No al gas estratto con il fracking, sì a un piano Marshall per le rinnovabili. Intervista a Maria Rita D’Orsogna

La necessità di sostituire il gas russo porta ad altri problemi per l’Europa dal punto di vista ambientale. Gran parte del gas in arrivo dagli Usa, necessario a sostituire quello di Mosca, è estratto con la tecnica del fracking, molto dannosa per l’ambiente. Con Maria Rita D’Orsogna, docente della California State University, abbiamo parlato dei problemi complessivi legati all’industria delle fossili e della necessità di un “piano Marshall” per finanziare la transizione all’energia rinnovabile.
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Michele Mastandrea 11 Maggio 2022
Intervista a Prof.ssa Maria Rita D'Orsogna Docente di Fisica alla California State University e attivista ambientale

La guerra tra Russia e Ucraina ha avuto, come ben sai, un notevole impatto sulla nostra sicurezza energetica. L'Italia, così come altri importanti Paesi europei (in primis la Germania) si è rivolta ad altri produttori di gas per aumentare le proprie importazioni, al fine di sostituire quello in arrivo da Mosca. Tra questi Paesi, ci sono gli Stati Uniti: con cui l'Unione Europea ha siglato qualche settimana fa un importante accordo per l'acquisto di maggiori quote di metano.

Devi sapere però che gran parte di questo combustibile in arrivo dagli Usa è prodotto tramite la tecnica del fracking, molto dannosa per i territori a causa dei metodi che utilizza per estrarre gas dal sottosuolo. Per sostenere la nostra sicurezza energetica rischiamo dunque di aggravare la crisi climatica, quando invece potremmo e dovremmo puntare sullo sviluppo di energia pulita da fonti rinnovabili.

Abbiamo discusso di tutto questo con Maria Rita d'Orsogna, docente italiana di Fisica presso il Dipartimento di Matematica della California State University e attivista ambientale. Cresciuta tra l'Abruzzo e gli Stati Uniti, residente a Los Angeles dalla fine degli anni Novanta, D'Orsogna si occupa da anni degli aspetti legati alla transizione energetica.

Prof.ssa D'Orsogna, l'Europa aumenterà moltissimo l'import di gas dagli Usa. Basterà per fare a meno di quello russo in futuro?

La Casa Bianca ha reso noto che ci sarà una maggiore esportazione di gas liquefatto dagli Usa verso l’Europa. Il principale cliente sarà la Germania, che dipende fortemente dalle importazioni russe, visto che circa circa il 60% delle abitazioni tedesche è alimentato dal gas di Mosca. Nel 2021 gli Usa hanno fornito 22 miliardi di metri cubi di gas all’Europa, quest’anno saranno 37, quasi il doppio. Secondo i protocolli stabiliti da ambo le parti dell’oceano, entro il 2030 si arriverà a 50 miliardi. Per fare un raffronto, dalla Russia nel 2021 sono arrivati 155 miliardi di metri cubi di gas. Parte dell’accordo Usa-Ue stabilisce che ci saranno anche scambi di tecnologia verde e che la crisi russa deve essere di sprono per aumentare la produzione di energia dalle rinnovabili in loco. Ora, per me tutto questo è una risposta ad un problema dalla soluzione impossibile, nato in tempo di crisi e a cui nessuno era preparato. E infatti l’Europa ha firmato accordi o discute anche con Azerbaijan, Qatar, Norvegia, Algeria per la fornitura disperata di gas, visto che gli Usa non possono bastare.

Gli Stati Uniti esporteranno gas estratto principalmente tramite fracking. Perché questa pratica è pericolosa?

Il fatto che il gas americano venga estratto usando il fracking è di cattivo auspicio, visto che si tratta di una tecnica invasiva che consiste nello spaccare roccia porosa “di scisto”, in cui madre natura ha intrappolato metano ed affini. Per spaccare la roccia e sprigionare il gas nei pori si usano grandi quantità di acqua mista a sostanze chimiche ad alta pressione, che spesso finiscono con l’inquinare le falde acquifere e/o con il causare terremoti. Il fracking è stato devastante per le comunità che vivono vicino agli impianti estrattivi. La Russia invece non usa fracking, perchè le loro tecnologie sono meno avanzate ed il gas che hanno è più abbondante e più facile da estrarre. Però le attività russe dal punto di vista ambientale non sono certo migliori di quelle americane, anzi, sono spesso contraddistinte da noncuranza per l’ambiente, fitti misteri, poca trasparenza.

Il rischio è di prolungare la ‘fase fossile' della nostra economia?

