Cattura e stoccaggio della CO2: un’idea affascinante, ma non per forza utile. Intervista al prof.Alessandro Abbotto

Nel dibattito su come ridurre le emissioni di gas serra, c’è chi scommette e vuole investire sulla “cattura e stoccaggio della CO2”. L’idea è affascinante: evitare la dispersione delle sostanze climalteranti nell’atmosfera, catturandole prima e confinandole sottoterra, nei giacimenti esauriti di gas e petrolio. Ma una tecnologia efficiente in questo campo ancora non esiste, e chissà quando ci sarà, spiega il Prof.Alessandro Abbotto dell’ateneo di Milano-Bicocca. Inoltre, ci sono rischi per la sicurezza da tenere in conto, del tutto evitabili andando invece avanti su una strada già imboccata: quella del passaggio alle energie rinnovabili.
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Michele Mastandrea 13 Giugno 2022
Intervista a Alessandro Abbotto Docente di Chimica Organica all'Università di Milano-Bicocca

La strada è tracciata. L'Unione Europea ha fissato i suoi obiettivi di decarbonizzazione, che comportano delle scadenze molto precise da rispettare. Da qui al 2030 bisogna ottenere la diminuzione del 55% delle emissioni, come previsto nel pacchetto Fit For 55. Nel 2050, invece, andrà raggiunta la totale neutralità climatica. Volenti o nolenti, dunque, dobbiamo raggiungere questi risultati.

La strada di cui si parla maggiormente per riuscirci, come sai, è quella di puntare sulle energie rinnovabili. Solare, eolico, idroelettrico, ma anche geotermico e idrogeno verde. Sono tante le alternative a disposizione e numerosi i settori in cui investire in ricerca, anche per quanto riguarda l'accumulo (dunque le batterie) e la gestione "intelligente" delle reti di distribuzione.

Ma da qualche tempo, si ragiona anche di un'alternativa. Si tratta del ‘Carbon Capture and Storage‘ (Ccs), in italiano ‘cattura e stoccaggio della CO2‘. Permetterebbe di continuare a emettere, riuscendo però a evitare danni all'ambiente catturando le emissioni prodotte. Un'ipotesi suggestiva, che permetterebbe in teoria  – se attuata con efficacia – di evitare le emissioni e chissà, anche di catturare quelle già rilasciate.

Eppure, questa è una tecnologia sulla cui efficacia ci sono ancora molti dubbi. Li hanno segnalati lo scorso dicembre 53 esponenti del mondo scientifico italiano, in una lettera indirizzata al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e al Presidente del Consiglio Mario Draghi. Abbiamo allora intervistato Alessandro Abbotto, docente di Chimica Organica all'Università di Milano-Bicocca, per spiegarci questi dubbi.

Prof.Abbotto, partendo dalle basi. Su cosa si sta discutendo quando parliamo di "cattura e stoccaggio di CO2"?

Dal punto di vista tecnico, catturare la CO2 significa assorbirla dall'atmosfera. Non si usa però nessun aspiratore, come ci si potrebbe immaginare, ma si fa piuttosto passare l'aria attraverso delle sostanze che reagiscono con la CO2 e di fatto la legano, la catturano. Oppure la si può trattenere in forma gassosa. Una volta catturata, la CO2, dev'essere poi conservata e immagazzinata. Uno delle idee in questo senso è usare le cavità sotterranee che una volta erano occupate dal gas naturale, azione che avrebbe l'ulteriore vantaggio di favorire la fuoriuscita del gas e del petrolio residuo. Si prenderebbero così due piccioni con una fava. Detta così sembra molto attrattiva, anche perché questa tecnologia si potrebbe utilizzare anche a prescindere dalla cattura dei nuovi gas serra emessi, catturando anche la CO2 che c'è già e riducendo dunque la sua presenza nell'atmosfera.

Eppure, nella vostra lettera, voi segnalate alcuni problemi relativi a questa tecnologia.

Innanzitutto, va detto che catturare un gas è estremamente difficile. La concentrazione della CO2 oggi nell'atmosfera è di circa 420 parti per milione: un dato in aumento, come rilevato anche dalle più recenti misurazioni. Questo vuol dire che dobbiamo pensare, in paragone, a 420 persone da trovare e catturare all'interno di una città di un milione di abitanti. Ci si può rendere conto che la cosa è difficile, e infatti non esiste oggi una simile tecnologia. Esistono processi di cattura che hanno un'efficienza bassa, che di queste parti ne prendono 30-40, forse 50, non di più. C'è poi tutto il capitolo che riguarda le industrie ad alte emissioni, insomma l'industria pesante, i cementifici, le acciaierie, le cosiddette "hard-to-abate". Impianti in cui i gas hanno una concentrazione locale di fuoriuscita molto alta, si parla qui di percentuali e non di parte. In questo contesto l'ipotesi di catturare la CO2 potrebbe avere più senso, ma anche in questo caso l'efficienza tecnologica è inferiore all'80%. Senza tenere conto che questi processi di cattura a loro volta richiedono energia, non sono dunque "gratuiti": anche questi hanno un prezzo in termini di energia spesa. Si tratta di una questione, dal punto di vista tecnologico, decisamente non semplice.

