Save the Dogs avvia un progetto in Calabria e si batte contro i cani a catena. Intervista a Sara Turetta

Il progetto “Non uno di Troppo” di Save the Dogs and other Animals avviato in Campania due anni fa per prevenire e combattere il randagismo si è allargato anche alla Calabria. Ma le battaglie dell’associazione si spendono anche contro il maltrattamento dei cani tenuti a catena e oggi abbiamo il primo report sui cani a catena in Italia e nel mondo.
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Gaia Cortese 26 Marzo 2021

Nel mondo delle associazioni e dei volontari che operano per il benessere degli animali c’è tanta buona volontà, immensa dedizione, ma poca progettualità. È un continuo mettere toppe: cucciolate da portare in salvo, cani da far sterilizzare, staffette dal Sud al Nord in cerca di buone adozioni e centinaia di volontari che non si danno pace pur di sostenere come possono questi animali senza cibo né dimora.

E poi c'è Save the Dogs and the other Animals, l'associazione fondata da Sara Turetta nel 2006, che con poche parole fa tanti fatti. Inizialmente operativa in prima linea in Romania dove il fenomeno del randagismo è decisamente complesso e preoccupante, da due anni l'associazione ha avviato un progetto anche in Campania e da pochissimo, anche in Calabria. Non solo. Save the Dogs ha appena presentato il primo Report sui cani a catena in Italia e nel mondo: se infatti la maggior parte di noi pensa che tenere un cane a catena sia vietato, difatti non lo è.

Ci siamo fatti raccontare da Sara Turetta, fondatrice di Save the Dogs gli ultimi passi fatti nella lotta contro il randagismo e il maltrattamento degli animali.

Save the Dogs è stata da subito operativa nella lotta contro il randagismo in Romania. Dopo 15 anni, qual è la situazione attuale dei cani in questo Paese?

La situazione è sempre pessima. La legge in vigore è una legge che non consente la sterilizzazione e il rilascio del cane, che sarebbe di sicuro un metodo più sostenibile e corretto, dal punto di vista scientifico ed etico, rispetto al metodo “cattura e uccidi”. In Romania un sindaco può anche decidere di non eliminare i cani che vagano per strada, ma di fatto è ciò viene fatto, anche per grandi numeri: parliamo di svariate migliaia di cani che fanno questa fine ogni anno.

Il miglioramento sicuramente c’è stato, ma riflette più che altro una sensibilità diffusa nelle grandi città, dove vivono generazioni di giovani di cultura medio-alta, che frequentano i social e che magari sono stati all’estero; nelle città quindi il concetto di animale da compagnia si sta rafforzando, ma malgrado ciò, nel complesso la situazione nel Paese è ancora pessima e le istituzioni si dimostrano sorde su questo problema.

In Romania i cani di proprietà sono praticamente tutti tenuti a catena, non esiste una legge che vieti questa forma di maltrattamento?

La legge dice che la catena deve avere una certa lunghezza, ma è permessa. Quindi se un cane sta a catena giorno e notte, ma viene rispettata la lunghezza della catena, il cane può vivere tranquillamente così, e la maggior parte dei cani, infatti, vive in questo modo. Solo nel contesto metropolitano sta nascendo la cultura del pet, dell’animale da compagnia, un aspetto positivo che tuttavia non riguarda le campagne, e in Romania oltre l’80 per cento della popolazione vive nelle aree rurali, dove il cane deve fare solo la guardia.

Recentemente, in collaborazione con la start up Green impact, avete presentato il primo rapporto sui cani a catena in Italia, dove sembra che manchi una legge nazionale…

Nonostante tutti gli etologi coinvolti in questo rapporto dicano che tenere un cane a catena sia una forma di maltrattamento e di violazione delle necessità del cane, in Italia non sempre è considerato così. Dove i volontari hanno fatto pressione sulle Regioni per ottenere un bando della catena, una limitazione o una regolamentazione, alcune Regioni hanno legiferato, ma anche qui, dove c’è una normativa non è detto che poi venga applicata. Ci sono poi Regioni dove il volontariato non ha avuto questa forza, o magari esiste una legislazione, ma è talmente datata (in Calabria sembra essercene una che risale a 28 anni fa) che la catena viene comunque permessa.

