Shark Finning, una pratica crudele che sta decimando gli squali e a cui puoi scegliere di opporti anche tu

Ogni anno 100 milioni di squali vengono uccisi dall’uomo, gran parte dei quali per le loro pinne, status symbol in diversi Paesi del mondo e ritenute curative e afrodisiache. In Europa e in altri Paesi del mondo sono stati adottati regolamenti per impedire che le pinne vengano separate dal corpo sul peschereccio, ma c’è ancora tanta strada da fare per salvare le popolazioni di squali pericolosamente in declino. Ecco perché è nata l’iniziativa Stop Finning EU.
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Sara Del Dot 10 Luglio 2021

Hai paura degli squali? Narrazioni letterarie, film e report di casi di attacchi ci hanno portati a temere i predatori del mare fin da bambini. Oggi però voglio provare a ribaltare questa prospettiva proponendoti una visione un po’ diversa: sapevi che ogni anno nel mondo vengono uccisi dall’uomo 100 milioni di squali? E che in molti casi questa uccisione avviene attraverso mutilazioni e torture? E ancora, sapevi che proprio l’Unione europea è centro nevralgico dell’esportazione e commercio delle pinne di squalo, una delle principali cause della sempre più esigua presenza in mare di questi animali?

Le avrai sicuramente viste o addirittura ordinate al ristorante le pinne di squalo, solitamente servite in una zuppetta scolorita. E se a noi capita di ordinarle di rado, nei Paesi orientali, in particolare a Hong Kong, Thailandia e Taiwan, questo alimento è molto richiesto, tanto da raggiungere il costo di centinaia di dollari per essere inserito come ingrediente principale nella zuppa, zuppa che è vista come un vero e proprio status symbol nonostante le pinne di squalo non presentino proprietà nutrizionali particolari. Inoltre vengono utilizzate nella medicina tradizionale cinese perché considerate afrodisiache, fonte di potenza e forza e cure miracolose.

Per fartela breve, la pinna di squalo non ha un gran sapore, non fa particolarmente bene ma è considerata come un gioiello prezioso da esibire per dimostrare il proprio benessere. Ma chi ne paga il prezzo?

Shark Finning: una pratica crudele

Quella del finning è una pratica brutale e crudele, che fino a pochi anni fa non era regolamentata in Europa, uno dei maggiori esportatori, e anche oggi purtroppo presenta diverse lacune a cui diversi gruppi a difesa del mare stanno cercando di dare una risposta per salvaguardare questi animali già ad alto rischio estinzione.

In pratica lo shark finning, tradotto in italiano “spinnamento degli squali”, consiste nel privare lo squalo delle pinne, unico vero obiettivo della pesca dal momento che il corpo dello squalo non è considerato un alimento pregiato. In passato ciò che accadeva (e tuttora accade in varie parti del mondo) il più delle volte era che lo squalo veniva tirato in barca in mare aperto, mutilato e per non appesantire l’imbarcazione con il suo corpo, di scarso interesse per il mercato, veniva rigettato in mare ancora vivo. Non potendo più muoversi né nuotare, e quindi essendo impossibilitato a nutrirsi, cacciare e respirare, il grande predatore del mare era destinato a morire tra atroci dolori e in maniera miserabile.

Lo shark finning è un metodo di pesca non selettivo, che quindi non tiene conto dell’età, della taglia o della specie dello squalo.

Il risultato? Negli ultimi 50 anni la popolazione mondiale degli squali è diminuita del 70%.

Ora ti chiedo: hai ancora paura degli squali oppure ti spaventa di più ciò che siamo in grado di fare loro?

Le norme a difesa degli squali

Diverse associazioni a tutela del mare e dei suoi ecosistemi, un nome tra tutti Sea Shepherd, per anni si sono battute per regolamentare il commercio delle pinne di squalo al fine di impedire almeno la pratica crudele dello spinnamento e l’abbandono dell’animale in acqua mentre è ancora in vita.

Qualcosa però pian piano si muove. Negli Stati Uniti l’8 giugno 2021 il Senato americano ha approvato un provvedimento chiamato Shark fin sales eliminaton act, il cui obiettivo è vietare definitivamente il commercio delle pinne di squalo e altri prodotti che le contengono.

In Europa la strada è stata intrapresa solo in parte, dal momento che stiamo comunque parlando di uno dei maggiori esportatori al mondo di pinne di squalo. L’Italia da sola rappresenta il terzo importatore mondiale di questo prodotto (stiamo parlando di 10-11mila tonnellate di squalo importate all’anno), dopo Brasile e Spagna.

