Siccità, un problema con cui (prima o poi) dobbiamo fare i conti

Il fiume Po è in magra, lo scorso inverno è stato uno dei più caldi e secchi mai registrati: le premesse per un’estate a rischio siccità ci sono tutte e gli agricoltori sono già molto preoccupati. Il punto è che con il cambiamento climatico il problema della carenza idrica in Italia potrebbe aggravarsi sempre di più.
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Federico Turrisi 24 Maggio 2020

L'acqua è la risorsa naturale più preziosa che abbiamo. Per questo non ci stancheremo mai di ripetere che è indispensabile una sua corretta gestione. Ma come ci si comporta nel caso dovesse scarseggiare? L'Italia, insieme a tutta l'area mediterranea, è tra i paesi più esposti al fenomeno dell'aumento delle temperature e al rischio di essere investita da periodi di siccità sempre più lunghi. Con conseguenze disastrose, in primis per l'agricoltura.

Pessimismo? No, realismo. Il riscaldamento globale è un dato incontrovertibile e il problema della siccità si inquadra in questa cornice più ampia. Secondo le previsioni della Noaa, l'agenzia americana per l’osservazione oceanica e atmosferica, il 2020 potrebbe rivelarsi l'anno più caldo da quando vengono registrate le temperature. In Italia la situazione, a livello di disponibilità delle risorse idriche, presenta già delle criticità e non promette niente di buono per la stagione estiva. Per comprendere a quale pericolo stiamo andando incontro, bisogna prima capire perché la minaccia della siccità è diventata così concreta per il nostro paese e perché è destinata a esserlo ancora di più nei prossimi anni.

Che cosa (non) è successo lo scorso inverno

Come ha messo in evidenza il Copernicus Climate Change Service, l'inverno 2019-2020 è stato il più caldo mai registrato in Europa, con un'anomalia di 3,4 gradi Celsius in più rispetto alla media del periodo 1981-2010. Scendendo più nel dettaglio, anche per l'Italia è stato uno degli inverni più miti e secchi da quando abbiamo a disposizione osservazioni meteorologiche.

In particolare, si è registrata un’anomalia di +2.03 gradi Celsius rispetto alla media del trentennio di riferimento 1981-2010, un valore secondo solo a quello all’inverno 2006-2007 (+2.13°C). I primi mesi del 2020 sono stati particolarmente avari di precipitazioni. Quelle di gennaio e febbraio hanno fatto registrare rispettivamente -68% e -80% rispetto alla media di riferimento per il periodo 1981-2010.

L’apporto delle precipitazioni in Italia durante l’anno meteorologico. La linea rossa rappresenta la media del periodo 1981–2010, quella blu l’anno in corso (fonte: Isac – Cnr).

Per avere un quadro più chiaro delle precipitazioni in Italia, basta dare un'occhiata al grafico qui sopra. Confrontando l’accumulo progressivo medio (la linea rossa, periodo 1981-2010) con quello garantito dall'inizio dell'anno meteorologico – che, ricordiamo, comincia da dicembre – ad oggi (linea blu) notiamo un'evidente differenza: la linea blu rimane sempre al di sotto di quella rossa. Inoltre, le due linee si separano in maniera netta durante i mesi di gennaio e febbraio. Che cosa vuol dire? Vuol dire semplicemente che è caduta meno pioggia (e neve) del solito. Nel dettaglio, il deficit per quanto riguarda lo scorso inverno meteorologico, ossia il trimestre dicembre-gennaio-febbraio, è stato del 43% rispetto alla media del trentennio di riferimento 1981-2010. L’ottavo inverno più secco dal 1800 ad oggi nel nostro paese.

La situazione attuale

Alla luce anche della forte diminuzione delle precipitazioni invernali, qual è la disponibilità d'acqua attualmente sul territorio? Prima di tutto bisogna considerare che c'è una certa discrepanza tra Italia settentrionale e meridionale. "Se al Nord le scorte idriche ci sono, al Sud la situazione è critica: gli invasi sono mezzi vuoti e questo ci preoccupa in prospettiva", aggiunge Lorenzo Bazzana, responsabile economico di Coldiretti.

