La tutela del mare è uno dei pilastri dello sviluppo sostenibile, come ci ricorda il Goal 14 dell’Agenda 2030 dedicato alla “vita sott’acqua”, il cui obiettivo è proprio quello di conservare e utilizzare in modo durevole gli oceani, i mari e le risorse marine. Il primo target di questo goal è previsto entro il 2025, ovvero prevenire e ridurre in modo significativo l’inquinamento marino di tutti i tipi, in particolare quello proveniente dalle attività terrestri, compresi i rifiuti marini e l’inquinamento delle acque da parte dei nutrienti.
Il pensiero va subito ai rifiuti plastici, considerato che, come stimato dal WWF, delle 450 milioni di tonnellate di plastica prodotta ogni anno almeno 8 milioni di tonnellate finiscono nei nostri mari, e alla depurazione delle acque reflue. Negli ultimi anni, in Italia, grandi passi avanti da questo punto di vista sono stati fatti con l’approvazione della Legge “Salvamare”, che ha visto un percorso legislativo durato ben quattro anni. Mancano però alcuni decreti attuativi per renderla operativa.
Pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 134 del 10 giugno 2022, la Legge “Salvamare” (L. n. 60 del 17 maggio 2022) è dedicata al delicato tema del recupero dei rifiuti in mare e nelle acque interne e alla promozione della circolarità delle risorse nei settori interessati. Scopo principale della normativa è quello di prevenire l'abbondono di rifiuti in ambiente acquatico, con una novità eccezionale da un punto di vista della tutela ambientale: se fino a ieri i pescatori che issavano a bordo rifiuti plastici nelle reti erano poi costretti a ributtarli in mare – al fine di non essere sanzionati penalmente per trasporto illecito – con questa legge si consente il recupero dei rifiuti e il loro trasporto nei porti per poter essere consegnati ai gestori del servizio e avviarli a riciclo o smaltirli. La legge inoltre stabilisce l’avvio di campagne di sensibilizzazione e informazione su mare, plastica ed economia circolare e – in aggiunta a questo – introduce l’obbligo di raccolta differenziata e di educazione ambientale “nelle scuole di ogni ordine e grado”.
Tuttavia, a distanza di circa un anno e mezzo dalla sua approvazione, mancano ancora i decreti attuativi per renderla operativa. Unica nota il decreto ministeriale dell’11 maggio 2023, con cui sono state definite le misure premiali per i comandanti dei pescherecci che conferiscono agli impianti portuali di raccolta i rifiuti catturati: si tratta dell’assegnazione di un criterio di priorità nell’accesso ai bandi e ai benefici approvati ai sensi del Fondo Feampa (Fondo europeo per gli affari marittimi, la pesca e l’acquacoltura 2021-2027), che vanta una dotazione finanziaria di 980 milioni di euro.
Sul resto però l’attuazione del provvedimento resta indietro, come ricorda la Fondazione Marevivo “La Legge prevede l’installazione di sistemi di cattura del materiale galleggiante dai fiumi, con un finanziamento di 2 milioni, previsto per gli anni 2022-2024. Di questo capitolo la programmazione non risulta pianificata e i fondi utilizzati: forse persi?”. Pochi giorni fa, nell’ambito di una manifestazione sul Fiume Tevere a Roma, gli attivisti di Marevivo, partiti in bicicletta dallo Scalo de Pinedo, sede nazionale della Fondazione, hanno consegnato le lettere con “l’urlo del Mare” al Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, e ai Ministri competenti: il Ministro per la Protezione civile e le Politiche del mare, Nello Musumeci, al Ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, Gilberto Pichetto, al Ministro dell’Agricoltura, della Sovranità alimentare e delle Foreste, Francesco Lollobrigida, e al Ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara.
