Senza occhi, deformi e divorati dai pidocchi: la cruda realtà del salmone scozzese di cui l’Italia è grande importatore

Un’indagine di alcune associazioni in 22 allevamenti di salmone scozzese accende i riflettori sulle pessime condizioni in cui questi pesci vengono cresciuti, con ricadute molto pesanti anche sull’ambiente circostante e sugli oceani, che vengono spopolati proprio per dare nutrimento agli allevamenti ittici intensivi.
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Sara Del Dot 23 Marzo 2021

Stipati in gabbie subacquee, senza occhi, con la pelle penzolante divorata dai pidocchi di mare, boccheggianti in acqua sporca e senza ossigeno. In alcuni casi, già pancia all’aria.

Un’indagine sotto copertura di alcune associazioni tra cui anche Animal Equality e Marevivo e guidata dall'organizzazione Compassion in World Farming, avvenuta tra settembre e novembre 2020 e descritta all’interno del Report “Gabbie Subacquee, parassiti e pesci morti: perché è necessaria una moratoria sull’espansione dell’allevamento dei salmoni in Scozia”, ha mostrato le condizioni in cui il salmone scozzese, gestito per il 96% da cinque grandi aziende ed esportato in oltre 50 Paesi, viene allevato. A essere finiti sotto la lente di ingrandimento, tramite anche l’utilizzo di droni e sommozzatori sono stati in totale 22 allevamenti.

La Scozia, infatti, è il terzo produttore mondiale di salmone atlantico di allevamento, e solo nel 2019 ha prodotto circa 38 milioni di pesci. Nei piani del governo scozzese, inoltre, c’è un progetto di espansione dell’industria entro il 2030. Un’espansione che però in queste condizioni non può essere sostenibile, né dal punto di vista del benessere animale né da quello del consumatore.

Infatti, nella gran parte degli allevamenti analizzati è stato riscontrato un livello di mortalità molto alto e gravi infestazioni di pidocchi di mare. Addirittura, il 25% dei pesci può morire prima ancora di arrivare al momento della macellazione, anche a causa dei trattamenti chimici e fisici a cui sono sottoposti per estirpare il parassita. Una strage silenziosa che si consuma lontana dagli occhi di chi, questo animale, lo acquista al banco surgelati del supermercato rinchiuso in una confezione rappresentante un sano pesciolino sorridente.

Alla palese violazione delle leggi per la tutela del benessere animale come, si legge nel report, "quella sulla salute e sul benessere degli animali entrata in vigore in Scozia nel 2006 che impone a chi prende esseri viventi vertebrati sotto la propria cura l’obbligo di diligenza, che consiste nell’incentivare il benessere fisico e mentale di questi animali e proteggerli da sofferenze, dolore, incidenti e malattie", si aggiunge la quantità enorme di pesce selvatico catturato con metodi di pesca intensiva e trasformato in cibo proprio per nutrire gli allevamenti ittici e il rilascio di sostanze chimiche e di scarto negli ecosistemi circostanti e sui fondali marini, dove l'acqua, la biodiversità, le altre specie selvatiche pagano un prezzo altissimo.

Ti starai chiedendo perché tutto questo ti riguarda. La ragione è molto semplice e ha strettamente a che fare con il pesce che acquisti e porti in tavola. Eh già, perché devi sapere che l’Italia figura tra i primi 10 importatori al mondo di salmone scozzese. Per questo la consapevolezza di ciò che acquisti e che mangi è fondamentale per riuscire a cambiare le cose. E le associazioni autrici dell’indagine desiderano proprio questo. Hanno infatti chiesto, attraverso una lettera indirizzata al Governo scozzese, una moratoria sull’espansione dell’industria del salmone e l’utilizzo di sistemi di allevamento ittico sostenibile che non implichino condizioni di vita crudeli e cariche di ingiustificata sofferenza ma anche dannose per l’ambiente e per l’intero ecosistema marino, che viene spopolato per alimentare questa industria malsana.