Un caricabatterie universale per tutti gli smartphone e i tablet: così l’Ue vuole combattere l’inquinamento elettronico

La proposta della Commissione europea è quella di rendere le porte USB-C lo standard per i cavi di ricarica dei dispositivi elettronici. Evitando l’accumulo di fili obsoleti o incompatibili si stima di una riduzione di 180 ktCO2 l’anno e di quasi mille tonnellate di rifiuti elettronici ogni 12 mesi.
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Kevin Ben Alì Zinati 24 Settembre 2021

Apparentemente potrebbe sembrare un grande aiuto a migliaia di consumatori. Chissà quante volte ti sarà capitato di restare con il telefono a corto di batteria, chiedere disperatamente un caricatore a qualcuno e ricevere la doccia fredda del “mi spiace ma non funziona con il tuo”.

Ma la proposta della Commissione europea di eliminare le differenze tra i cavetti per i nostri smartphone o tablet e creare un modello “buono” per tutti rappresenta anche un grande aiuto al nostro ambiente.

Modificare l’attacco dei caricabatterie rendendo le porte USB-C lo standard permetterà infatti di spingere sul pedale del freno. Senza più la necessità di cavi e cavetti sempre diversi si limiterà la produzione di milioni di prodotti destinati a diventare obsoleti alla prima uscita di un cellulare nuovo e risparmierà a noi l’accumulo di quelli che l’evoluzione tecnologica sempre più rapido renderebbe in brevissimo tempo altri rifiuti.

Un cambiamento piccolo e a prima vista secondario che però potrebbe aiutarci sensibilmente a ridurre una consistente fetta di inquinamento elettronico e a contenere ancora di più le emissioni di gas serra.

La proposta della Commissione è una revisione della direttiva sulle apparecchiature radio, le porte di ricarica e la tecnologia di ricarica rapida che ha l’obiettivo di armonizzare questo tecnologie puntando a rendere le porte USB-C il formato standard per tutta una serie di dispositivi.

Non sto parlando solo dei cellulari o dei tablet ma anche delle videocamere, delle cuffie, delle casse e gli altoparlanti portatili o le consolle portatili per i videogiochi. Insomma: l’idea è mettere a disposizione un cavo unico e universale praticamente per tutto il mondo dell’elettronica.

Non è la prima volta che si cerca di intervenire su questo piccolo grande dettaglio. Già anni fa una serie di accordi internazionali aveva permesso di ridurre il numero di caricabatteria per telefoni cellulari dai 30 esistenti ai 3 protagonisti nell’ultimo decennio. La soluzione definitiva però non era mai arrivata.

Pensa solo che nel 2020 in Europa sono stati venduti oltre 400 milioni di smartphone e altri dispositivi elettronici portatili. Secondo le stime della Commissione ognuno di noi, in casa, aveva una media di tre caricabatteria usandone regolarmente due.

I progressi tecnologici e l'incompatibilità tra dispositivi hanno fatto il resto. Circa il 38% dei consumatori, infatti, si è comunque trovato nella situazione di non riuscire a caricare il proprio smartphone perché il cavetto che aveva a disposizione non andava bene, vedendosi costretto a comprarne altri.

L’impronta ambientale di questo sistema produttivo non è indifferente dal momento che, secondo le stime, i caricabatteria smaltiti e non utilizzati rappresentano fino a 11mila tonnellate di rifiuti elettronici generati ogni anno.

Per questo sono in arrivo le nuove misure, che dovrebbero ridurre le emissioni di gas serra di circa 180 ktCO2 l'anno e i rifiuti elettronici di quasi mille tonnellate ogni 12 mesi.

Per spingere ancora di più in questa direzione la proposta della Commissione europea prevede anche di  separare la vendita dei caricabatteria da quella dei dispositivi elettronici. Ciò consentirebbe di ridurre l'estrazione delle risorse necessarie per la produzione dei caricabatteria, la produzione stessa, il loro trasporto, l'uso e quindi lo smaltimento.

Il commissario Ue per il Mercato unico, Thierry Breton, mentre spiega la proposta sui caricabatterie. Photo credit: Commissione europea.

In questo modo poi i consumatori potranno comprare un nuovo dispositivo elettronico anche senza un nuovo caricabatteria, riutilizzando quelli che già hanno e senza rischiare di accumularne due, tre, dieci nel cassetto.

Quanto tempo ci vorrà per la “transizione”? Almeno due anni, nel senso che la proposta dell’Ue dovrà ora essere adottata dal Parlamento europeo e dal Consiglio secondo la procedura legislativa ordinaria. Dalla dalla data di adozione darà all'industria passerà un ampio margine di tempo, circa 24 mesi, che servirà chiaramente a permettere alle aziende di adeguarsi alle nuove prescrizioni.