Vive in Amazzonia per salvare le foreste e sostenere le popolazioni locali: intervista a Emanuela Evangelista, biologa e attivista

Prima gli studi in biologia, poi l’attività di ricercatrice ambientale che la porta sempre più spesso in Amazzonia. Ed è qui che Emanuela Evangelista ha deciso di trasferirsi una volta per tutte per proteggere l’ambiente dalla deforestazione e dal bracconaggio e per sostenere la popolazione locale.
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Gaia Cortese 24 Maggio 2022

Biologa e ricercatrice, Emanuela Evangelista, è impegnata da quasi vent’anni in Amazzonia per proteggerne non solo habitat, ecosistemi e specie a rischio di estinzione, ma anche per sostenere le popolazioni locali per quanto riguardo il diritto alla salute, all’istruzione e al reddito.

Per questo motivo Emanuela è anche Presidente di Amazonia Onlus, un'associazione fondata da lei stessa nel 2004 che nel porsi l’obiettivo di migliorare la vita dei nativi locali, sta lavorando a un progetto per proteggere il Parco Nazionale dello Jauaperi, un’area che garantisce ad almeno 1.500 nativi un ruolo attivo nella gestione del territorio, nella protezione delle proprie tradizioni e nell’uso sostenibile delle risorse naturali.

Per questo progetto Emanuela si è aggiudicata il premio Terre de Femmes della Fondazione Yves Rocher. Noi di Ohga l'abbiamo (virtualmente) raggiunta in Amazzonia per conoscerla e per farci raccontare qualcosa di più di questo virtuoso progetto.

Come è nato il tuo amore per l’Amazzonia?

Sono biologa e più di vent'anni fa la ricerca scientifica mi ha portato in Amazzonia, in aree remote e abitate da popolazioni tradizionali. La convivenza con gli abitanti della foresta, che sono stati fondamentali per le mie ricerche, mi ha fatto capire la necessità di conciliare la difesa degli habitat e delle specie minacciate di estinzione con i bisogni umani e la lotta alla povertà.

Come hai deciso nel 2013 di trasferirti in Amazzonia definitivamente?

Dalla fondazione di Amazonia Onlus a Milano nel 2004, non ho mai smesso di venire in Amazzonia regolarmente, per periodi che variavano da sei a dieci mesi l’anno, quello che mi serviva per portare avanti i progetti di conservazione ambientale e di appoggio alle popolazioni tradizionali.

La decisione di un trasferimento è venuta naturale, con il tempo e con l’aumento del lavoro, che aveva lo scopo di portare ai popoli della foresta sempre nuove occasioni di sviluppo sostenibile e di interscambio: filiere alimentari, artigianato, ricerca scientifica, ecoturismo comunitario, cooperazione Sud-Sud con l’Africa, viaggi, formazione professionale, educazione ambientale e via dicendo. In quegli anni gli interventi di Amazônia hanno raggiunto quattro bacini idrografici, 5 milioni di ettari di foresta e sono arrivati a beneficiare diverse comunità tradizionali e gruppi indigeni Yanomami.

Quali sono i principali obiettivi del progetto “Protezione della foresta Amazzonica: Parco Nazionale dello Jauaperi” che hai avviato in questa area?

Nel 2018, insieme alla popolazione tradizionale del Rio Jauaperi, affluente del Rio Negro, principale tributario del Rio delle Amazzoni, abbiamo ottenuto la creazione di un’importante area protetta, con un’estensione pari a due terzi della Corsica. Il Parco Nazionale dello Jauaperi, in brasiliano definito Reserva Extrativista do Baixo Rio Branco e Jauaperi (RESEX), misura 581.173 ettari ed è stato creato con decreto presidenziale dopo 17 anni di attivismo ambientale e battaglie civili. Il parco protegge una regione minacciata dall’apertura di nuove strade, dall’industria del legname e dall’espansione dell’agricoltura intensiva e si aggiunge ad un importante corridoio di aree protette, rappresentando un baluardo nodale per la lotta al caos climatico.

La difesa degli habitat e delle specie minacciate di estinzione devono essere conciliate con i bisogni umani e la lotta alla povertà.

