Andreas Kipar: “L’architetto del paesaggio? Un sarto che disegna per il suolo vestiti su misura”

Alberi, alberi, alberi. Le città hanno bisogno di ossigeno e questo è possibile solo reintroducendo la natura nei contesti urbani. Abbiamo incontrato Andreas Kipar, architetto paesaggista e pianificatore. Se oggi Milano è sempre più verde, il merito è anche suo.
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Gaia Cortese 26 Luglio 2022

A due passi da Porta Garibaldi, l'ingresso dello studio di architettura LAND si riconosce da una riguardosa quantità di piante e arbusti posti all'esterno, una piccola oasi verde in una Milano arsa dal calore di un'estate che oggi non ci tiene proprio a nascondere quali possono essere gli effetti dei cambiamenti climatici.

Parlare oggi con Andreas Kipar di siccità e temperature inclementi, di città soffocate dal cemento, di verde pubblico e di quanto quest'ultimo abbia bisogno non solo di essere progettato, ma anche di essere curato, fa un certo effetto, non solo per l'attuale temperatura di 36°C all'ombra, ma per l'estremo bisogno che oggi ha Milano di alberi, alberi e alberi. E non solo Milano.

Prima di essere un architetto del paesaggio, Andreas Kipar è un vero e proprio avanguardista. Il suo modello dei Raggi Verdi a Milano, voluti per collegare il centro e la periferia attraverso percorsi verdi che promuovessero la slow mobility, è stato un modello riconosciuto a livello internazionale. Oggi le sue idee, e i suoi progetti di umanistica green trovano applicazione in più contesti urbani con esigenze diversificate. Contesti urbani che hanno però un problema comune e condiviso. Le città hanno bisogno di "respirare" per poter essere vivibili. E questo è possibile solo rivolgendo lo sguardo alla natura.

Lei si occupa di progettazione paesaggistica. Di cosa si tratta nello specifico?

È qualcosa che si posiziona tra l’architettura e la natura, perché si occupa del paesaggio. Il paesaggio è lo specchio della società, è il risultato di tutte le nostre attività sul territorio, esisteva prima di noi e continuerà ad esistere anche dopo di noi.

Spiegandolo con una metafora, è come se il suolo fosse un corpo, un corpo che ha bisogno di un’anima. Se il corpo è il suolo, l'anima è l'acqua. E quando l’acqua arriva al suolo succede sempre qualcosa, o meglio CRESCE qualcosa. E non finisce qui. Un corpo animato ha bisogno anche di un vestito. E il vestito è il verde. Questa metafora spiega l’architettura del paesaggio: corpo, anima e vestito. Chi progetta il paesaggio disegna vestiti su misura come un sarto, affinché possano vestire alla perfezione il corpo animato di cui parlavamo prima, il suolo.

La progettazione paesaggistica è stata spesso "tradotta" come una progettazione del verde, e parzialmente è vero, ma per avere il verde bisogna progettare innanzitutto lo spazio pubblico.

In passato, tra Settecento e Ottocento, la progettazione del verde era codificata: i giardinetti che sorgevano davanti alla stazione erano semplicemente piccoli rettangoli di verde con tanto di fontanelle, reminiscenze dei grandi giardini storici. Erano sì vestiti, ma nella progettazione non si erano considerate né anima né corpo. Questo approccio è radicalmente cambiato perché la pandemia ha riportato l'attenzione sul corpo, o meglio, su quanto sia importante un'unione di corpo e anima, con un vestito adeguato. Questo vale anche per la città. Ecco cos'è l’architettura del paesaggio.

"La paesaggistica insegna qualcosa di fondamentale agli architetti: è perverso anchilosare la crescita, le strutture vitali non possono essere ibernate. Per questo verso le indagini nei territori e nei paesaggi sono liberatori anche in chiave architettonica… gli ideali non riguardano più la stabilità, l'armonia, l'equilibrio, il necrofilo distacco, ma la  gestione della conflittualità, dell'angoscia esistenziale e di un rigenerato nomadismo".
Bruno Zevi

Poi c'è una citazione di Bruno Zevi che descrive la paesaggistica come liberatoria poiché tranne l'orizzonte, il paesaggio non ha confini. La paesaggistica insegna questa libertà, non ha limiti ed è moderatrice di tutto perché si anima di persone diverse. È liberatoria e dinamica perché fa riferimento alla natura che è mai statica.

Come si è evoluta l’architettura del paesaggio negli ultimi decenni a fronte dell’emergenza dovuta ai cambiamenti climatici?

Sappiamo che non c’è un Pianeta B. Gli scienziati ce lo avevano già detto, ma evidentemente il fatto che il mondo abbia dato tanto risalto al fenomeno Greta Thunberg significa che solo ora era pronto a recepire il messaggio. Questo messaggio è stato poi rafforzato dall’immediatezza della pandemia che ci ha fatto capire come noi stessi siamo parte di questa natura che può essere anche crudele e, quando si esprime, lo fa anche in maniera inaspettata.

Le elevate temperature di questi giorni sono e saranno una condizione normale a cui dovremo abituarci. Diventa quindi necessario "cambiare il vestito": più alberi, più ombra. La natura, che abbiamo cacciato sapientemente dalla città, deve essere reinserita.

Quali sono i benefici del progettare il verde in una città?

Chiunque viva in città oggi, non può non riconoscere il valore del verde. Non solo dal punto di vista della biodiversità, della cattura di CO2 e della produzione di ossigeno, ma anche dal punto di vista del beneficio psicologico che oggi siamo in grado di misurare.