Se per esempio guardiamo ai livelli dei grandi laghi del Nord Italia  – Maggiore, Como, Iseo, Garda, che regolano alcuni dei principali affluenti del Po come Ticino, Adda, Oglio e Mincio – questi sono tendenzialmente nella media e non destano ancora preoccupazione. Il motivo? "I laghi del Nord sono fortemente alimentati dalla fusione nivale sulle Alpi", chiarisce Daniele Bocchiola, professore di idrologia al Politecnico di Milano.

Situazione del lago di Como, per quanto riguarda le altezze idrometriche (fonte: laghi.net)

Prendiamo per esempio il lago di Como. Come vediamo dal grafico qui sopra, l'andamento del livello idrometrico relativo al 2020 (linea viola) è quasi sovrapponibile a quello medio del periodo di riferimento 1946-2018 (linea verde). Da febbraio è poco sotto la media, ma non si registra finora alcuna rilevante anomalia.

Ancora più interessante è andare ad analizzare lo stato di salute del fiume Po. Il 7 maggio, a Pontelagoscuro (provincia di Ferrara) il sistema di monitoraggio dell’Agenzia Interregionale per il Po (Aipo) segnava -4,90 metri dallo zero idrometrico. "Effettivamente c’è un problema sistematico del bacino del Po, per cui ormai ci sono molti inverni siccitosi negli ultimi anni", prosegue il professor Bocchiola. "Bisogna cominciare a preoccuparsi seriamente quando alla stazione di Pontelagoscuro il livello del Po raggiunge i 6 metri e mezzo al di sotto dello zero idrometrico. Riassumendo, possiamo dire che i valori attuali sono indicativi di basse portate, ma al momento non sono ancora preoccupanti. Certo, il fatto di registrare adesso valori così bassi delle portate si traduce in un aumento del rischio di carenza idrica a luglio e agosto".

Andamento della portata media annua misurata a Pontelagoscuro dal 1923 al 2011. Le etichette gialle evidenziano il confronto tra i valori medi del periodo 1997–2011 e quelli del decennio critico 1941–1950

Il punto è che il Po ci sta abituando a una portata media annua sempre più scarsa. Come mostra il grafico qui sopra, dal 1997 ormai i valori sono regolarmente sotto alla media del periodo di riferimento 1923-2011 (rappresentata dalla linea rossa orizzontale). Nel caso del Po monitorare il valore della portata è molto importante per la questione dell’intrusione del cuneo salino.

"Se la portata diminuisce troppo, l'afflusso d’acqua dolce del fiume risulta ridotto rispetto alle maree e l'acqua salata del mare entra nel delta del Po. Un fenomeno già in atto, sebbene sia ancora limitato. Si stima che possa diventare veramente grave se il valore della portata del fiume va al di sotto dei 250 metri cubi al secondo, che corrisponde ai 6 metri e mezzo sotto lo zero idrometrico, considerato peraltro un «minimo vitale» da mantenere costantemente. In questo caso si potrebbe avere un'intrusione del cuneo salino di una decina di chilometri. Il che vorrebbe dire minore disponibilità di acqua dolce, alterazione dell'ecosistema, problemi al sistema di irrigazione locale e via discorrendo", spiega Bocchiola.

Le preoccupazioni degli agricoltori

L'anno scorso avevamo assistito a una situazione analoga: l'inverno era stato piuttosto secco e verso inizio aprile i timori erano gli stessi di adesso. Seguì però un maggio molto piovoso. Nei giorni scorsi alcune perturbazioni hanno attraversato il territorio italiano, ma il loro contributo è stato ridotto.

"Una pioggia sotto i 5 millimetri di acqua all’ora è irrilevante e non dà abbastanza sollievo alle colture. Per chi abita in città ha piovuto, ma alle campagne è servito a poco", afferma Bazzana di Coldiretti. "Per l'agricoltura siamo già in piena emergenza siccità. Tant'è vero che i contadini stanno irrigando il frumento già per la terza volta, quando in annate «normali» non verrebbe bagnato proprio in questo periodo". Ma non è solo il grano a patire gli effetti del caldo e dell'assenza di precipitazioni. Tutte le coltivazioni della bella stagione ne risentono: dal mais al pomodoro, passando per tutti gli alberi da frutto.