Affrontare il problema del marine littering, così si chiamano i rifiuti marini, è di fondamentale importanza per la salute del mare e anche per la nostra: le microplastiche infatti sono ormai entrate nella catena alimentare degli ambienti marini. Basta pensare del resto che nel Mediterraneo finiscono quasi 230mila tonnellate di plastica l’anno, pari al contenuto di circa 500 container. Si tratta di una quantità enorme, il Mar Mediterraneo infatti conterrebbe una percentuale compresa tra il 21% e il 54% delle microplastiche globali, ed è proprio nelle acque del Mar Tirreno che si concentrerebbe la maggiore quantità di piccole particelle di plastica mai misurata nelle profondità di un ambiente marino: 1,9 milioni di frammenti per metro quadrato.
Il problema dei nostri mari però non riguarda solo i rifiuti plastici. Il tema della depurazione delle acque reflue, e dunque della circolarità delle risorse idriche, è di cruciale importanza per garantire la vita sott’acqua, come ci chiede l’Agenda 2030. In Italia circa il 25% della popolazione non è ancora servita da un adeguato servizio di depurazione delle acque reflue, fattore che ci espone a delle salate procedure di infrazione e all’emanazione, da parte della Corte di giustizia dell’Unione Europea, di alcune sentenze di condanna contro lo Stato italiano. Oltre 930 agglomerati urbani, pari a circa 30 milioni di abitanti equivalenti, risultano non conformi ai requisiti minimi della direttiva 91/271/CEE sul trattamento delle acque reflue urbane: in sostanza scaricano in mare liquami fognari. Il 72% di queste procedure riguarda le nostre regioni meridionali.
Per mettere in piedi il sistema impiantistico e allinearsi alle indicazioni delle direttive europee servono oltre 3 miliardi di euro da investire in nuovi impianti o nella manutenzione di quelli esistenti. Il PNRR è intervenuto su questo settore con una dotazione finanziaria dedicata pari a 600 milioni di euro per interventi in tutta Italia: troppo pochi per risolvere una delle cause per cui i nostri litorali sono ancora inquinati. Servono sicuramente maggiori risorse ma anche un iter autorizzativo più snello per consentire la realizzazione degli impianti in tempi rapidi. Depurare le acque reflue correttamente e restituirle all’ambiente naturale non solo è cruciale per la tutela dell’ambiente ma anche per la nostra salute.
Se il mare deve diventare “motore di crescita economica e di sviluppo sostenibile” è necessario risolvere questi e altri annosi problemi che interessano i vari settori coinvolti. Sulla scia della “Strategia europea per un’economia blu sostenibile”, il Governo ha istituito il Comitato Interministeriale per le Politiche del Mare (CIPOM) per sviluppare il primo "Piano del Mare" nazionale, mirando a coordinare le politiche marittime per promuovere la crescita economica sostenibile e il ruolo dell'Italia nel contesto internazionale.
Il primo atto ufficiale di questo percorso è stata l’approvazione, il 31 luglio 2023, del primo “Piano del Mare” nazionale, di durata triennale, che ha visto la luce in Gazzetta Ufficiale ad ottobre. Il documento si basa su 16 sedici direttrici fondamentali che vanno dai porti alle rotte commerciali e spazi marittimi in generale, dall’energia, con specifici riferimenti all’uso di carburanti più sostenibili, all’ecologia e alle aree marine protette, dall’industria al turismo e alla pesca-acquacoltura. Il Piano richiama anche la necessità di semplificare e razionalizzare le procedure amministrative per la gestione degli impianti portuali di raccolta dei rifiuti prodotti dalle navi e si richiama all’esigenza di “interventi di coordinamento tra i diversi testi normativi in materia a beneficio dell’utenza del mare”, sottolineando indirettamente ancora alcune criticità nell'attuazione della Legge Salvamare.
È urgente superare questi ultimi scogli, accelerare sulle misure di governance e investimento da attuare per garantire la tutela dell’ambiente marino e risolvere quelle criticità che ancora oggi minacciano la vita subacquea e la nostra salute.