Xylella fastidiosa: tutto quello che devi sapere sul batterio che sta uccidendo gli ulivi in Puglia

Di Xylella fastidiosa sentiamo parlare da anni. Sui giornali, alla televisione, in radio il “batterio degli ulivi” va e viene periodicamente dal dibattito pubblico. Tuttavia la questione è tutt’altro che risolta. Scopriamo di cosa parliamo esattamente quando parliamo di Xylella fastidiosa, la malattia che, da quando è arrivata, ha cambiato radicalmente la Puglia facendo ammalare gran parte degli ulivi salentini.
Entra nel nuovo canale WhatsApp di Ohga
Sara Del Dot 13 Gennaio 2020

Era da un po’ ormai che gli ulivi del Salento, in provincia di Lecce, manifestavano degli strani sintomi. Foglie spente, rami rinsecchiti, scarsa produzione di olive. Poi, nel 2013, la scoperta. Non era né colpa del clima né questione di pratiche agricole strane. Un batterio, chiamato Xylella fastidiosa era approdato in Puglia (e quindi per la prima volta in Europa) e aveva iniziato a colpire i suoi ulivi, patrimonio inestimabile della Regione e simbolo del territorio. In provincia di Bari, inoltre, è stata identificata una nuova variante del batterio Xylella, riportandolo sotto i riflettori.

La Xylella fastidiosa non era molto conosciuta in Europa e quasi nessuno in Italia ne aveva sentito parlare prima. Si trattava di una di quelle patologie lontane, esotiche che colpivano solo i Paesi molto lontani da noi, come America e Taiwan. Eppure, 6 anni fa, la Xylella è arrivata da noi e da quel momento ha iniziato a essere riscontrata anche in altre zone europee come Spagna, Francia, Corsica, Portogallo e Germania.

Ma nonostante siano diversi anni che ne sentiamo parlare in televisione, in radio, nelle notizie di cronaca e in documentari e inchieste, spesso non ci è chiaro di cosa realmente stiamo parlando. Cos’è esattamente la Xyella fastidiosa? Un virus? Un batterio? Come si trasmette da una pianta all’altra e come ha fatto a diffondersi così velocemente in pochi anni? Perché non sono state subito adottate le misure necessarie? Per capirci qualcosa in più abbiamo parlato con il dottor Carmelo Buttazzo, agronomo, consigliere dell’Ordine degli agronomi di Lecce, che ci ha raccontato in modo chiaro e dettagliato tutto ciò che dobbiamo sapere sul batterio che ha modificato radicalmente il contesto estetico ed economico della Puglia.

Da dove arriva il batterio Xylella?

Sebbene prima del 2013 fosse ignota a noi italiani, la Xylella è una malattia conosciuta in tutto il mondo dal momento che ha devastato intere aree di America e America Latina. In particolare in California ha devastato e continua a devastare i vigneti, in Brasile ha colpito gli agrumi, in Costa Rica le coltivazioni di caffè. Questa fito-patologia viene studiata da oltre un secolo e c’è anche un comitato scientifico internazionale che annualmente si riunisce per fare il punto sullo stato dell’arte degli studi in merito ai metodi di contrasto.

Per quanto riguarda la situazione italiana, la scienza è orientata a pensare che il luogo di provenienza del batterio sia probabilmente il Costa Rica. Tale evidenza è stata possibile, confrontando il DNA del ceppo di Xylella fastidiosa sub-specie Pauca, responsabile dell’attacco in Salento, con tutti i DNA conservati nella banca dati internazionale di Xylella. È emerso che geneticamente tale ceppo è perfettamente sovrapponibile al solo ceppo presente in Costa Rica, dove colpisce le piante di caffè. Tale risultato evidenza lascia poco spazio a differenti ipotesi.

Per quanto riguarda invece il suo arrivo, è molto probabile che alcune piante ornamentali infette dal batterio Xylella, con provenienza Costa Rica, siano state importate dall’Olanda e poi vendute in vari Paesi europei tra cui il nostro. Tale circostanza è suffragata dall’evidenza che il focolaio iniziale è stato il distretto “Gallipoli-Taviano”, noto polo florovivaistico italiano, secondo solo a Sanremo. Il batterio quindi si è diffuso su circa una trentina di piante ospiti (Alloro, Mirto, Polygala, Mandorlo, Oleandro, ecc.) ma soprattutto sull’olivo, principale coltivazione arborea del Salento, dove si contano oltre 12 milioni piante.

Come si trasmette il batterio da una pianta all’altra?

Questo tipo di batterio, “non sporigeno”, può trasmettersi da una pianta malata ad una sana esclusivamente attraverso un “vettore”. Dagli studi epidemiologici effettuati dal gruppo dei ricercatori preposti è emerso che il “vettore” è un insetto e in particolare il Philaenus spumarius comunemente detto “sputacchina”. L’adulto di questo insetto agisce in maniera similare alla malattia della malaria che colpisce l’uomo. L’insetto, per nutrirsi succhiando la linfa, si infetta dalle piante malate e trasmette il batterio successivamente quando va a nutrirsi su piante sane.