Dunque secondo voi non ha senso investire sulla ricerca rispetto a queste tecnologie?

La domanda da porsi è se convenga proseguire nella ricerca su tecnologie capaci di catturare la CO2, oppure se non sia meglio risolvere il problema all'origine. In questo ultimo caso, non servirebbe più pensare alla cattura della CO2, dato che non verrebbe più emessa. Bisogna dire che anche se un giorno la tecnologia di cattura della CO2 diventerà efficace, e comunque questo non avverrà prima del 2050, vuol dire che per ancora trent'anni dovremmo continuare a emettere gas serra. La soluzione al cambiamento climatico però va trovata subito. Continuare a emettere per dire che poi tanto riusciremo a catturare la CO2, significa continuare a investire dentro il regno dei combustibili fossili.

Un mondo che invece dovremmo abbandonare.

Il mio parere, ovviamente, è che visto anche quello che sta succedendo in questi mesi, da carbone, gas e petrolio dovremmo emanciparci. Anche se un giorno elimineremo il problema delle emissioni, cosa al momento lontanissima, non risolveremo gli altri problemi, come i costi di queste materie prime, o le tensioni geopolitiche. Infatti non è un caso che l'Europa abbia deciso di accelerare la transizione verso l'autosufficienza energetica, che non tiene conto dei combustibili fossili. E siamo pronti per questa transizione. Abbiamo accumulato dei ritardi certamente, ma se l'Italia avesse installato ogni anno ciò che ha installato solo di fotovoltaico nel 2011, oggi saremmo totalmente indipendenti dal gas russo.

Ma per le industrie ad alte emissioni di co2 ci sono altre soluzioni?

Si. L'idrogeno verde, ottenuto dalle rinnovabili, può essere utile per le esigenze energetiche dell'industria "hard-to-abate". Settori come detto molto energivori, ad alta produzione di co2, possono trovare aiuto in questa nuova fonte rinnovabile, che a sua volta però va prodotto ovviamente da energie rinnovabili. Ritorna qui la necessità di ulteriori investimenti nel settore delle rinnovabili, più che su altri.

La cattura e stoccaggio di co2 comporta rischi per la sicurezza?

Dal punto di vista della sicurezza è difficile dare risposte definitive, perché come detto finora non esiste oggi una tecnica efficiente di cattura e stoccaggio in questo momento, su cui fare riscontri. Certamente, ci sono alcuni casi riportati dove lo stoccaggio della CO2 ha provocato problemi di tipo geologico, micro-terremoti, micro-fratture: sicuro non si tratta di un toccasana per il terreno. Il problema è però ovviamente la tecnologia. Stoccare in un mese grandi quantità di gas nel sottosuolo non è uguale allo stesso procedimento portato avanti dalla natura in milioni di anni. Di certo non mi sentirei sicuro a comprare una casa sopra un giacimento di gas ad altissima pressione. La CO2 a bassa concentrazione, inoltre, è tossica. Mentre ad alta concentrazione è letale. Chiaramente avere delle forti fuoriuscite di co2 ad alta pressione sicuro non è positivo, anzi. Esistono poi altri rischi: se arriva un missile o se c'è un terremoto dove c'è un impianto fotovoltaico ci sarà al massimo un black-out. Se si distrugge una centrale nucleare o un deposito di gas ad alta pressione siamo di fronti a pericoli ben diversi.

E allora a chi conviene tutto questo?

Se non ci fossero alternative capirei, ma di fronte all'esistenza delle rinnovabili perché continuare a muoversi nel mondo delle fossili? Perchè fare delle cose che potrebbero presentare rischi, se non ce n'è bisogno? Sicuramente c'è un tema anche di interessi economici. Tutti coloro che sono interessati a usare bacini ora vuoti per lo stoccaggio della CO2, chi vuole portare avanti l'industria delle fossili, chi gestisce i gasdotti o le navi metaniere, oppure Paesi come gli Usa che esportano il loro shale-gas…è chiaro che esiste chi spinge per mantenere in vita questo settore. Ma il cittadino, che tra le altre cose ha solo da perderci a livello di costi, non ha motivo di esultare per sviluppi di questo tipo. Senza dubbio bisogna avviare una conversione dei settori ad alte emissioni, attraverso politiche industriali ma anche sociali, in caso di problemi occupazionali. Servono compensazioni e trasformazioni, sicuramente impegnative, ma ne vale la pena. Pensiamo ad esempio che i gasdotti che hanno trasportato gas metano fino a oggi potrebbero essere adattati al trasporto dell'idrogeno verde. Sarebbe meglio investire su simili progetti, e non su altri.