In Italia c’è una frammentazione della normativa che non va bene, e sappiamo con quale lentezza una legge possa sbloccarsi in Senato; pertanto vogliamo usare questo rapporto per agire sulle Regioni, proprio perché agire a livello nazionale richiederebbe tempi biblici. Il rapporto deve essere sfruttato come leva anche per mobilitare tutte quelle associazioni che già operano in quei territori dove tenere un cane a catena è considerato normale, ma non dovrebbe esserlo.

Dalla Romania, l’operato dell’associazione si è spostato nel Sud Italia e due anni fa avete lanciato il programma “Non uno di Troppo" per contrastare il randagismo. Quali sono i risultati raggiunti finora in Campania, la prima regione ad essere coinvolta nel progetto?

In due anni abbiamo portato a termine 460 sterilizzazioni gratuite (di cui il 60 per cento su cani di proprietà e il 40 per cento su cani randagi), abbiamo applicato il microchip a 172 cani, tutto a spese nostre. Abbiamo attivato le adozioni in gemellaggio con due strutture del Nord e risolto 20 casi di maltrattamento. Abbiamo censito attraverso l’app Stray Dogs Tracker circa 200 cani sul territorio, cani che fino a quel momento erano invisibili.

Questi dati saranno poi da integrare con i dati degli ingressi nei canili di questa zona, per capire qual è l’impatto delle sterilizzazioni. Ad ogni modo il progetto avviato sta andando molto bene e anche la popolazione risponde molto bene, ciò dimostra che se un servizio viene offerto a titolo gratuito la gente risponde.

Negli ultimi due anni, Save the Dogs si è occupata di sterilizzare 460 cani gratuitamente in Campania.

A fronte di circa 15mila cani rinchiusi nei canili della Calabria, avete da poco avviato il secondo progetto anche in questa regione. Come è strutturato?

Sì, da poco abbiamo raccolto il grido di aiuto di un’altra ragione. Il progetto “Non uno di troppo”, infatti, raddoppia. Stiamo partendo anche in Calabria dove abbiamo trovato alcuni partner locali e stiamo costruendo un percorso che coinvolga le autorità, e possibilmente anche gli operatori veterinari. Al momento la Regione è commissariata, c’è un vuoto da colmare, e problemi non da poco come il fenomeno dei canili lager che arrivano ad ospitare più di duemila cani al loro interno, sono tutti da risolvere. La Calabria, infatti, non pone un limite ai cani rinchiusi in un canile, dove il limite dovrebbe essere fissato a 200, un numero da non superare per poter offrire le condizioni di benessere a un animale. In Calabria questo aspetto non è rilevante, nel Crotonese per esempio sono solo due i gestori privati di canili e ospitano un numero spropositato di cani.

Giuliana Adamo, responsabile Save the Dogs del Progetto "Non uno di troppo", in Calabria. Photo Credits: Marco Giarracca

Secondo il più recente Rapporto LAV (2018) sono circa 15mila i cani detenuti nei canili e nei rifugi in Calabria, con un tasso di adozione (esclusivamente al Nord) pari circa al 10 per cento del totale. Questi sono i numeri che giustificano il nostro lavoro. Oltretutto per mantenere questi cani detenuti in condizioni pessime, solo in Calabria vengono spesi 20 milioni di euro, vale a dire il 10 per cento della spesa Nazionale destinata alla gestione dei canili. Quanto di meglio si potrebbe fare con questi soldi? Non solo. Nel Sud Italia gran parte del territorio è anche in mano alla criminalità e queste problematiche sociali finiscono per essere gestite solo a scopo di lucro.

La nostra idea è fare un lavoro di squadra, creare delle partnership con le associazioni presenti sul territorio fornendo loro le risorse e il sostegno che al momento mancano. Il nostro obiettivo è valorizzare l’operato di tutti quei volontari che già stanno cercando di risolvere i problemi esistenti, ma a cui mancano le risorse e il sostegno necessari per portare avanti un progetto concreto. Nel mondo dell’animalismo c’è tanta buona volontà, ma poca progettualità, poca voglia di disegnare progetti che richiedono fatica e soprattutto pianificazione. Anche in quello che facciamo noi di Save the Dogs c’è ovviamente una componente emotiva, ma va di pari passo con una razionalità di intervento e un chiaro intento di portare alle autorità dati e risultati concreti.