Xylella fastidiosa: cause, conseguenze e danni che il batterio ha portato in Puglia

Un’intera economia in ginocchio per colpa di un batterio che viene da lontano, un insetto vettore difficile da contenere e un territorio deturpato. Ecco cosa ha fatto la Xylella alla Puglia e ai pugliesi in questi sei anni.
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Sara Del Dot 14 Gennaio 2020

La Puglia ospita, o meglio ospitava, 60 milioni di piante di ulivo, delle quali quasi 11 milioni soltanto in provincia di Lecce. Ulivi secolari, considerati parte della famiglia dai loro proprietari e agricoltori e patrimonio storico, economico e paesaggistico della Regione Puglia e dell’Italia tutta. Da sei anni a questa parte, però, proprio gli ulivi da cui dipende una cospicua parte dell’economia della zona hanno subito un fenomeno che ha rallentato, se non proprio bloccato, le attività produttive pugliesi. Si chiama Xylella fastidiosa ed è un batterio fitopatogeno che colpisce gli ulivi dall’interno, bloccando i vasi attraverso cui scorre la loro linfa e quindi impedendone l’idratazione, facendoli seccare fino alla morte. Dopo anni e anni di ricerche, un’inchiesta giudiziaria conclusasi nel nulla e tanto, troppo tempo sprecato a guardare altrove, è risultato evidente che l’unico modo per liberarsi del batterio è l’eradicazione.

Ma cosa ha comportato l’arrivo della Xylella fastidiosa nella Regione Puglia e quali implicazioni ha avuto? Gianni Cantele, presidente della Coldiretti Puglia, ha ripercorso con noi i punti salienti della questione.

Lecce è stata la prima provincia a ricevere questo “regalo”, ovvero la Xylella, importata da piante infette provenienti dall’estero. In questa zona, il batterio ha trovato un ambiente estremamente favorevole per le temperature, la diffusione dell’insetto vettore che l’ha trasmessa ovunque e la quasi totale assenza di soluzioni di continuità che l’oliveto salentino presenta come caratteristica propria.”

Un ambiente favorevole che ha permesso al batterio di espandersi facilmente e rapidamente, divorando qualsiasi cosa si trovasse al suo passaggio, passaggio mai ostacolato grazie alle immense distese di ulivi che da secoli caratterizzano il territorio salentino.

“Oggi è possibile affermare che ci sono 180mila ettari di Regione Puglia in area infetta, e non solo uliveti. Praticamente stiamo parlando del 40% della Puglia. Se poi si considera che le piante sono quasi equamente distribuite il danno oggi, rispetto alle 60 milioni di piante, è facile da calcolare. 20 milioni di piante che si possono considerare definitivamente compromesse”.

Una compromissione irreversibile che ha finito col mettere letteralmente in ginocchio un’intera categoria di lavoratori e produttori, costretti a chiudere le loro attività e vendere impianti, macchinari e legno secco per tirare avanti.

“Oggi la produzione olivicola è stata praticamente azzerata, anche perché le uniche varietà resistenti di olivo, come il Leccino e l’FS17, non raggiungono probabilmente il 10% di presenza in provincia di Lecce e sono gli unici, pochissimi oliveti ancora in grado di produrre olio… Complessivamente la perdita si è portata attorno al 90%, quindi in pratica quest’anno produrremo il 10% di quanto si produceva nel 2013, anno in cui il batterio è arrivato nel territorio.

Questo implica una situazione gravissima, una perdita economica enorme per le imprese, che già da tempo si sta manifestando. Infatti, le giornate di lavoro agricolo si stanno gradualmente riducendo e oggi le aziende si reggono ancora in piedi tramite la vendita della legna delle piante secche di cui è stato concesso l’espianto.

Senza parlare dei frantoi, la cui produzione nel giro di questi anni è calata fino al 75% rispetto al normale e in cui oggi ci sono circa 5000 persone del settore che rischiano il posto di lavoro o l’hanno già perso perché gli impianti vengono chiusi e venduti. Ecco la situazione drammatica che stiamo vivendo.”

E non è solo il mondo agricolo a essere stato colpito dal batterio.

“A livello agricolo lo scenario generale è questo, ma trasversalmente iniziamo a leccarci le ferite un po’ tutti quanti. Ad esempio, io ho qualche ulivo per la produzione casalinga di olio ma principalmente vivo di viticoltura e produzione di vino. E nonostante questo sto iniziando a percepire la difficoltà di chi viene a trovarmi, di chi arriva per fare enoturismo, a farlo in un ambiente degradato come questo. Perché è evidente, basta percorrere la strada che porta da Brindisi a Lecce per notare con che paesaggio stiamo accogliendo chi viene in Salento oggi. È tutto secco.”

Ma come è stata gestita questa emergenza? Perché non si è riusciti a intervenire prima?

“Chi ha spostato l’attenzione dal problema reale e ha distratto le politiche sono stati innanzitutto gli stessi agricoltori, perché sono stati i primi ad avere difficoltà a prendere in esame il fatto che si dovesse buttare giù una pianta per salvarne altre. Questo è stato difficile. Il fatto che venissero propagate voci diverse, notizie diverse, che non ci fosse una comunicazione istituzionale ha fatto il resto. La Regione, il presidente Emiliano non ha mai comunicato in maniera chiara, non ha mai preso il toro per le corna dicendo “questa è l’unica via da perseguire, se lo facciamo tutti insieme riusciamo sicuramente a diminuire il danno ma se non lo facciamo la situazione non farà che aggravarsi." In una situazione di caos come questa, poi, è stata determinante la presenza di un movimento negazionista che ha indirizzato l’opinione pubblica, dicendo che è tutto falso, tutto provocato di proposito perché volevamo fare un cambio del sistema colturale in Puglia auto-infliggendoci tutto questo.”