Oltre a una diminuzione delle rese, la principale conseguenza per il settore agricolo sarebbe un notevole aggravio dei costi di produzione. "Qualcuno è già stato costretto a riseminare. E poi c'è il fattore imprevedibilità del clima. Se non piove per un lungo periodo di tempo e in tre ore cade l'acqua di tre mesi allora è un grosso problema. Posso rendere più efficienti tutti gli invasi che voglio, ma le coltivazioni ne usciranno comunque devastate. In questo senso, oltre a ragionare sul rischio siccità, ci vogliono anche strumenti in grado di mitigare i danni riconducibili ad allagamenti e alluvioni", conclude Bazzana.

Tutta colpa del cambiamento climatico

Arriviamo ora al nucleo centrale del nostro approfondimento: perché non piove per periodo così lunghi? E perché quando arriva la pioggia c'è il rischio che procuri più danni che benefici? Il colpevole numero uno è l'aumento della temperatura media a livello globale, un fenomeno che è in forte accelerazione negli ultimi decenni a causa della crescita delle emissioni di gas a effetto serra, soprattutto di origine antropica. E in Italia il trend è più marcato rispetto alla media globale.

"Tutto il bacino mediterraneo è considerato una delle zone più sensibili al cambiamento climatico", commenta Michele Brunetti, responsabile della banca dati di climatologia storica dell'Istituto di scienze dell'atmosfera e del clima del Consiglio nazionale delle ricerche di Bologna (Isac-Cnr). "Dagli anni ‘50 a oggi la temperatura media in Italia è cresciuta di circa 0,25 gradi Celsius ogni dieci anni; dagli anni ‘80 a oggi di 0,45 gradi ogni decennio. Se prima c’era urgenza di porre rimedio al problema del surriscaldamento climatico, adesso ce n’è ancora di più".

Dagli anni ‘80 a oggi la temperatura media in Italia è cresciuta di 0,45 gradi ogni decennio

Che cosa c'entra tutto ciò con la siccità? Semplice, il cambiamento climatico ha delle ripercussioni su quel vasto e assai complesso sistema di interconnessioni che è la circolazione atmosferica. Inoltrarsi in questo campo significa conoscere meglio le basi scientifiche che ci permettono di affermare che la siccità potrebbe diventare una questione sempre più seria in Italia.

"Solitamente in inverno arrivano dal Nord Atlantico qui in Italia, trasportati dai flussi atmosferici, quei famosi cicloni che «scaricano» l'acqua evaporata nell’oceano sotto forma di pioggia o, in alta quota, di neve", prosegue Brunetti. "In estate invece ci sono per lo più precipitazioni convettive, ossia l'acqua che cade con i rovesci estivi è prevalentemente acqua evaporata in loco. Se, come già successo nel 2003 e nel 2017, ci ritroviamo sul finire della primavera con una situazione di carenza idrica pronunciata, andremo incontro probabilmente a una forte siccità estiva. Una condizione di questo genere non può che essere favorita da un aumento delle temperature".

Ci sono poi altri fattori che intervengono. Uno di questi è la cosiddetta amplificazione artica. "La circolazione atmosferica alle nostre latitudini è alimentata principalmente dai gradienti di temperatura che ci sono tra l'equatore e i poli", spiega sempre Brunetti. "Semplificando, si tratta di una specie di fiume atmosferico che scorre da ovest verso est e che forma delle insenature da cui si originano cicloni e anticicloni, ossia le perturbazioni e le condizioni di bel tempo. Dal momento che sta calando la differenza di temperatura tra l'equatore e i poli (questi ultimi infatti si stanno riscaldando molto di più rispetto alla media globale), questo fiume atmosferico rallenta e le insenature si fanno più pronunciate e lente".