L’area protetta garantisce a 1.500 nativi il diritto di residenza e un ruolo attivo nella gestione del territorio, nella protezione delle proprie tradizioni e nell’uso sostenibile delle risorse naturali. Il progetto vuole contribuire al futuro del parco supportando i suoi abitanti per il controllo del territorio, offrendo strumenti di gestione partecipativa e proponendo opportunità di reddito alternative al bracconaggio. Infatti, nonostante la legge garantisca formalmente la protezione della foresta, mancano le risorse economiche istituzionali per azioni cruciali come la sorveglianza ambientale, la prevenzione degli incendi e la costruzione di un piano di gestione partecipativo, che va sviluppato in partnership con il Ministero dell’Ambiente (ICMBio).

Allo stesso tempo servono risorse per sostenere i nativi nel loro percorso di sviluppo sostenibile. Il premio permetterà anche il supporto alla cooperativa locale CoopXixuaú, realtà nata grazie al progetto che offre ai nativi opportunità di reddito e lavoro in alternativa al bracconaggio. Gestendo attività quali ecoturismo, raccolta di prodotti della foresta e produzione di artigianato, la cooperativa genera reddito diretto per 50 famiglie e un indotto indiretto per molti abitanti del parco.

L’appoggio alla cooperativa è particolarmente importante nell’attuale fase di ripresa dopo la pandemia di Covid-19, che in Amazzonia è stata particolarmente aggressiva. Attualmente sono soprattutto le attività generatrici di reddito a dover essere riorganizzate e adeguate al nuovo scenario post-Covid.

A cosa è dovuta l’ampia diffusione del bracconaggio nell’area del Parco?

Alla povertà in primo luogo, il bracconaggio è praticato soprattutto dove non ci sono alternative di reddito. Nei piccoli villaggi rurali la povertà porta degrado, cioè l’impoverimento della foresta e dei suoi fiumi delle risorse più preziose, che sono richieste dai mercati vicini.

Allo stesso tempo la consapevolezza del rischio ambientale è debole. È più facile per noi capire il pericolo del prelievo sconsiderato delle risorse e del bracconaggio su larga scala, perché ne conosciamo le conseguenze. Per un abitante della foresta non è immediato.

E quali potrebbero essere delle soluzioni per porre fine al problema?

Reddito e educazione ambientale. Portare alternative al bracconaggio significa portare nuove possibilità di lavoro, che possono
essere incontrate insieme, mettendo d’accordo le preziose conoscenze tradizionali dei popoli della foresta con la nostra scienza e tecnologia. Allo stesso tempo serve lavorare sull’educazione ambientale, intesa come consapevolezza del valore della foresta e delle sue risorse naturali e dell’importanza di mantenere l’integrità degli ecosistemi. Le nuove generazioni affrontano la difficile transizione verso la modernità e l’avvicinamento alla realtà urbana. Hanno bisogno di strumenti per comprendere il valore di un ambiente sano ed equilibrato e la necessità di mantenerlo tale.

Oltre alla salvaguardia ambientale, Amazônia Onlus si occupa anche di sostegno sociale alla popolazione locale. Quali sono i problemi più evidenti che emergono?

Il diritto alla salute è il primo diritto negato in Amazzonia. Con municipi delle dimensioni di paesi, lunghe distanze, popolazioni di difficile accesso, bassi investimenti in servizi pubblici e difficoltà di trasporto e comunicazione, l’assistenza sanitaria è ridotta alla visita saltuaria di imbarcazioni governative, non sempre provviste di medicinali e raramente con medici a bordo. In caso di necessità, gli abitanti della foresta devono raggiungere i principali centri urbani, con un viaggio che
può richiedere anche giorni di navigazione.

Sicurezza alimentare e accesso all’acqua potabile sono rarità. L’accesso fisico e economico a alimenti sicuri e nutrienti e in quantità sufficienti non sempre è possibile e la malnutrizione è dietro l’angolo. Nella regione con la maggiore disponibilità di acqua dolce del pianeta, milioni di persone non hanno ancora accesso all'acqua potabile o a fonti idriche qualitativamente sicure.

Istruzione scolastica e formazione al lavoro sono anch’essi bisogni a cui è difficile rispondere nelle zone più isolate e di difficile accesso dell’Amazzonia. Quando esistono, le piccole scuole locali hanno spesso una sola classe, con studenti di età e livelli di istruzione diversi. Anche a causa delle difficoltà di trasporto e della distanza, a volte mancano gli insegnanti e la didattica è discontinua. Inoltre, la maggior parte delle scuole è a orientamento urbano, con una struttura curriculare che non considera il potenziale educativo della foresta e dei suoi fiumi. Per finire, è difficilissimo l’accesso alla formazione professionale, che porta nuove conoscenze e abilità e può offrire nuove possibilità di reddito e lavoro.

