Squali in estinzione: tutta colpa della zuppa

Il predatore marino per eccellenza sta per estinguersi. La causa? Poca tutela, pesca illegale e incontrollata e shark finning, il crudele metodo di produzione di pinne di squalo da servire nella zuppa.
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Sara Del Dot 26 Ottobre 2018

Dentro una ciotola di zuppa ti fa sicuramente meno paura. Ma a spaventarti non devono essere i suoi denti aguzzi, bensì l’altissima probabilità che in pochi anni si estingua proprio a causa di quella zuppa. Lo squalo, l’unico vero predatore acquatico, spaventoso ma al tempo stesso affascinante, rischia di scomparire dagli oceani a causa della pesca indiscriminata di cui è vittima. La colpa? Essere l’ingrediente principale dell’amatissima zuppa di pinne, che in Cina e Vietnam rappresenta uno dei piatti più apprezzati.

Pesca insostenibile

100 milioni di squali pescati ogni anno, in media il 7% di tutte le varietà presenti in mare, di cui la metà consumata solo in Cina e Vietnam, secondo il report Out of control means off the menu, pubblicato dalla rivista Marine Policy. Anche secondo l’organizzazione Sea Around Us, la produzione si attesta a 1,4 tonnellate di pescato annuale, mettendo in serio pericolo il 60% delle specie di squali esistenti. A questo si aggiunge la drammatica percentuale di pescato sostenibile, che si ferma al 12%. Quindi, sempre secondo Sea Around Us, sono circa 25.000 le tonnellate di pinne essiccate prodotte in modo illegale o non sostenibile che ogni anno arrivano nei mercati internazionali per poi essere serviti nella famosa zuppa di pinne di squalo.

Pochissime leggi e controlli, quindi, per una pesca sostenibile, e scarso interesse nei confronti del danno ambientale che questa inarrestabile corsa allo squalo potrebbe causare. Alla caccia sfrenata e incontrollata si aggiunge poi il fatto che lo squalo è un mammifero, non si riproduce in grandi quantità e, soprattutto, la sua crescita è lenta, così come lo sviluppo. Per non mettere a rischio la specie, il pescato dovrebbe non superare mai la soglia del 4,9% annuale.

Una pratica crudele: il finning

A questi numeri sconcertanti che manifestano il totale disinteressamento nei confronti della sopravvivenza della specie, si aggiunge la crudele pratica adottata per recuperare queste preziose pinne, chiamata finning: il metodo consiste nel prelevare lo squalo dall’acqua, tagliargli le pinne e rigettarlo in mare ancora vivo. L’animale, senza più la capacità di muoversi, viene così reso inerme, impossibilitato a muoversi e quindi trasformato in cibo per gli altri pesci. Così, il predatore dei mari diventa preda mutilata e indifesa. Il Consiglio Europeo si era già pronunciato contro questa pratica, prima nel 2003 attraverso un divieto che però ammetteva delle deroghe in casi di lavorazione del pesce a bordo, come ad esempio la possibilità di eseguire questa pratica ma prevedendo anche la conservazione di tutto il resto dello squalo (difficilissimo da controllare), e successivamente, grazie anche alle pressioni dell’organizzazione Shark Alliance, nel 2013, con una modifica al precedente regolamento che ha eliminato anche le deroghe, imponendo ai pescherecci di sbarcare nei porti con il pesce ancora intero. In questo modo si è reso più semplice controllare le modalità di produzione delle pinne di squalo e la tutela dell’animale e delle risorse. Tuttavia, il finning continua a essere praticato illegalmente e in enormi quantità, così le pinne che si trovano nei mercati di tutto il mondo sono in un’enorme percentuale frutto di bracconaggio e contrabbando.

Cosa si può fare?

Sempre nello studio di Marine Policy, per far fronte a questo tracollo demografico dei predatori dei mari viene caldamente consigliato di eliminare i piatti che ne contengono le pinne dai menù dei ristoranti. Naturalmente viene inoltre chiesto un controllo maggiore sulla pesca e sul finning, ma è molto complicato perché la pesca viene praticata in alto mare e spesso in luoghi del mondo in cui i governi non si attivano per problematiche di questo genere, anche a causa di poche risorse economiche a disposizione. Pare che il fenomeno si stia lentamente riducendo, grazie anche a diverse campagne come I’m FINished with Fins, portata avanti da Shark Savers, ma i numeri della pesca non si sono ancora ridotti abbastanza da consentire un efficace ripopolamento dei mari.

Un mondo senza squali

Se gli squali dovessero davvero arrivare a estinguersi, le conseguenze sarebbero imprevedibili. Innanzitutto si verrebbe a creare un forte squilibrio nell’ecosistema marino, provocato dall’improvvisa assenza del predatore numero uno: questo comporterebbe un enorme aumento demografico di diverse specie di pesci e la catena alimentare dovrebbe riassestarsi. Anche a livello turistico ci sarebbero non poche ripercussioni, considerato l’ingente numero di turisti che ogni anno si sposta in determinate zone per poterli ammirare.