Uragani più forti potrebbero cambiare le foreste e accelerare i cambiamenti climatici nei paesi tropicali

Due anni fa, l’uragano Maria ha devastato per più di due settimane l’isola di Porto Rico, uccidendo migliaia di persone e sradicando quasi 30 milioni di alberi. Nel processo di ripresa generale della zona, però, una nuova ricerca ha evidenziato che la conformazione delle foreste pluviali si è modificata. E questo potrebbe comportare delle conseguenze anche gravi dal punto di vista ambientale.
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Sara Del Dot 17 Aprile 2019

Le tempeste tropicali fanno sempre molta paura. Le immagini di venti sferzanti con una potenza di centinaia di chilometri orari che piegano gli alberi, sollevano automobili e strappano via i tetti dalle case ci hanno spesso tenuti con gli occhi incollati al televisore, e sebbene si trattasse di un evento climatico molto distante da noi, impossibile non provare un senso di assoluta impotenza pensando alle persone sigillate nelle loro case con la speranza che passasse presto.

Ci sono luoghi in cui episodi meteorologici così forti e distruttivi avvengono con una certa frequenza, come le isole caraibiche. Ad esempio, nel settembre 2017 l’uragano Maria ha devastato per settimane l’isola di Porto Rico con venti fino a 250 km/h, distruggendo ogni cosa al suo passaggio e uccidendo oltre 3000 persone. Al suo risveglio da quell’incubo, l’intera isola era in ginocchio.

Alla furia di Maria non erano scampate nemmeno le foreste tropicali che ricoprono metà della superficie dell’isola, che non solo sono rimaste distrutte perdendo dai 23 ai 31 milioni di alberi, ma addirittura pare abbiano addirittura modificato la loro naturale conformazione. Lo rivela un recente studio pubblicato su Nature il 25 marzo 2019 e condotto da Maria Uriarte della Columbia University’s Earth Insitute, che negli ultimi 15 anni si è dedicata allo studio degli alberi proprio di Porto Rico.

Dopo il passaggio dell’uragano, la scienziata si è recata diverse volte sull’isola per analizzare in che modo le foreste si stessero rigenerando, e ha notato che la loro composizione dal punto di vista delle specie presenti, stava cambiando: alcune specie erano diminuite, mentre altre aumentavano esponenzialmente. Una sorta di selezione naturale in base alla legge del più forte o, in questo caso, del più flessibile. Tramite una comparazione con i danni provocati da tempeste precedenti nello stesso luogo (l’uragano Hugo del 1989 e George del 1998), la scienziata ha potuto notare come, se prima gli alberi con i tronchi più massicci erano quelli che più di tutti riuscivano a rimanere in piedi, nel caso dell’uragano Maria non solo gli alberi centenari di legno massiccio sono stati colpiti, rotti e sradicati, risultando quindi in diminuzione, ma stanno anche venendo sostituiti dalle palme, che crescono al loro posto. Forse perché reagiscono meglio agli uragani avendo il tronco più flessibile e quindi sono meno soggette a rotture. La ricerca di Maria Uriarte suggerisce che questo effetto potrebbe essere un presagio di cambiamenti che in grado di colpire diverse foreste lungo gran parte dei tropici atlantici, se il cambiamento climatico portasse altre potenti tempeste.

Ma il punto cruciale è un altro. Le palme sono in grado di trattenere molto meno carbonio rispetto ad altre tipologie di alberi con il legno più massiccio. Di conseguenza una quantità molto maggiore di carbonio verrebbe immessa nell’aria invece di essere trattenuta, e le foreste finirebbero lentamente col diventare allo stesso tempo vittime e fautrici dei cambiamenti climatici. Inoltre, se uragani della portata di Maria diventassero la norma, gli alberi delle foreste tropicali non farebbero che rilasciare carbonio in continuazione, molto più di quanto, ricrescendo, potrebbero contenere. Questo minor assorbimento di carbonio da parte delle foreste pluviali provocherebbe un generale aumento della temperatura, che porterebbe a un ulteriore aumento della temperatura degli oceani, che di conseguenza renderebbe gli uragani ancora più intensi e violenti, aumentando la possibilità di un ulteriore distruzione e sradicamento di alberi. Un circolo vizioso da cui sarebbe difficile, se non impossibile, uscire.

Fonte | "Hurricane María tripled stem breaks and doubled tree mortality relative to other major storms", pubblicato su Nature il 25 marzo 2019