Car-T e rischio di tumori secondari? Il dottor Derenzini: “Eventualità rare e già note: giusto fugare ogni dubbio ma niente allarmismi”

L’Ema ha recentemente avviato la procedura di revisione di 6 trattamenti Car-T per valutare il rischio dell’insorgenza di tumore secondari connessi al loro impiego. Il Direttore dell’Oncoematologia dell’Istituto Europeo di Oncologia ci ha spiegato che non c’è nulla di cui preoccuparsi: le incidenze sono bassissime e, soprattutto, si tratta di rischi già noti alla comunità scientifica.
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Kevin Ben Alì Zinati 8 Febbraio 2024
* ultima modifica il 08/02/2024
In collaborazione con il Dott. Enrico Derenzini Direttore dell’Oncoematologia dell’Istituto Europeo di Oncologia

Terapie Car-T e tumori secondari. Cioè innovativi trattamenti anticancro basati sulla riprogrammazione delle cellule T di un paziente e il rischio di veder insorgere neoplasie nuove e diverse in chi vi si sottopone.

Nelle ultime settimane avrai sentito parlare spesso di questo collegamento perché l’Agenzia Europea dei medicinali ha deciso di riesaminare sei di queste terapie già approvate nell’Unione europea.

Il Comitato per la farmacovigilanza ha cioè avviato una procedura di segnalazione per rivedere i dati sui tumori maligni secondari correlati alle cellule T, inclusi il linfoma e la leucemia a cellule T, sulla scorta di 23 casi documentati in EudraVigilance, il database dell’UE sulle reazioni avverse ai medicinali.

Il tempo di un lancio di agenzia, la ripresa da parte di diversi media generalisti ed ecco che il puzzle ha cominciato a complicarsi. I pezzi sono stati incastrati nel modo sbagliato e l’immagine ha cominciato a prendere sfumature confuse e piene di paura e scetticismo.

A pagarne maggiormente le conseguenze, soprattutto, è stata la popolazione oncologica: quella, appunto, che vede nelle terapie Car-T una potenziale àncora di salvezza contro il proprio tumore.

Per rimettere ordine e ricollocare i pezzi al posto giusto servono calma, attenzione e soprattutto nessun tipo di allarmismo: parola del dottor Enrico Derenzini, Direttore dell’Oncoematologia dell’Istituto Europeo di Oncologia. “Parliamo di incidenze bassissime, 23 casi su oltre 30mila individui trattati. In generale poi, il rischio di seconda neoplasia è già noto ed implicito in tutti i pazienti ematologici”. 

Fin dall’epoca pre Car-T, ha spiegato il dottor Derenzini, si sa che chi riceve una diagnosi di linfoma o leucemia ha un rischio potenzialmente aumentato di avere seconde neoplasie, a prescindere dal trattamento ricevuto. Ma facciamo un passo indietro.

Quando si parla di Car-T ci si riferisce a una forma di immunoterapia in cui i linfociti T del paziente vengono prelevati, espansi in vitro e ingegnerizzati con vettori virali per fare in modo che esprimano un recettore di superficie, il cosiddetto CAR o recettore chimerico, e possano così legarsi a dei bersagli che vengono espressi dalle cellule tumorali.

“Nell’ambito dell’ematologia, la terapia Car-T negli ultimi anni ha veramente rivoluzionato il trattamento di alcune forme di linfoma e mieloma refrattarie che in era pre Car-T avevano prognosi inesorabilmente infausta. Ora invece hanno una prospettiva di cura”. I numeri sciorinati dal dottor Derenzini rendono ancora più chiaro il contesto: su 100 pazienti trattati per linfomi a cellule B aggressivi nel setting del paziente ricaduto refrattario, più di 40 oggi possono sperare in una guarigione grazie a queste terapie.

La Car-T è un’opzione a cui si accede in base all’indicazione terapeutica per una determinata patologia. Ci sono varie forme di linfoma che hanno indicazione a terapia Car-T, come il linfoma diffuso a grandi cellule B, il linfoma non Hodgkin più frequente in assoluto nell’adulto.

