
Vegani e vegetariani vorrebbero che tutto il mondo smettesse di mangiare animali. I carnivori accaniti, dal canto loro, preferirebbero morire di fame piuttosto che rinunciare alla loro bistecca settimanale o al panino al prosciutto in pausa pranzo. Ma da qualche parte, nel mondo, qualcuno si sta attivando per fare in modo che venga messa sul mercato un’astuta (ma al momento poco abbordabile economicamente) via di mezzo. E ci sta anche riuscendo. Quindi no, il mondo non è destinato a diventare vegetariano. Continueremo a consumare hamburger, filetti e bistecche, ma forse con una piccola differenza: che questi alimenti non proverranno da allevamento e macelli. E quindi, da dove? Forse da un laboratorio.
Se ti sembra impossibile, devi sapere che sono ormai quasi 6 anni che si lavora al progetto di realizzazione di un tipo di carne non allevata, bensì “coltivata”. Il primo hamburger artificiale è stato presentato nel 2013 dal ricercatore olandese e farmacologo Mark Post. Per realizzare questo hamburger ci sono voluti ben due anni di lavoro e un investimento di 325.000 dollari. Come è stato possibile? Il team di ricercatori dell’Università di Maastricht, guidato da Post, creò questa carne da cellule staminali prelevate da polli e mucche, e le trasformò in tessuto muscolare. L’esperimento fu un successo. Da quel momento, numerose aziende scelsero di investire nel futuristico mercato della carne da laboratorio. Oggi, l’idea di una carne “sintetica” è ormai realtà. E sta per arrivare sulle tavole americane. Ma al mondo esistono diverse altre aziende che ci stanno lavorando, come le israeliane Future Meat Technology e Aleph Farm, l’olandese Mosa Meat fondata proprio da Post, l’americana Finless Food. Tutte si basano sulla creazione di un prodotto a partire dalle cellule muscolari degli animali, cercando di dare spazio a quelle provenienti dalla massa grassa. I benefici? Secondo alcuni scienziati ci sono, eccome: a partire dal risparmio a lungo termine in termini di costi e risorse per quanto riguarda l’allevamento e la macellazione di bestiame e pollame, fino alla salvaguardia dell’ambiente, che l’enorme numero di allevamenti intensivi presenti al mondo ha ormai compromesso.
Una delle aziende che maggiormente ha beneficiato di finanziamenti consistenti per la propria attività di ricerca è Californiana. Si chiama Memphis Meats, è stata fondata nel 2015 da un cardiologo e un biologo e rappresenta il primo laboratorio al mondo di produzione di carne sintetica di pollo e anatra. Sarà anche per l’interesse da subito piuttosto acceso nei confronti di questo tipo di nuova alimentazione, ma finalmente negli Stati Uniti pare sia arrivato il via libera per la commercializzazione della carne da laboratorio. Recentemente, infatti, il Dipartimento per l’Agricoltura statunitense (Usda) e la Food and Drugs Administration (Fda) hanno rilasciato un comunicato in cui hanno dichiarato che si occuperanno entrambi della supervisione della produzione, assumendosi la responsabilità per quanto riguarda tutte le attività di controllo e sicurezza. Infatti, entrambe si dedicheranno alla supervisione della produzione: la Fda si occuperà di monitorare le fasi riguardanti la raccolta e la conservazione delle cellule, oltre alla loro crescita e differenziazione. La Usda, invece, subentrerà in seguito, controllando le fasi di produzione ed etichettatura. Per il Governo americano, questo era l’ultimo ostacolo alla possibilità di immettere in commercio la carne sintetica, che arriverà nei supermercati verso il 2020. Naturalmente, uno degli step successivi sarà cercare di abbassarne il costo al fine di renderla il più accessibile possibile a tutti.
Per il popolo italiano, affezionato alla propria tradizione e alla qualità dei propri prodotti famosa in tutto il mondo, l’idea di una carne creata in laboratorio non convince affatto. Anzi. Secondo Coldiretti, tre italiani su quattro sarebbero contrari all’arrivo nel Paese di questo genere di prodotto, sia per motivi di salute che etici. Anche Assocarni si dichiara assolutamente contraria all’arrivo della carne “coltivata”, sottolineando la differenza sostanziale tra la tradizione gastronomica italiana e quella americana.