Io spero davvero che queste nuove esportazioni di gas siano un cerotto temporaneo alle follie di Putin. Allo stesso tempo, persistere sugli idrocarburi non aiuterà la lotta ai cambiamenti climatici, e temo che questi accordi, nonostante le belle parole sulle rinnovabili, prolungheranno ancora la nostra dipendenza dalle fonti fossili che immettono CO2 e metano in atmosfera. Se lo  scambio di gas a volume sostenuti fra Usa (o fra altri Paesi) ed Europa dovesse diventare permanente, dovremmo per forza di cose costruire una nuova infrastruttura dedicata, come porti per il carico-scarico di gas liquefatto, rigassificatori, gasdotti. Questi impianti dovranno essere attivi per decenni per ammortizzare i costi e renderanno meno urgente l’impeto verso le rinnovabili. Il North Stream che collega Russia e Germania è costato 11 miliardi di dollari. Vedremo altri nuovi  impianti sparsi in giro per l’Europa dedicati all’arrivo di gas da altri Paesi? E quando finirà la nostra soggezione all'industria "oil and gas"?

Insomma, puntare sul gas è sempre un problema per l'ambiente.

Stando al gas russo, la maggior parte arriva dalla Siberia e dall’Artico. L’inizio delle operazioni estrattive di gas e petrolio risale ai tempi dell’Urss. Furono spietati. Nessuno si curò dei diritti delle popolazioni indigene locali, che vivevano di caccia, di renne e in simbiosi con la natura, e che hanno dovuto convivere con acqua e terreni inquinati per anni. Alla fine, molti hanno dovuto lasciare le loro case. E siccome sono territori distanti e poco densamente abitati, hanno potuto un pò fare quello che hanno voluto. Anche oggi gli oleodotti sovietici, arrugginiti e con scarsa manutenzione, soffrono perdite che nessuno controlla e che a volte vanno avanti per mesi. Non è raro vedere fiumi che brillano di colori innaturali provenienti da sostanze chimiche. In Russia i malfunzionamenti ed i riversamenti sono all’ordine del giorno ma nessuno ne parla (o ne può parlare?). Basta cercare su Google: in Russia nel 2019 ci sono state 17mila perdite di  petrolio o gas. In Canada, dove pure l’industria petrolifera è vitale per l’economia e dove le condizioni climatiche sono simili, nel 2019 le perdite sono state solo 57. Morale della favola: non c’è un gas migliore ed uno peggiore. C’è l’industria degli idrocarburi che per sua natura non porta mai niente di buono a chi ci vive vicino nell’immediato, e sul pianeta a lungo termine. È per questo che, dopo 150 anni di petrolio, occorre trovare vie nuove per la nostra sete energetica.

L'industria delle fossili americana sta ‘sfruttando' la  guerra per guadagnare dalla vendita di Gnl? 

Ovviamente i petrolieri americani saranno ben contenti di aumentare le esportazioni verso Paesi terzi, quali che siano i motivi. E visto che i prezzi in Europa sono alle stelle in questo momento, esportare gas dagli Usa all’Ue sarà una manna per loro. Ma non credo che abbiano dovuto convincere Biden più di tanto, anche se dalle lobby dell'"oil and gas" ci si può aspettare di tutto. Semplicemente la politica non ha saputo proporre alternative migliori a maggiori smistamenti di gas Usa verso l’Europa e forse non ce n’erano. Non credo neppure che ci sia un grande disegno imperialista per il futuro da parte dei produttori americani, credo invece che seguiranno gli eventi e saranno molto cauti. Non per amore del  pianeta, ma per amore del denaro. Gli Usa non producono gas a sufficienza per poter davvero esportarne di più verso l’estero. Non è un mercato flessibile e a crescita smisurata e garantita, nel senso che i tempi di attivazione sono lunghi. I petrolieri vogliono  certezze, e qui ce ne sono ben poche.

Il rischio è anche di spendere per infrastrutture che saranno a breve inutili.