Tradotto, siamo esposti a una maggiore persistenza sia per quanto riguarda le condizioni piovose sia per quanto riguarda le condizioni di siccità. Si innesca quindi un meccanismo di estremizzazione dei fenomeni meteorologici: periodi più lunghi di caldo e di siccità si alternano a periodi con precipitazioni molto abbondanti.

Non dimentichiamoci poi che un’atmosfera più calda è in grado di trattenere più umidità. "Mediamente a ogni grado di temperatura in più corrisponde un 7% di umidità in più che l'atmosfera è in grado di «archiviare» e rendere disponibile per le precipitazioni. In linea teorica, è per questo motivo che l’aumento di temperatura può portare a piogge molto intense, concentrate però in un singolo evento meteorologico", aggiunge Brunetti.

Prepararsi al peggio

Insomma, il clima sta cambiando. Anzi, è già cambiato. Fai però molta attenzione. Sarebbe sbagliato parlare per l'Italia di tropicalizzazione. "Il clima tropicale ha una particolare scansione temporale delle precipitazioni, mentre noi abbiamo un clima mediterraneo al Centro-Sud, e più continentale al Nord. Non si passa da un clima mediterraneo a uno tropicale in pochi decenni, perché stiamo parlando di fasce latitudinali caratterizzate da circolazioni atmosferiche completamente diverse", puntualizza Brunetti.

Ciò non toglie che l'aumento delle temperature ha ed è destinato ad avere un impatto rilevante sul nostro ecosistema. Prendiamo i ghiacciai alpini. Tutti, nessuno escluso, si stanno ritirando a un ritmo sempre più veloce. Parlano i dati del Nuovo Catasto dei Ghiacciai Italiani (l'ultima revisione è del 2016), realizzato dall'Università Statale di Milano. Dagli anni Sessanta all'inizio del XXI secolo la superficie glaciale si è ridotta del 30%, passando da 527 a 370 chilometri quadrati, con un'ulteriore contrazione del 5% tra il 2007 e il 2012. Solo i ghiacciai delle Alpi centrali hanno perso negli ultimi 25 anni oltre 2000 miliardi di litri d'acqua dolce, una quantità pari a quattro volte il lago Trasimeno.

La fusione dei ghiacciai alpini rischia di farci perdere un'importante riserva d'acqua

"In estate il contributo idrico derivante dalla fusione delle aree glaciali alpine non è affatto trascurabile. Si è calcolato che in un'estate particolarmente siccitosa come quella del 2003 il contributo della fusione dei ghiacci abbia raggiunto circa il 20-25%, per quanto riguarda la disponibilità d'acqua totale del bacino del Po", osserva Bocchiola. "Tra vent'anni questa riserva d'acqua rischia di scomparire e questo è un ulteriore problema per il futuro: quando tutto questo ghiaccio non ci sarà più, dovrà essere sostituito dalle precipitazioni; ma se non piove abbastanza, sentiremo la mancanza dell'afflusso proveniente dalla fusione glaciale". E allora saranno dolori.

Gli strumenti per fronteggiare un'eventuale emergenza, a dire la verità, non sono molti. Si possono però adottare delle misure preventive. Consideriamo innanzitutto che tra gli usi antropici dell'acqua l'irrigazione del terreno fa la parte del leone. "Per esempio, si potrebbe mettere in atto una regolazione dei laghi tale per cui, in una situazione di scarsi afflussi, si cerca di mantenere più acqua possibile all’interno dei laghi stessi, rilasciando a valle solo i minimi vitali, come previsto dalla legge, per salvaguardare la necessità di acqua per la stagione irrigua. Occorre cominciare a pianificare il risparmio di acqua, in maniera tale da poter lavorare in estate con sufficiente sicurezza di rifornimento idrico. Nuovi metodi per ottimizzare il consumo di risorse idriche nel settore agricolo e per rendere l'irrigazione meno dispendiosa sono i benvenuti", sostiene Bocchiola.

L'agricoltura svolge un ruolo centrale ed è la prima, anche in ottica futura, a doversi preparare a una ridotta disponibilità di acqua. "Innanzitutto vanno implementati gli invasi, e lo si sta già facendo", interviene Bazzana. "Occorre destagionalizzare l'uso dell'acqua. O meglio, accumulare e conservare l’acqua per i momenti in cui ce n’è maggiore bisogno, con una rete di invasi più efficiente".