Cosa accade quindi all’interno dell’ulivo infetto da Xylella?

All’interno dell’ulivo il batterio si localizza lungo i vasi “xylematici” della pianta. I vasi xylematici non sono altro che una parte del sistema vascolare dell’albero, che portano la linfa grezza dalle radici verso le foglie, quindi dal basso verso l’alto, e poi la utilizzano per produrre la linfa elaborata che discende verso il basso attraverso altri tipi di vasi detti floematici. La Xylella si localizza proprio lì, nei vasi xylematici, dove trova il proprio habitat naturale, ovvero sali minerali e acqua. In queste condizioni ottimali, il batterio si nutre della linfa grezza, si moltiplica e produce come scarto metabolico una specie di mucillagine che finisce per occludere il regolare flusso della linfa grezza verso le foglie; di conseguenza il rametto con le sue foglie, a cui dovrebbe arrivare la linfa grezza è destinato a seccarsi e morire.

Come ha fatto a diffondersi in questo modo nel corso degli ultimi anni?

Sicuramente si è capito in ritardo con che tipo di problema si avesse a che fare. Essendo in Italia una malattia sconosciuta, a nessuno è venuto in mente che si potesse trattare di Xylella. In molti hanno pensato che fosse un problema di inquinamento delle falde acquifere o del terreno, oppure di abuso di principi attivi o diserbanti per le coltivazioni. Secondo altri invece si sarebbe trattato di attacchi di parassiti che pungendo i rami facevano morire gli ulivi. Solo nel 2013, grazie a una intuizione del fito-patologo Giovanni Martelli ordinario della Facoltà di Agraria dell’Università di Bari, si verificò se tali sintomatologie potessero ricondursi alla famigerata Xylella fastidiosa. Così avvenne la dolorosissima scoperta.

Un altro fattore è stata la velocità di diffusione della malattia, per la quale non esistono mezzi efficaci di contrasto. Gli epidemiologi sono riusciti a calcolare una velocità media di 30 km all’anno, 30 km che il batterio percorre indisturbato tra gli ulivi. Pertanto dal Sud Salento oggi l’infezione è arrivata alle soglie dei comuni a Sud della provincia di Bari (Monopoli-Fasano). E ciò accade anche perché il vettore responsabile della trasmissione della Xylella è fortemente presente e ubiquitario, in Italia e in tutta Europa. In particolare in provincia di Lecce si è contato addirittura un miliardo per ettaro di questi insetti che fino a poco prima erano assolutamente innocui per l’agricoltura.

Di che insetto si tratta?

Il nome scientifico è Philaenus spumarius ma viene comunemente chiamata Sputacchina perché durante le sue fasi giovanili si sviluppa sulle ascelle fogliari delle piante spontanee ed essendo immobile, per proteggersi dai predatori e dal caldo produce una schiuma, una sorta di bava sulle foglie. Da qui il nomignolo. Poi quando diventa adulta sfarfalla e inizia la sua ricerca di cibo passando da una pianta all’altra senza sosta. Il suo ciclo è annuale, per cui per tutto il periodo estivo va alla ricerca di piante verdi e l’olivo è una di queste, mentre l’erba in estate spesso è secca e quindi priva di interesse. Nei mesi di novembre e dicembre, prima di concludere il suo ciclo vitale, deposita le uova che poi si schiuderanno in primavera.

Come si è intervenuti nel contrasto del fenomeno?

Gli organi preposti ed in particolare la Regione Puglia, hanno diramato le linee guida per il contrasto di questa epidemia facendo riferimento alle norme comunitarie in funzione del tipo di parassita e del tipo di epidemia. Essendo un parassita difficilmente contrastabile, si è stabilito di individuare la zona infetta che inizialmente contava un numero di piante pari ad 8000 unità; successivamente si sono definite due aree di confine, la prima denominata zona cuscinetto, la seconda zona di contenimento dove concentrare una serie di interventi obbligatori al fine di contrastare nel migliore dei modi la diffusione del batterio. In particolare è stato fatto divieto di movimentazione di piante suscettibili al batterio dalla zona infetta verso la zona indenne, si è reso obbligatorio in tutte le tre zone operare una lavorazione del terreno (erpicaura, trinciatura, falciatura, fresatura) del cotico erboso spontaneo nel periodo primaverile entro il mese di maggio, al fine di eliminare o ridurre al minimo la popolazione dell’insetto vettore che come già detto nelle fasi giovanili è immobile e molto vulnerabile. Nel periodo estivo si sono resi obbligatori interventi fitosanitari a base di insetticidi al fine di ridurre ulteriormente la popolazione di insetti vettori che precedentemente sono sfuggiti all’azione meccanica di trinciatura del cotico erboso. Purtroppo queste misure non hanno funzionato e lo dimostra il fatto che il focolaio del batterio si è diffuso velocemente, sconfinando dalla sua zona di origine e percorrendo molta strada fino a raggiungere le zone attuali, Monopoli e Fasano.

Perché si è presa una decisione che si è rivelata così poco efficace senza passare subito all’eradicazione?