La prima cosa di cui tener conto è che il gas per essere trasportato oltre oceano deve essere prima sottoposto ad altissima pressione e liquefatto, in modo da poterlo mettere in contenitori vari e spedirlo per nave. Questo è un processo difficile e costoso, e ci sono impianti appositi, la maggior parte dei quali in Texas e Louisiana. Per garantire il passaggio dai 22 miliardi di metri cubi ai 37 verso l’Europa di cui abbiamo parlato prima gli americani hanno già massimizzato l’output di gas liquefatto (ed hanno diminuito le quote che mandavano in Asia). Non è fisicamente possibile liquefarne di più senza costruire altri impianti. Quando il gas liquefatto poi arriva a destinazione deve essere trasformato di nuovo in gas allo stato aeriforme, e di qui la necessità di altri impianti, quelli di “rigassificazione”. Se gli Usa non riescono a  produrre altro gnl oltre quel che hanno già prodotto, l’Europa non ha in questo momento sufficienti rigassificatori in azione. Ci sono dunque limiti in partenza e limiti in arrivo. In Germania ce ne sono esattamente zero di rigassificatori, perchè hanno sempre pensato di  potersela cavare con il gas russo, che arrivava via gasdotto senza dover essere liquefatto. Ora, uno potrebbe dire: costruiamone di più, di impianti di liquefazione negli Usa e di rigassificazione in Europa, specie in Germania. E certo ci si pensa. Ma non è cosi semplice. Si parla di un miliardo di dollari ad impianto e cinque-dieci anni di  tempo, se tutto va bene.

Esiste una pressione politica per proporsi come fornitore sostituto della Russia?

Investitori, banche, governi locali, e petrolieri stessi, devono essere ben  sicuri che si tratti di un investimento con buon potenziale di rendita prima di spendere un così grande capitale finanziario e politico. E se la guerra finisce fra una settimana? E se le rinnovabili  vincono davvero prima che queste strutture fossili possano essere completate? E se ci sono proteste di attivisti per l’ambiente che andranno a rallentare tutto? In più, l’estrazione di gas dai pozzi americani da fracking si è molto abbassata a partire dall’inizio del 2020 a causa di pandemia, calo della richiesta e crollo dei prezzi. Non è garantito che i petrolieri abbiano voglia di tornare ad aumentare la produzione ora, proprio grazie a tutte le incertezze di mercato. Le guerre sono imprevedibili. Prima di aumentare la produzione dunque i petrolieri, secondo me almeno, aspetteranno sussidi governativi, certezze finanziarie, e/o garanzie che non vengano incolpati di distruggere l’ambiente.

Ma comprare gas estratto tramite fracking non è un controsenso, pensando alla necessaria transizione ecologica?

Questa rincorsa al gas è stata una emergenza nata dall’impreparazione. Le crisi però, una volta trovati rimedi per l’immediato, devono essere strumento di crescita e di miglioramento. Siamo qui alla fin fine perchè abbiamo bisogno di energia e stiamo cercando di raccattarla dove possiamo: Russia, Usa, Qatar, Algeria, etc etc. Eppure sono anni che parliamo di transizione ecologica e di rinnovabili. La crisi del 1973 avrebbe dovuto essere un primo campanello di  allarme. Avremmo dovuto già allora organizzarci, pianficare, puntare sull’energia “sana”, fatta in casa o in nazioni stabili e democratiche, per liberarci delle catene di Paesi poco affidabili, governati da dittatori. Ancora di più la crisi ecologica e climatica degli ultimi decenni avrebbe dovuto convincerci ad abbandonare gli idrocarburi il più in fretta possibile. Non si può tornare indietro, ma spero davvero che questa guerra e gli effetti devastanti dei cambiamenti climatici portino ad innovazione e creatività nel campo delle rinnovabili. Non siamo partiti 50 anni fa, siamo stati timidi 30 anni fa. Iniziamo oggi e per bene.

Ma come dovremmo fare? 

Dovremmo meglio sfruttare l’energia eolica dai mari ventosi del nord o dal Mediterraneo, e favorire questo tipo di scambio energetico. Dovremmo aumentare la ricerca per lo stoccaggio di energia verde, favorire incentivi per la produzione dai singoli residenti con i pannelli sul tetto e per le auto elettriche. Dovremmo ottimizzare la rete, l’uso dell’idroelettrico esistente, aprendo dialoghi con l’industria per lavorare con loro. Se l’Ikea può diventare 100% green, allora possono anche tutte le altre. Se invece che a un mega gasdotto Germania-Russia avessimo pensato a un sistema di scambio di energia rinnovabile dal deserto marocchino o dal vento scozzese fino in Europa? Ovviamente la risposta non è il nucleare perchè non possiamo aspettare 20 anni e non sapremmo dove mettere le scorie nucleari, né tantomeno trivellare l’Italia in lungo e in largo perchè ne abbiamo troppo poco di gas e di petrolio nostrani. La risposta è accelerare con le rinnovabili, con la stessa solerzia con cui adesso rincorriamo il gas da mezzo mondo. Come se si trattasse di mettere l’uomo sulla luna nel 1969, come se si trattasse di un enorme piano Marshall per la stabilità delle democrazie mondiali nel 1948, e cioè come qualcosa di così urgente, di così fondamentale per il futuro, che l’unica strada è quella di mettercela tutta e di volerlo con tutti noi stessi.