L'effetto salubre del verde in città si conosce da più di cent'anni, da quando in Europa sono stati creati i parchi popolari per dare benessere  alle persone meno abbienti, che non potevano permettersi un giardino privato. Questo fenomeno si sta verificando ora nel Middle East dove stiamo facendo dei grandi interventi di diversi parchi a Riyadh che, anni fa, erano di uso esclusivo della casa reale. Questo è il cambiamento. Oggi sappiamo che la salute della persona passa attraverso la messa a disposizione del verde.

La salute della collettività passa attraverso la messa a disposizione del verde.

Questa cosa oggi trova applicazione in più Paesi in Europa: aumenta il verde, ma deve anche essere curato. Nel 1985 ho iniziato a piantare alberi nel Parco Nord e nel Bosco in città di Milano. Oggi quegli alberi sono diventati boschi, ma bisogna sapere che i tempi della natura non sono in nostri tempi, e ogni giorno dobbiamo ringraziare chi, prima di noi, ha provveduto a piantare alberi in questa città. Oggi il minimo che possiamo fare è prendercene cura con un piano eccezionale, ed è anche questo clima impazzito che ce lo ricorda quotidianamente.

Uno dei temi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) è quello di trovare un equilibrio tra le città in continua trasformazione e l’ambiente. Quali sono le condizioni necessarie per arrivare a questo traguardo?

Se consideriamo la città come un organismo vivente, al suo interno si trovano tante parti, come depositi ferroviari abbandonati, fabbriche inattive e vecchie strade, che nell’era post industriale si sono svuotate e oggi sono a disposizione. Elementi in un organismo funzionante, ma fuori uso. Queste parti devono essere riattivate, proprio come se si mettessero dei by pass in un corpo non più giovane.

La nuova rigenerazione urbana di cui parla il PNRR consiste nel riattivare queste diverse parti affinché possano anche dialogare tra loro. Oltretutto l'architettura del paesaggio lavora su un paesaggio che già esiste: quello che deve fare è intervenire in maniera cosi generosa da potersi connettere a questo paesaggio nel modo migliore.

A Bolzano, una città delle più calde in Italia, presentando un ambizioso piano del verde, abbiamo attivato un grande areale dietro la stazione, realizzando al suo interno degli usi temporanei, proprio come stiamo facendo anche al MIND di Milano. Questo vuol dire dare spazio alla persone, che ne hanno sempre più bisogno, non solo perché non sono poche, ma anche perché hanno più tempo dal momento che anche il lavoro in smart working concede maggiore libertà. È in atto un'autentica rivoluzione e noi dovremmo solo sostenerla con i nostri interventi progettuali.

Quali strumenti abbiamo per contrastare gli effetti del cambiamento del clima sulla qualità della vita urbana?

Abbiamo tanti strumenti. Già solo implementare il fotovoltaico, sviluppare i giardini verticali sulle facciate degli edifici e mettere centinaia di ettari di verde sui nostri tetti in città, già questo abbasserebbe di un grado la temperatura.

C'è poi il discorso di deimpermeabilizzare le strade per fare in modo che la città non esploda quando piove. Dobbiamo aumentare i parchi e renderli sempre più verdi. Su alcune città stiamo ragionando sull'abbattimento climatico dei canali di vento: a Milano, in alcune zone l’aria entra attraverso assi che sono stati preservati dall'urbanistica. A Porta Nuova, per esempio, gli edifici sono stati "tagliati" a nord e a sud perché l’aria possa entrare. Per questo motivo in piazza Gae Aulenti si sta bene, si respira. Lo studio dei canali di vento è una scienza che stiamo riscoprendo nell’urbanistica verde del futuro.

Piazza Gae Aulenti, Milano

Come valorizzate l'elemento acqua nell'architettura paesaggistica?

Oggi l'acqua è l’oro del futuro, purtroppo ce lo ricordiamo solo quando viene a mancare. Sappiamo all’emergenza idrica e dello spreco dell’acqua quindi dovremmo organizzarci come in Svizzera e in Germania dove ogni goccia piovana viene raccolta utilizzando cisterne, sistemi di rigori e vasche volano. Quando, per esempio, piove a Copenhagen, alcune strade si allagano e tutta la città diventa un autentico bacino idrico. Allo stesso modo anche alcune città italiane hanno già i loro Rain Garden, che hanno il compito di gestire e controllare le grandi quantità d’acqua piovana provenienti principalmente dai tetti, dalle strade e dalla pavimentazione.

Il parco industriale Alfa Romeo al Portello di Milano è stato completato lo scorso gennaio ed è la dimostrazione di come la città stia concedendo sempre più spazio al verde. È una tendenza che si avverte solo a Milano o anche in altre città?

Penso che Milano avverta questa tendenza perché ha un grande bisogno di verde essendo tra le città più industrializzate in Italia e quindi con meno verde a disposizione. Con la fase di deindustrializzazione, il verde torna per fortuna al centro dell'attenzione. Dopo tanti anni anche l'area del Portello è in procinto di essere inaugurata a settembre. Qui, ogni elemento, dalla doppia elica allo specchio d'acqua, è diventato un simbolo della velocità, del marchio Alfa Romeo, ma anche della velocità con cui si sta muovendo Milano in questa direzione.

Milano gioca però sul recupero delle aree verdi; diversamente altre città europee giocano in vantaggio perché hanno più spazi verdi a disposizione: basta pensare a Roma circondata dai suoi colli e attraversata da un fiume di notevole portata. E non è solo una questione di quantità di verde, ma anche di qualità del progetto: il compito dell'architettura del paesaggio è quello di lavorare su progetti che non rimangano isolati, ma che si colleghino con altri, proprio come prevedeva nel 2005 il progetto dei Raggi Verdi, otto percorsi verdi, percorribili a piedi o in bici, per collegare il centro all'hinterland di Milano.

Il parco industriale Alfa Romeo al Portello di Milano. Credits: Nicola Colella