
Si muove in fretta e si sta impossessando di uno dei paradisi del nostro pianeta. È una vera marea nera fatta di più di mille tonnellate di petrolio e sta mettendo in ginocchio l’isola di Mauritius, la sua biodiversità e i suoi ecosistemi. A metà luglio una nave porta rinfuse giapponese è rimasta incagliata in una barriera corallina, poi le onde hanno cominciato a infrangersi contro le sue pareti che giovedì scorso non hanno più resistito e si sono squarciate. Da lì, da quelle ferite nel duro metallo, da giorni ormai stanno fuoriuscendo litri e litri di carburante. Oltre mille tonnellate di greggio avrebbero già invaso le acque di Pointe d'Esny, una zona protetta vicina al parco marino di Blue Bay, nell’Oceano Indiano. Si tratta di uno dei più gravi disastri che l’isola abbia mai dovuto affrontare, tanto che il primo ministro mauriziano ha dovuto dichiarare lo stato di emergenza ambientale: Mauritius, non ha le risorse né le competenze per far reagire da sola.
È il 25 luglio. Una nave portarinfuse giapponese, un’imbarcazione di quasi 300 metri per il trasporto di merci, è in viaggio dalla Cina al Brasile. Non trasporta merci ma “solo” 4 mila tonnellate di carburante: petrolio. La navigazione procede senza intoppi quando però, nelle acque dell’Oceano Indiano con vista sull’isola di Mauritius, qualcosa non va. In prossimità di Pointe d'Esny, una zona protetta vicino al parco marino di Blue Bay, la nave non procede più e resta incagliata tra i “bracci” della barriera corallina che popola il fondale sotto di lei. Immobile e impotente, la portarinfuse è in balia dell’oceano, che giorno dopo giorno si abbatte contro il suo scafo con onde alte e impetuose. Tanto che il metallo non resiste più e giovedì si squarcia. Una serie di buchi devastano le pareti permettendo al petrolio di riversarsi in acqua. Ti ricordi quanto carburate trasportava la nave? Ecco, pensa che da quando ha conciato a “sanguinare”, ha già svuotato nell’oceano più di mille tonnellate di greggio, quindi un quarto del totale.
Si tratta di uno dei più gravi e rischiosi danni che l’isola di Mauritius abbia mai dovuto fronteggiare. È un disastro di fronte cui il primo ministro, Pravind Jugnauth, non ha potuto fare altro che alzare subito banchiera bianca dichiarando ufficialmente lo stato di emergenza ambientale. Secondo gli esperti mauriziani, la zona costiera invasa dal petrolio sarebbe ormai già compromessa: per farla tornare alla vita, dicono, ci vorranno più di 100 anni.
La zona di Pointe d'Esny, dove si è incagliata la nave portarinfuse, è una regione protetta che ospita anche una grande varietà di animali e piante rare e in via di estinzione. Oltre alle barriere coralline e a esemplari di tartarughe giganti o uccelli locali. Specie ed ecosistemi che rischiano seriamente di scomparire o di subire danni a cui serviranno anni, tantissimi, per porvi rimedio. Senza contare i guai economici, dal momento che l’isola di Mauritius dipende in larga parte dal turismo.
Di fronte al disastro ambientale, serve l’aiuto di tutti. Volontari, attivisti e cittadini normali da giorni costruiscono barriere assorbenti fatte con paglia e sacchi per cecare di estrarre più petrolio possibile dall'acqua. Dal resto del mondo, intanto, stanno arrivando rinforzi. La Francia ha già fatto decollare mezzi carichi di materiale e attrezzature mentre Tokyo ha comunicato che invierà un team di 6 esperti per velocizzare la rimozione del petrolio dalle acque.