Anche il presidente dell’Associazione Nazionale dei Consorzi per la Gestione e la Tutela del Territorio della Acque Irrigue (Anbi) Francesco Vincenzi, in una recente intervista rilasciata all'agenzia di stampa Adnkronos, ha sottolineato quanto sia importante investire nella sistemazione del territorio e ha ribadito "la necessità di un Piano Nazionale Invasi, fatto anche di bacini di laminazione per rallentare le piene, trattenendo quelle acque per utilizzarle nei momenti di bisogno".

In sostanza, la parola chiave per l'agricoltura è adattamento. Un concetto ribadito anche nel report "Climate change adaptation in the agriculture sector in Europe", pubblicato dall'Agenzia europea dell'ambiente (Eea) lo scorso settembre. Se le emissioni di gas serra si mantengono su livelli troppo alti e le temperature continuano ad aumentare, si prevede che la produttività dei terreni agricoli di alcune regioni del Mediterraneo crollerà di oltre l'80% entro il 2100, con ricadute economiche consistenti. Alcune terre potrebbero diventare talmente aride da costringere i coltivatori ad abbandonarle.

Dipende tutto da noi

Adattarsi a un clima più caldo sarà l'unica via. Gli agricoltori dovranno orientarsi verso coltivazioni che hanno una minore esigenza di acqua e una maggiore resistenza a temperature più alte. Certo, rimarrà sempre l'incognita legata all'andamento meteorologico. In realtà, ciascuno di noi può fare la sua parte per attenuare quanto meno gli effetti del cambiamento climatico. È questa, in fondo, la buona notizia: l'umanità è responsabile del problema, l'umanità può cercare di risolverlo.

L'Ipcc, ossia il Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico, nel suo quinto assessment report, risalente ormai al 2014 (la pubblicazione del sesto è prevista per l'anno prossimo), ha definito quattro ipotetici scenari futuri da qui al 2100: sono i cosiddetti Representative Concentration Pathways (Rcp), che tracciano un andamento rappresentativo delle concentrazioni dei gas a effetto serra e degli aerosol nell'atmosfera per un determinato obiettivo climatico in termini di forzante radiativo alla fine del secolo. Che cos'è il forzante radiativo? In estrema sintesi, è una grandezza, espressa in watt per metro quadrato, che serve a misurare l'effetto dei vari fattori chimico-fisici, sia naturali sia antropogenici, che influenzano il sistema climatico. Un forzante radiativo positivo è inevitabile per gli anni a venire e determina nel tempo l’aumento del contenuto energetico del sistema, con conseguente incremento della temperatura atmosferica.

A ogni scenario ipotizzato dall'Ipcc corrisponde un determinato valore di forzante radiativo (2.6, 4.5, 6.0 e 8.5 watt per metro quadrato) legato a quanto aumenta da qui al 2100 la concentrazione di CO2 nell'atmosfera terrestre. "A seconda di ciascuno scenario vengono forzati dei modelli climatici e si arriva a una stima della temperatura fino al 2100. Secondo le previsioni dell'Ipcc, alla fine di questo secolo l’aumento della temperatura media del pianeta potrebbe oscillare tra un minimo di +0,3 e un massimo di +4,8 gradi centigradi. Si tratta di una forbice piuttosto ampia", sottolinea Brunetti.

Significa che avviare un processo di decarbonizzazione dell'economia a livello mondiale è in grado di fare la differenza dal punto di vista climatico. Se riduciamo le nostre emissioni di gas serra, diminuisce la loro concentrazione nell'atmosfera; quindi l'aumento del forzante radiativo è più contenuto e di conseguenza anche quello della temperatura media globale. Tutto torna. Questo vuol dire solo una cosa: ciò che accadrà nel futuro dipende dalle scelte che facciamo oggi. Adesso è chiaro perché è impossibile separare il tema della siccità in Italia da quello, davvero epocale, della crisi climatica?