Vuoto a rendere: perché, anche in Italia, torna la voglia (e la necessità) di riciclare il vetro

Dall’Ichnusa alla Peroni, la bottiglia di vetro torna protagonista del vuoto a rendere, un sistema di riciclaggio “in voga” quarant’anni fa. Eppure funzionava e oggi potrebbe avere un ruolo determinante nel sostenere l’economia circolare.
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Gaia Cortese 11 Agosto 2022

Era caduto nel dimenticatoio ma, trattandosi di una buona pratica (ma non solo per questo), sta tornando alla ribalta. Parliamo del vuoto a rendere, un sistema di riciclaggio che prevede di restituire al fornitore, una bottiglia o altro contenitore di vetro vuoto, per riutilizzarlo “enne" volte dopo esser stato pulito e igienizzato opportunamente.

Fino a quarant’anni fa, il vuoto a rendere ha funzionato anche bene. Nel momento in cui si acquistava una bevanda contenuta in una bottiglia di vetro si pagava una sorta di cauzione, che poteva essere riscattata restituendo la bottiglia o acquistandone una nuova. Era semplice e richiedeva poco sforzo. Un volta a settimana passava l'"omino" incaricato della consegna delle bevande, pronto ritirare i cosiddetti "vuoti a rendere".

Una buona abitudine che purtroppo si è parzialmente persa negli anni, almeno in Italia. In altri paesi Europei, per esempio in Germania, ancora oggi sono diverse le iniziative che puntano al riciclo del vetro, tant'è che il sistema prevede che i vuoti a rendere possano essere trasformati in buoni spesa, cosi da incentivare i consumatori a promuovere questo forma di economia circolare. 

Sempre rimanendo in Germania, un recente articolo pubblicato sul New York Times spiega come, negli ultimi tempi, i produttori di birra tedeschi si siano trovati a fare i conti con rilevanti incrementi dei costi di produzione a causa dell’aumento dei costi dell'energia elettrica e del gas, del rincaro dell’orzo e anche della carenza di bottiglie di vetro, il cui prezzo è aumentato dal momento che non vengono più prodotte in Ucraina e non possono essere importate da Russia e Bielorussia. Tuttavia, in Germania, si è già consolidato un sistema di raccolta di bottiglie usate per cui il consumatore viene invogliato ad aderire a "vuoto a rendere" semplicemente pagando una cauzione di 8 centesimi in più all'acquisto, che gli viene comunque restituita quando rende indietro la bottiglia. E, sorpresa, tutto questo funziona.

In Italia si riutilizza meno del 10% delle bottiglie di vetro messe in commercio.

E in Italia? Nel nostro Paese sembra manchino iniziative, accordi e infrastrutture per arrivare a riutilizzare una maggior percentuale di bottiglie di vetro: siamo fermi al 10 per cento quando in alcuni stati del Nord Europa la percentuale supera il 70 per cento.

In Italia c’è penuria di materie prime sia nel settore delle conserve sia nel comparto produttivo del vino: manca il vetro per le bottiglie, ma anche i cartoni per l’imballaggio e la carta per le etichette se si stringe il campo alle aziende produttrici di vino. È quindi chiaro che anche qui la soluzione potrebbe essere quella del "vuoto a rendere", una pratica che negli anni si è venuta a perdere in Italia, proprio per la mancanza di infrastrutture destinate alla raccolta delle bottiglie e al loro trattamento.

Eppure i vantaggi del "vuoto a rendere" sono numerosi. In primis la riduzione delle emissioni di C02, oltre il risparmio sull'uso delle materie prime (acqua e gas metano utilizzati per le fornaci). Diffondendo questa prativa, avremmo tutti una minor produzione di rifiuti e quindi un abbattimento del cosiddetto littering, ossia l’abbandono dei rifiuti nelle aree pubbliche o del loro inadeguato smaltimento.

Il vetro ha alle spalle cinquemila anni di storia, ma è uno dei materiali più innovativi considerato che può essere riciclato infinite volte, ad emissioni zero e che si presta particolarmente a mettere in pratica i principi dell'economia circolare. Non è un caso, infatti, che il 2022 sia stato proclamato dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite l’Anno del Vetro, nel nome di una sempre maggiore sensibilità per le tematiche e le pratiche di riuso e riciclo. Certo, prendere iniziative spetterebbe ai Governi, ma se nel frattempo imprese e produttori si fanno venire buone idee, non è un male.

Per citare qualche esempio virtuoso, solo pochi anni fa Ichnusa aveva rilanciato il vuoto a rendere inaugurando una linea green di bottiglie contraddistinte da un tappo verde e la scritta”rispetto, riuso e impegno”. Sul sito del noto marchio si legge che secondo la CF 27/18 di Certiquality con il vuoto a rendere le emissioni di gas a effetto serra sono ridotte di oltre un terzo. Senza considerare di quanto si sia ridotto il numero delle bottiglie da smaltire, differenziare e riportare sulla penisola.

Da sempre impegnato nella riduzione dell’impatto ambientale anche il marchio Peroni ha recentemente rinnovato il suo impegno rilanciando sul mercato nuove bottiglie destinate al vuoto a rendere. Le nuove bottiglie sono chiamate "UNI" perché universali tra tutti i produttori di birra, più resistenti rispetto alle normali bottiglie e riconoscibili per il colore verde e la presenza dell’icona del riciclo, oltre che per la dicitura “vuoto a rendere”.

Dalla birra all'acqua minerale il passo è breve e anche qui non mancano i marchi più sensibili al tema. Levico Acque utilizza bottiglie di vetro, con vuoto a rendere, che possono essere riutilizzabili fino a trenta volte e riciclabili al 100 per cento; oltretutto un nuovo impianto dell'azienda consente un risparmio del 70 per cento dell’acqua di lavaggio, acqua che viene a sua volta recuperata e riutilizzata. Anche le bottiglie di Acqua Frisia sono tutte in vetro a perdere, una scelta aziendale che si accompagna a quella di utilizzare tappi in alluminio riciclabile ed etichette ecologiche in carta certificata FSC®.