A tutto questo aggiungiamo che è stato complicato arrivare a ottenere le autorizzazioni per espiantare gli ulivi malati e quelli attorno a loro.

“La storia degli ulivi non è semplice da raccontare. Bisogna partire dal dopoguerra. Infatti, durante e nel periodo immediatamente successivo alla guerra, gli ulivi venivano tagliati per ricavarne legna da ardere per scaldarsi. Così, nel 1945 è stato promulgato il decreto legislativo “Divieto di abbattimento di alberi di olivo” per salvaguardare il patrimonio olivicolo in generale in Italia. Questa situazione ha fatto sì che l’ulivo venisse marchiato come pianta non estirpabile, se non per motivi specifici. Naturalmente per motivi fitosanitari era possibile procedere con l’estirpazione, ma i giustificati motivi valevano soltanto per gli ulivi effettivamente infetti e non per quelli che vi si trovano attorno. 

Per consentire dunque alle aziende di estirpare un olivo secco per provare a piantarne uno nuovo delle varietà che oggi sono catalogate tra le resistenti bisognava fare un iter lungo che  spesso portava al diniego dell’autorizzazione. Per affrontare la situazione, oggi è stata quindi implementata una norma che ha risolto il problema per metà. Infatti il problema diventava insormontabile nelle aree a vincolo idrogeologico e paesaggistico, a cui è sottoposto praticamente metà Salento, ma era proprio assurdo perché era come salvaguardare un cadavere.

Oggi questa situazione è stata superata, l’albero secco può essere abbattuto previa richiesta e comunicazione all’istituzione deputata a questo, tuttavia nelle aree vincolate è ancora difficile procedere all’impianto, perché la soprintendenza può negarmi l’autorizzazione all’impianto se in quel punto prima c’era un albero monumentale. Insomma, gli agricoltori e gli imprenditori non hanno ancora la libertà di ripartire, di piantare un olivo, un altro albero o comunque tornare a fare il proprio mestiere. Questo è l’assurdo della storia che stiamo vivendo in questi sei anni.”

Salvaguardare un cadavere. Sì, perché è questo che si sta facendo oggi, impedendo l’espianto di alberi completamente secchi, improduttivi e malati. Per quanto dolorosa, l’unica soluzione è l’espianto.

Non c’è nessun modo di combattere le batteriosi vegetali in genere. La Xylella, poi, è una patologia che colpisce i vasi della pianta, dove si insedia perché deve nutrirsi. E mentre noi, fortunatamente, possiamo curare una malattia batterica con gli antibiotici, nel caso dei vegetali questo non è possibile. Innanzitutto perché non sarebbe possibile utilizzare gli antibiotici su una superficie ampia migliaia di ettari. In più, non funziona. L’unico modo per liberarsi di una batteriosi è l’eliminazione, la distruzione della pianta in modo tale che non costituisca fonte di inoculo. Questo non è stato fatto e non è stato fatto con l’adeguata tempistica e serietà, anche perché c’è voluto del tempo prima di iniziare a capire che bisognava partire da nord e venire verso sud e non viceversa. Così non siamo stati in grado di contenere il vettore.”

Già, il vettore. Un insetto minuscolo in grado di uccidere migliaia di ettari di ulivi secolari con una sola puntura. Un problema tanto piccolo quanto grande, che dovrebbe essere nella lista delle priorità nella lotta alla Xylella.

“Il principale vettore, il più presente è il Philaenus Spumarius, una piccola cicalina che punge la pianta per succhiarne la linfa, si infetta e poi porta in giro il batterio. Siccome ce ne sono tantissime e al momento vige un grande stato di abbandono sia di oliveti ma anche di campi non coltivati che danno possibilità alla sputacchina di riprodursi in maniera notevole, la sua gestione diventa un ulteriore problema. Ciò che bisognerebbe fare è procedere a un abbattimento delle piante nelle aree buffer e a un controllo più pervasivo dell’insetto vettore. Lavorare i terreni in modo tale da distruggere le erbe infestanti su cui il vettore schiude le uova e passa alla fase giovanile in cui è fermo e non si muove… perché poi, quando diventa adulta la sputacchina inizia a muoversi e a pungere le piante, tra cui gli olivi. L’obiettivo che dovremmo porci è proprio il contenimento della sua presenza.”

E in futuro che sviluppi potrebbero esserci?

"Innanzitutto è necessario risolvere quel problema normativo-burocratico che oggi porta la sovrintendenza di Lecce a intervenire in maniera scomposta in decisioni che sono prevalentemente di tipo agronomico, perché mette dei paletti piuttosto stringenti in una situazione assolutamente anomala. Certo, la sovrintendenza dovrebbe proteggere il paesaggio, ma è chiaro che non c’è la possibilità di ripristinare gli ulivi dal momento che sono secchi e vanno abbattuti. La priorità ora è risolvere il problema e consentire alle aziende di poter impiantare senza difficoltà burocratiche. Ci vuole comunicazione istituzionale, bisogna informare i cittadini, tutti quelli che si trovano nella zona nord in cui ancora la Xylella non è arrivata, che non hanno ancora la percezione di cosa significhi avere questo virus nel proprio territorio. Poi serve mettere in pratica un piano strategico per il territorio, per farlo ripartire, far sede a un tavolo tutti gli attori coinvolti dalla ricerca scientifica alle istituzioni fino al mondo agricolo e ambientalista, insomma tutti coloro che possono portare una visione di futuro, condividerla e ripartire, tenendo fuori chi nega o cerca spiegazioni diverse da quelle basate sulla scienza. Questo a parer mio dovrebbe essere l’unico modo di operare per risolvere il problema. Naturalmente, per farlo servono le risorse."