Aspartame “possibile cancerogeno” e gli altri dolcificanti: sono davvero utili?

L’Organizzazione mondiale della sanitò ha annunciato che l’aspartame è stato inserito dall’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro nella categoria delle “sostanze possibilmente cancerogene”, anche se è stata confermata la soglia giornaliera di sicurezza già fissata tempo fa. Ma i possibili effetti cancerogeni, superato il tetto massimo, non è l’unico problema legato al consumo dell’aspartame: questo, come altri dolcificanti, dovrebbe essere evitato per diverse ragioni. Ne abbiamo parlato con la nutrizionista Fiammetta Rimini.
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Maria Teresa Gasbarrone 17 Luglio 2023
* ultima modifica il 17/07/2023
Intervista a Dott.ssa Fiammetta Rimini Nutrizionista

L'aspartame, il dolcificante non zuccherino impiegato nelle bevande e negli alimenti dietetici, è stato inserito dall'Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC) nella categoria delle sostanze possibilmente cancerogene per l'uomo, il cosiddetto Gruppo IARC 2B.

Lo ha annunciato l'Organizzazione mondiale della sanità (Oms), confermando un dubbio che circola da tempo, da quando cioè l'uso di questo dolcificante di origine sintetica ha avuto un vero e proprio boom nell'industria alimentare (e non solo): l'aspartame non è così innocuo come le pubblicità delle bevande dietetiche e degli altri prodotti "senza zucchero" sembravano volerci suggerire.

A onor del vero, occorre specificare che la valutazione dell'IARC è stata condotta in modo indipendente ma complementare a un secondo esame, realizzato dal Comitato congiunto di esperti sugli additivi alimentari (JEFCA) dell'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'Alimentazione e l'Agricoltura (FAO), che ha confermato la dose giornaliera accettabile di 40 mg/kg di peso corporeo, come tetto massimo per non avere gli effetti cancerogeni.

Per aver un'idea di cosa questo significhi in termini di consumo quotidiano pensa che una lattina di bibita dietetica contiene in media tra i 200 e 300 mg di aspartame. Questo significa che un adulto di 70 kg ne dovrebbe consumare più di 9-14 lattine al giorno per superarla: certo sono molte, ma nei casi di gravi abitudini alimentari e dipendenza dai sapori dolci potrebbe anche verificarsi.

Assumere aspartame non rappresenta però un'abitudine sana, a prescindere dalla nuova classificazione stabilita dall'IARC. Ma soprattutto, ricorrere a questo o ad altri dolcificanti, è indice di un'educazione alimentare sbagliata. Vediamo perché insieme alla dottoressa Fiammetta Rimini.

Aspartame: perché si usa

"Prima di rispondere a questa domanda – spiega la nutrizionista Fiammetta Rimini – io me ne porrei un'altra: perché dovremmo consumarlo?". La domanda è chiaramente retorica, ma prima di rispondere capiamo meglio cos'è l'aspartame e perché ha avuto così tanto successo.

"L'aspartame è – continua Riminiuno dei dolcificanti maggiormente utilizzati nell'industria alimentare per due motivi: innanzitutto è privo di sapore, quindi non conferisce all'alimento nessun tipo di retrogusto – come invece accade per la stevia e il suo sapore di liquirizia -, ma anche perché mantiene la sua stabilità anche alle temperature di cottura, ovvero non perde il suo potere dolcificante".

Queste due qualità si uniscono al suo praticamente nullo apporto di calorie. Anche questo aspetto va spiegato meglio: "A parità di peso l'aspartame ha le stesse calorie dello zucchero da cucinale (saccarina), ma rispetto a quest'ultimo è percepito 200 volte più dolce. Questo significa che nella preparazione di un alimento o di una bibita ne serve così poco da far considerare nullo l'apporto calorico".

Per tutte questi motivi, l'industria alimentare cominciò a utilizzarlo, a partire dagli anni '80, per continuare a vendere i propri prodotti, pur riducendo l'impatto sull'aumento di peso delle persone. In quegli anni l'obesità iniziava a essere un problema sempre più diffuso e allarmante.

