Allarme mascherine in mare: con la pandemia si è aggravato il problema dell’inquinamento da plastica

La conferma arriva da un recente studio condotto dall’Università di Nanchino e dalla University of California di San Diego: la pandemia ha portato a un aumento dei consumi di plastica e il sistema della gestione dei rifiuti non è riuscito a stare al passo, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo. Risultato, oltre 8 milioni le tonnellate di plastica disperse nell’ambiente (di cui quasi 26 mila sono finite in mare) dall’inizio della pandemia alla scorsa estate.
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Federico Turrisi 9 Novembre 2021

Da emergenza sanitaria a emergenza ambientale il passo è breve. Avrai notato anche tu, passeggiando per le vie della tua città o quest'estate in spiaggia, di ritrovare delle mascherine abbandonate. Abbiamo parlato più volte su Ohga del danno che procura all'ambiente la dispersione dei dispositivi di protezione individuale e degli altri "rifiuti del Covid-19". Purtroppo dobbiamo tornare sull'argomento per dare delle brutte notizie.

In un recente studio apparso su Proceedings of the National Academy of Sciences, un gruppo di ricercatori dell'Università di Nanchino (in Cina) e della University of California (Stati Uniti) ha infatti stimato che in circa un anno e mezzo, cioè dallo scoppio della pandemia allo scorso agosto, sono state riversate nell'ambiente più di 8 milioni di tonnellate di plastica, tra mascherine, guanti, visiere e altri prodotti legati al contenimento del coronavirus SARS-CoV-2. Di questa quantità, più di 25 mila tonnellate sono finite in mare. Un campanello d'allarme, perché questo fatto non fa altro che aggravare il problema del marine litter, ovvero dell'inquinamento marino dovuto alla dispersione di rifiuti solidi (soprattutto in materiale plastico).

Gli esperti hanno scoperto che la maggior parte dei rifiuti di plastica globali che entrano nell'oceano proviene dall'Asia (46% del totale), seguita dall’Europa (24%) e da Nord e Sud America (22%). Per quanto riguarda l'origine di tutta questa plastica in eccesso che sfugge agli impianti di trattamento, a fare la parte del leone sono i rifiuti ospedalieri con l'87,4%. Lo studio sottolinea proprio la necessità di una migliore gestione dei rifiuti sanitari nei Paesi in via di sviluppo. I dispositivi di protezione individuali utilizzati dalla popolazione incidono invece per il 7,6%. Infine, la plastica in più derivante dagli acquisti online (che hanno avuto un'impennata soprattutto durante il lockdown) contribuisce per il 4,7%.

Entro la fine dell’anno, avvertono i ricercatori, il 71% di questi rifiuti si depositerà sulle spiagge, mentre il rimanente si distribuirà tra i fondali e la superficie marina con gravi ripercussioni sugli ecosistemi e sugli organismi che li abitano. Purtroppo sono già stati segnalati casi di animali che sono rimasti intrappolati in guanti e mascherine oppure che hanno ingerito accidentalmente del materiale plastico, trovando anche la morte.

Fonte | "Plastic waste release caused by COVID-19 and its fate in the global ocean", pubblicato su Proceedings of the National Academy of Sciences.