Nei Paesi membri dell’Ue lo lo shark finning effettuato a bordo delle imbarcazioni è stato vietato nel 2003, mantenendo però la possibilità di richiedere permessi speciali e deroghe per la lavorazione a bordo, permessi che concedevano comunque in vari casi di tagliare le pinne e magari sbarcare in porto con pinne e carcassa già separati. Ti lascio immaginare quanto fosse possibile monitorare una situazione del genere soprattutto considerata la difficoltà di controllare le attività che vengono effettuate in mare aperto.

Nel 2013, poi, con l’adozione del regolamento 605/2013, che consiste in una modifica del precedente, anche le deroghe sono state eliminate ed è quindi stato sancito il divieto assoluto e inderogabile di separare pinne e carcassa a bordo, obbligando i pescatori a scendere in porto con lo squalo tutto intero senza eccezioni. Questo regolamento si chiama “Fins naturally attached” e richiama proprio l’obbligo di lasciare le pinne sullo squalo fino all’ultimo momento, ovvero lo sbarco in porto. A essere vietati con questo regolamento sono anche lo stoccaggio e il trasbordo di pinne da nave a nave anche se, come abbiamo già ribadito, è molto complicato promuovere controlli capillari su attività che si effettuano in mare aperto.

“Il nuovo regolamento non è stato sufficiente per diminuire le catture, e anche oggi nel Mediterraneo lo stato di conservazione è critico, spiega Sofia Bolumar Roda, studentessa di biologia dell’ambiente ed esponente del team italiano Stop Finning Eu, il gruppo che sta cercando di modificare le leggi comunitarie in merito per favorire una maggiore tutela degli squali in Europa. “Il 30% delle specie è classificato nella lista rossa IUCN ed è quindi a rischio estinzione. Si parla infatti di 74 milioni di squali pescati ogni anno solo per le pinne.”

Dalla pratica del finning, infatti, non si salva proprio nessuno. Spagna, Francia, Germania e tanti altri Paesi comunitari si fanno spesso teatro della decimazione delle popolazioni di squali e quindi della messa in serio pericolo di tutti gli ecosistemi.

Senza squali di fatto l’intero ecosistema marino collasserebbe, così come collasserebbe se togliessimo qualsiasi altra specie”, prosegue Sofia. “Gli squali sono definiti top predators, predatori apicali. In ecologia si usa immaginare la rete trofica come una sorta di piramide: al vertice si trovano i predatori, come gli squali appunto, che regolano tutti ciò che si trova sotto di loro. È un meccanismo chiamato top down control e significa che ogni predatore controlla le popolazioni mangiando le specie sotto di lui, ad esempio i pesci carnivori, che a loro volta controllano i pesci erbivori che a loro volta controllano le alghe. Se eliminiamo un pezzo di questa catena così fondamentale come la sua cima, viene meno una parte fondamentale e tutti gli equilibri si alterano. Non possiamo guardare tutto questo come un insieme di tanti elementi separati tra loro, c’è un filo rosso che collega tutti gli organismi di un habitat e se alterato intacca ogni cosa.”

Stop Finning Eu

Per questa e altre ragioni alcuni gruppi di cittadini europei, guidati da Nils Kluger e Alex Cornelissen hanno lanciato l’iniziativa Stop Finning EU. Si tratta di un’iniziativa dei cittadini europei, uno strumento di democrazia partecipativa importantissimo che, per fartela breve, consente a un numero consistente di cittadini europei di chiedere alla Commissione europea di proporre nuovi atti legislativi su un determinato tema. In sostanza, è un modo per consentire ai cittadini sensibili a un tema di cambiare le cose a livello di normativa comunitaria.

Per essere valida, l’iniziativa deve raccogliere almeno un milione di firme valide di cittadini provenienti da almeno 7 Paesi europei e per ciascun Paese è previsto un numero minimo di firme sulla base del numero della popolazione. Entro il 31 gennaio 2022, quindi, i coordinatori dell’iniziativa dovranno presentare un milione di firme affinché la richiesta venga presa in esame dalla Commissione europea.

Ma cosa chiede Stop Finning EU?

L’iniziativa “Stop Finning -Stop the Trade” chiede di estendere il regolamento 605/2013, Fins Naturally Attached, anche all’esportazione, importazione e transito delle pinne di squalo. In pratica si chiede all’Unione europea di bloccare esportazione e commercio delle pinne di squali e razze, imponendo lo spostamento dell’intero animale e dando quindi un freno radicale e definitivo sul tema.

“Bloccare questo commercio aiuterebbe a ridurre la pesca degli squali, che hanno già tutta una serie di problemi tra cui inquinamento, bycatch (catture accidentali) e sovrapesca spiega Sofia. Un’azione formale necessaria non solo per gli squali, ma per tutti gli ecosistemi marini, così preziosi e così in pericolo.