“Voi G20, noi il futuro”: a Roma più di 40mila scendono in piazza per chiedere giustizia climatica

Ci sono tutti, dagli attivisti di Fridays for Future ed Extinction Rebellion, alle associazioni come Legambiente e Greenpeace. Ma si sono unite anche le sigle sindacali, i movimenti sociali e tutte le realtà preoccupate che il vertice conclusivo della presidenza italiana del G20 non porterà a nessuna decisione efficace contro la crisi climatica. Con Ohga siamo andati a raccogliere le loro voci.
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Giulia Dallagiovanna 31 Ottobre 2021

Erano in più di 40mila al motto di "Voi G20, noi il futuro". Mentre nei palazzi dell'EUR iniziava la due giorni di vertice conclusivo del Global Summit a presidenza italiana, ambientalisti, associazioni, sindacati e realtà locali sono scesi in strada per chiedere una sola cosa: giustizia climatica. "Voi G20, noi il futuro perché chi sta là dentro non solo per motivi anagrafici, ma anche per i gruppi sociali che rappresenta, per gli interessi economici che tutela è davvero lontano dalle esigenze delle persone comuni – ci spiega Lorenzo Tecleme, attivista di Fridays for Future – ‘Noi il futuro' vuol dire che i giovani sono le persone che sentiranno su di loro le conseguenze più gravi della crisi climatica".

Sono proprio loro a guidare il corteo che ha raccolto anche gli Extincion Rebellion italiani, Legambiente, Greenpeace, Amnesty International, No Tav, No Triv, i movimenti per l'acqua pubblica, la rete Fuori dal Fossile e le reti studentesche, esperienze del mondo contadino e dell'agroecologia. E ancora, il percorso si tinge di rosso con le bandiere di sindacati, vertenze operaie e movimenti sociali. Ma partecipano anche le femministe di Non una di meno, e tanti altri gruppi di cittadini preoccupati per questo che sta già accadendo e per le conseguenze delle crisi climatica che ormai stiamo per conoscere.

"Giustizia climatica ha un senso molto più ampio rispetto a quello che normalmente si può intendere– ci fa notare Michela Spina, portavoce di Fridays for Future Italia. – La crisi climatica è una crisi che colpisce la politica, non solo ciò che non riusciamo a vedere concretamente. Anche se purtroppo ultimamente lo stiamo anche vedendo con tutti gli eventi che continuano a chiamare maltempo, quando maltempo non è. È la manifestazione di un modello di sviluppo errato che ha le sue conseguenze negli eventi estremi".

"Continuiamo a chiamare maltempo gli eventi estremi. Non solo maltempo. Sono il risultato di un modello di sviluppo errato"

"Abbiamo avuto il primo uragano in Sicilia quest’estate – rincara Stefano Mangini di Greenpeace. – 50 gradi in Canada. E in Sicilia ci siamo andati molto vicino. Per non parlare di tutte le altre catastrofi in giro per l'Europa e per il mondo. Non c’è più tempo, bisogna assolutamente agire con molta più urgenza".

Un'urgenza che, per la verità, i leader del mondo non sembrano avere. Il primo Comunicato G20 Ambiente emerso a luglio dall'incontro di Napoli tocca tanti punti, ma lascia fuori quelli più importanti: la decarbonizzazione prima di tutto. E dalla bozza che è trapelata poche ore fa, non ci si aspetta nulla di meglio nemmeno per la fine dei negoziati. I Paesi membri infatti ribadiranno il proprio impegno a mantenere l'aumento della temperatura media globale ben al di sotto dei 2 gradi e proseguiranno gli sforzi per limitarlo a 1,5 gradi, si legge. Spariscono però le "azioni immediate" e lasciano il posto a più vaghe "azioni significative ed efficaci". Ma soprattutto nessun riferimento all'obiettivo emissioni zero entro il 2050.

Una versione preliminare, sì, ma che gli attivisti vedono già come un fallimento. "Siamo qui per protestare contro il fallimento del G20 – ci conferma Domenica Barbato degli Extinction Rebellion. – I leader mondiali si sono riuniti in un ennesimo summit e hanno fallito nel loro incarico di proteggerci contro il cambiamento climatico e la sesta estinzione di massa".

"Nella direzione in cui stiamo andando adesso arriveremmo a +2,7 gradi alla fine del secolo – precisa Filippo Sotgiu, portavoce di Fridays for Future Italia. – Vuol dire catastrofe climatica, la fine della vita sulla Terra per come la conosciamo".

Dunque ecco perché sono tutti in piazza. La posta in gioco è alta e si scontra con interessi economici enormi. Basti pensare alla Cina che a parole promuove uno sviluppo sostenibile e allo stesso tempo aumenta la produzione di carbone, una delle fonti fossili più inquinanti, perché rimasta a corto di energia e ha il terrore di frenare la crescita economica. Trovare un accordo non è semplice, però è vitale. Nel senso letterale del termine.