Occorre ricordare che in Puglia l’olivo rappresenta un albero fortemente identitario. Gli olivi secolari e plurisecolari rappresentano il ricordo di generazioni che non ci sono più, rappresentano i ricordi di infanzia, adolescenza e gioventù ai quali difficilmente si riesce a rinunciare. L’eradicazione era prevista ma non è stata applicata per via di ricorsi amministrativi che hanno di fatto rallentato l’azione di contrasto alla diffusione dell’epidemia. È stato decretato lo stato di emergenza con la nomina di un commissario straordinario ma anche questo tentativo di soluzione è naufragato con le dimissioni dello stesso per via dei citati ricorsi che rendevano le sue funzioni non esercitabili. Un altro aspetto da non sottovalutare è legato al fatto che sui terreni demaniali, lungo i margini stradali, i fossi ecc., gli interventi di contrasto previsti non sono stati applicati per via di carenze di natura economica in cui versano le nostre amministrazioni locali.

E quanto ha influito la presenza di persone che promuovevano soluzioni alternative?

Abbiamo assistito ad un susseguirsi di notizie false date attraverso i mass media. Ricordo chi sosteneva che la malattia fosse dovuta all’abbandono degli oliveti, oppure all’inquinamento del suolo, o alla contaminazione delle acque di falda. Alcuni pseudo-scienziati imputavano le differenze della malattia all’attacco di insetti del legno, altri all’uso dei diserbanti. Tutte queste voci hanno generato confusione al cittadino, che ha sottovalutato questa tremenda epidemia non collaborando fattivamente al suo contenimento. Sono poi subentrate altre figure pseudo-scientifiche che hanno propinato metodi di lotta e di cura alla fitopatia; ricordo che la più bizzarra che ho sentito riguardava l’uso di un acqua elettrizzata che avrebbe avuto il potere di sconfiggere il batterio, altri sostenevano con forza che le acque di vegetazione dl frantoio, molto ricche in polifenoli, agivano come cura se somministrate nel terreno, altri sostenevano che l’uso della poltiglia bordolese (solfato di rame e calce) abbinata ad un estratto di aglio era capace di penetrare l’apparato fogliare e curare la pianta, insomma se ne sono sentite veramente tante.

Da un punto di vista psicologico alla gente comune faceva comodo pensare che una cura fosse possibile evitando così lo svellimento delle piante malate e la paura di dover rinunciare alla vista degli alberi di olivo familiari ai quali erano fortemente affezionati. La situazione è analoga a quando si ha in casa un familiare malato che lotta tra la vita e la morte. Nella disperazione, noi siamo pronti pure a sperare che se gli somministriamo acqua e sale possa guarire. Con la Xylella è accaduto proprio questo.

Ancora oggi si continua a dire che arricchendo i terreni di sostanze organiche le difese immunitarie della pianta aumentano… solo che si ignora che la pianta non ha difese immunitarie. È chiaro e noto a tutti che se ad un uliveto malato somministro delle cure a base di concimazioni e trattamenti fitosanitari nell’immediato vedrò degli effetti positivi, ma queste non sono soluzioni definitive, infatti a lungo termine anche le piante trattate sono destinate progressivamente a morire. Si tratta di accanimento terapeutico! Bisogna iniziare a comprendere che la scienza, purtroppo, non è democratica. La scienza ha bisogno di dimostrare, attraverso il metodo scientifico, ciò che si è inizialmente ipotizzato. Quindi uno scienziato deve lavorare in silenzio e solo dopo aver verificato le sue tesi può diffondere i dati e gli eventuali rimedi.

Quindi secondo lei ora cosa bisognerebbe fare?

Non sono io a dover dire cosa bisognerebbe fare, credo che sia la politica a dover dare delle risposte avvalendosi della consulenza degli scienziati che stanno lavorando intorno alla Xylella. Posso dire che l’intera filiera olivicola-olearia del Salento è in ginocchio, anche il settore vivaistico è fortemente compromesso. Posso dire che lo scenario paesaggistico in Puglia sta cambiando notevolmente e che non ci sono allo stato attuale speranze concrete che l’epidemia sia fermata. Credo e mi auguro che, da un punto di vista scientifico, una strada da perseguire sia quella della selezione genetica. Mi auguro che vengano selezionati dei cloni di olivo immuni da Xylella capaci di non contrarre la malattia.

Personalmente sono contrario all’utilizzo delle cultivar di Leccino e FS17 (quest’ultima comunemente chiamata “Favolosa”) che sono state autorizzate dalla Regione Puglia per il reimpianto degli olivi distrutti nella zona infetta. Sono cultivar resistenti a Xylella ma non immuni, per cui, in un futuro prossimo potrebbero non esserlo più se il batterio muta ed aumenta la sua aggressività. La natura nei millenni ci ha insegnato che geneticamente tutti gli organismi viventi possono mutare, adattarsi e vincere determinate malattie ed epidemie, ma richiede tantissimo tempo. Dobbiamo augurarci che i genetisti lo accelerino regalandoci cultivar completamente immuni. Speriamo bene.