Fin qui, tutte buone notizie – potresti pensare -, ma non è affatto così e lo era da prima che l'IARC dichiarasse l'aspartame un "possibile cancerogeno". L'apporto calorico è infatti solo una delle proprietà che definisce un alimento: leggere "zero calorie" o "senza zucchero" non garantisce nulla sulla qualità e la sicurezza alimentare di quel prodotto. Qui veniamo al punto.

Rompere la dipendenza dallo zucchero

È un dato di fatto che spesso uno degli errori alimentari più comuni è eccedere con grassi e zuccheri. "Questo succede – spiega la nutrizionista – perché pur non essendone consapevoli spesso sviluppiamo una dipendenza dal ‘dolce'. Constato ciò, l'obiettivo di un percorso nutrizionale deve essere ridurre i prodotti zuccherini e confezionati, così da abituare il palato anche ad alimenti meno dolci e più amari".

Rispetto a questa idea di "educazione alimentare" inserire i dolcificanti – e non solo quindi l'aspartame – significa compromettere l'educazione del palato e quindi anche la riuscita del percorso nutrizionale, spiega Rimini.

Verso i sapori dolci, d'altronde, è abbastanza naturale avere una sorta di predilezione. "In parte – spiega la dottoressa Rimini – è un meccanismo ereditato a livello genetico: alle origini della specie umana, l'attrazione verso i sapori dolci serviva a fare scorte di energia attraverso gli alimenti dolci, come la frutta, che per infatti ha alte quantità di zucchero".

Allo stesso modo, "la naturale diffidenza verso i sapori amari serviva a tenerci lontani da eventuali alimenti velenosi, che  per natura tendono ad avere sapori più aspri o amari". Tuttavia, la facilità con cui oggi possiamo consumare zucchero ha rotto questo meccanismo naturale: il risultato è che assumiamo troppi zuccheri.

Questo non è un bene per la salute dell'organismo: nello specifico un eccesso di zuccheri può appesantire il fegato e causare epatotossicità. Lo hanno dimostrato diversi studi: ad esempio, nel 2017 un gruppo di ricercatori dell’area di Malattie epato-metaboliche dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù hanno visto che nei bambini l'eccesso di zucchero può avere a livello epatico un effetto simile a quello prodotto dall'alcol: ogni grammo in eccesso rispetto al fabbisogno giornaliero, pari a circa 25 grammi, fa aumentare di una volta e mezza il rischio di sviluppare malattie epatiche gravi nei bambini.

Aspartami e altri dolcificanti

Per quanto riguarda aspartame e altri dolcificanti, "l'esistenza stessa di soglie massime di sicurezza dovrebbe farci riflettere sulla necessità di assumerle", spiega Rimini.

Ora, è vero che la soglia massima fissata dal JEFCA è piuttosto elevata, ma nei casi di dipendenza grave superarla è tutt'altro che impossibile: "Il pericolo – continua la dottoressa – è legato soprattutto alle bibite".

Una raccomandazione è doverosa anche per quanto riguarda un altro dolcificante molto usato, e spesso celebrato come privo di rischi in quanto di "origine naturale", ovvero la stevia: "Pur essendo questo dolcificante derivato da una pianta, e quindi di origine naturale, in natura non esiste in concentrazioni simili a quelle in cui viene assunto come dolcificante motivo per cui nemmeno la stevia può essere definita davvero naturale".

Insomma, è inutile girarci intorno, se si vuole compiere un percorso di educazione alimentare davvero efficace, le scorciatoie non solo non servono, ma potrebbero anche rivelarsi rischiose per la nostra salute: "Piuttosto che riempirci di bevande dietetiche contenenti aspartame, è sicuramente più consigliato concederci ogni tanto una fetta di torta fatta in casa", conclude Rimini.

Fonte | OMSJournal of Hepatology

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