetto di carcere dalla dimensione di grigiore e degrado che abitualmente lo circonda, e viene imitato in Italia e all'estero. "Non so come siano venuti a conoscenza di noi, ma ci hanno contattato anche dall'Università della Repubblica Dominicana, che è intenzionata ad aprire due laboratori nelle carceri di Santo Domingo e di un paesino lì vicino. Se il progetto viene copiato, significa che funziona ed è replicabile altrove".
L'entusiasmo di Luciana non si è mai spento, lo sguardo è sempre rivolto al futuro. Con l'appoggio di Fondazione con il Sud, il brand Made in Carcere è adesso impegnato nel progetto della Social Academy, una specie di scuola di formazione per esportare il suo modello di economia rigenerativa. "Abbiamo coinvolto 6 cooperative, delle sartorie sociali di periferia, a cui distribuiamo il tessuto che raccogliamo e che è in esubero. Le aiutiamo a crescere dal punto di vista imprenditoriale e insegniamo loro ad avere una visione più ambiziosa, uscendo da una dimensione puramente locale".
Alla domanda se ha mai avuto qualche ripensamento in questi anni, Luciana ride: "Ogni giorno ci penso, ma ogni giorno ho la risposta. A parole sembra una passeggiata, ma non è facile. Tre ingredienti sono indispensabili: buona volontà, visione e coerenza. Mi piace definire l'esperienza di Made in Carcere una palestra di vita, perché mi ha insegnato molto e continua a insegnarmi e a stupirmi".