In questi casi la terapia Car-T può essere applicata già in seconda linea: significa che se la malattia è resistente ai primi trattamenti, già in seconda battuta il paziente può accedere alla terapia Car-T. “In Italia, questa terapia è applicabile nel caso di pazienti affetti da linfoma diffuso a cellule B con meno di 75 anni di età in fase di progressione o ricaduta precoce entro 12 mesi dal termine della prima linea di terapia. Se invece la ricaduta avviene dopo i 12 mesi, in seconda linea è ancora utilizzata la chemioterapia ad alte dosi e l’autotrapianto di cellule staminali emopoietiche”.

Oltre al linfoma non Hodgkin B diffuso a grandi cellule, la terapia Car-T viene impiegata anche nel trattamento del linfoma mantellare (non in prima linea ma in linee successive) e nel caso di pazienti già trattati con inibitori di BTK (trattamento per alcune malattie del sangue e del sistema immunitario), e nel linfoma follicolare sia in terza che in quarta linea.

“La Car-T, insomma, è una terapia che si diffonderà sempre di più nel campo dei linfomi” ha chiosato il direttore dell’Oncoematologia dello Ieo.

La procedura di revisione attivata da Ema sulla scia di quanto fatto da Fda, tuttavia, non deve spaventare. “Alla comunità ematologica è noto da tempo che con i trattamenti, che si tratti di chemioterapia o di immunoterapia, accanto al beneficio, alla risposta e alla guarigione esiste un rischio di neoplasie secondarie. Ciò è principalmente dovuto alla combinazione di due fattori – ha continuato – L’esposizione alla chemioterapia che può avere un effetto mutageno e l’effetto di immunosoppressione”.  

Quelli segnalati dall’EudraVigilance, insomma, sarebbero dunque eventi estremamente rari e su cui ancora non abbiamo informazioni conclusive. Sono doverosi da parte di Fda ed Ema simili processi di revisione, atti a capire meglio un eventuale problema legato a queste terapie salvavita che possono guarire pazienti, anche giovani, che fino a poco tempo fa non avevano alternative.

Come ha precisato il dottor Derenzini, però, “non vi sono dati per stabilire un nesso di causa-effetto, così come per dire che chi riceve la terapie Car-T abbia un rischio maggiore di manifestare queste forme di linfoma”. Per questo è strettamente necessario evitare a tutti i costi un allarmismo ingiustificato”.

Secondo il direttore, insomma, il puzzle da comporre con i pezzi che abbiamo a disposizione deve condurre a un’immagine rassicurante. “Io oggi non ho nessun dubbio a prescrivere questo trattamento a pazienti che ne hanno bisogno”. 

Anche perché le prospettive che questi trattamenti sono potenzialmente in grado di offrire sono estremamente interessanti. Oltre alle applicazioni nei linfomi e nei mielomi, questi trattamenti potrebbero diventare estremamente utili anche nel caso di altri tumori. Ci sono molti studi in corso in questa direzione.

Perché le terapie CAR-T possano estendere il proprio raggio di azione tuttavia servirà del tempo, "anche perché nei tumori solidi a volte ci sono problemi dovuti al fatto che i linfociti T modificati a volte faticano ad arrivare in sede tumorale una volta reinfusi nel paziente".

Per questo sono in corso anche studi che vanno oltre i trattamenti CAR-T autologhi (in cui i linfociti sono prelevati dal paziente stesso). Si sta cioè lavorando a terapie Car-T allogeniche, quindi con linfociti prelevati da donatori sani, che potrebbero offrire un’opportunità di cura prontamente disponibile in determinate situazioni di urgenza clinica.

Servirà tempo ma servirà anche molta fiducia. "Si tratta comunque di una di quelle scoperte che aprono nuove frontiere ha concluso, con fermezza, il dottor Derenzini.

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