Come rispondono locali all’attività dell’associazione?

Sempre con molta partecipazione e interesse. Ogni azione è pensata e realizzata in sinergia, sappiamo per esperienza che se un progetto non incontra il favore delle popolazioni locali non funzionerà.

E invece come credi possano rispondere gli italiani al tuo appello sul pericolo che sta correndo l’Amazzonia di trasformarsi in savana in meno di vent’anni?

Domanda più difficile. Nonostante oggi ci sia più attenzione per la protezione delle foreste e della stessa Amazzonia, perché un appello sia ascoltato è necessario comprenderne l’urgenza, le conseguenze del dramma a cui l’appello fa riferimento, ma anche mostrare che esistono azioni concrete che ognuno di noi può compiere per evitarlo. Quindi molto dipenderà dalla diffusione dell’appello.

L'Amazzonia è cruciale per l’equilibrio climatico, eppure ne abbiamo già perso l’equivalente a due Germanie.

Tutti possiamo portare attenzione al tema, qualunque sia la nostra professione, al lavoro, in famiglia, nella scuola, attraverso le reti sociali. Possiamo fare la differenza come consumatori e diventare più consapevoli, più responsabili. Non è sempre facile ma è necessario capire da dove proviene ciò che consumiamo perché l’Italia importa carne, pellame, soia per gli allevamenti e legname dal Brasile, tutti prodotti a rischio di provenienza da deforestazione. In generale, ridurre i consumi aiuta a muoversi nella giungla delle informazioni. Consumare meno, essere più sobri, fa bene al Pianeta.

Inoltre, possiamo fare la differenza come investitori. Investire nella finanza etica, influenzando così i comportamenti delle banche e delle assicurazioni, cioè dei capitali che finanziano la distruzione della foresta.

Cosa accadrebbe al pianeta Terra se davvero l’Amazzonia scomparisse?

Se dovessimo raggiungere il punto critico, quando scatta il processo irreversibile di trasformazione di un habitat, il 60-70% della foresta amazzonica diventerebbe un ecosistema più arido, molto simile a una savana. Si prevedono diverse conseguenze, anche globali.

Prima di tutto, a livello locale, verrebbe a mancare l’apporto idrico che oggi consente al sud est del Brasile di produrre il 70 per cento del PIL e consente la maggior produzione agricola (cotone ed etanolo) e idroelettrica del Paese. La regione in cui si trovano le grandi metropoli di São Paulo e Rio de Janeiro si trova alla stessa latitudine dei grandi deserti di Atacama, di Namibia e Australiano. Perché non è desertica? Perché la foresta amazzonica le regala piogge in abbondanza.

Poi registreremmo conseguenze sul clima globale, che è regolato da correnti oceaniche che ricevono il 20 per cento di apporto dal Rio delle Amazzoni, e che risentirebbe del rilascio in atmosfera dell’enorme quantità di gas serra emessi con la distruzione della foresta. Infatti, l’Amazzonia è un gigantesco deposito di carbonio e contiene più di 150 miliardi di tonnellate dell’elemento chimico, nel suolo e nella vegetazione.

Non da ultima la perdita inestimabile di biodiversità, che ridurrebbe la disponibilità di risorse alimentari, energetiche, medicinali e culturali. La buona notizia è che l’80 per cento dell’Amazzonia è ancora in piedi. E salvarla è ancora possibile.

Cosa ha significato per te ricevere il premio di Terre de femmes?

Questa vittoria è un segnale molto positivo per me, perché significa che c’è attenzione per la protezione delle foreste. Oggi sappiamo che senza foreste sarà impossibile contenere l’aumento globale delle temperature, eppure ogni anno il mondo ne perde 20 milioni di ettari. Sappiamo che l’Amazzonia, che contiene il 40 per cento delle foreste pluviali del pianeta, è cruciale per l’equilibrio climatico, eppure ne abbiamo già perso l’equivalente a due Germanie.

Il premio Terre de Femmes della Fondazione Yves Rocher, supportato da Yves Rocher Italia, è davvero una risorsa fondamentale per tutte quelle donne che, come me, portano avanti a fatica progetti a sfondo ambientale, su piccola o su larga scala. Ci aiuterà a continuare il nostro lavoro e dunque permetterà la protezione di un angolo di questa maestosa foresta. Ma soprattutto contribuirà alla grande sfida di diffondere l’appello dell’urgenza di fermare la deforestazione. Perché dalle foreste dipende la qualità delle nostre vite e il futuro dell’umanità.