Negli ultimi anni chiunque avesse a cuore la difesa dell’ambiente ha cercato di tenersi il più possibile alla larga dal famigerato olio di palma. Sulle etichette di merendine e altri alimenti ha iniziato a comparire la fiera dicitura “senza olio di palma” e noi abbiamo sentito la nostra coscienza ripulirsi dalle attività di deforestazione e la perdita di biodiversità cui avevamo contribuito fino ad allora. Oggi, però, sotto i riflettori è finita una delle principali alternative all’olio di palma, adottata per dimenticarcene. Forse, sbagliando. Si tratta dell’olio di cocco, sempre più utilizzato sia in ambito gastronomico che nella cosmesi naturale.
Secondo uno studio condotto e pubblicato da Erik Meijaard, conservazionista dell’università del Kent e responsabile del Oil Palm task Force dell’IUCN, la coltivazione dell’olio di cocco potrebbe nuocere più di quella dell’olio di palma nonostante occupi esattamente la metà di ettari di coltivazione. La ragione di questo danno, infatti, secondo lo studioso sarebbe il fatto che le piantagioni di cocco si trovino prevalentemente su isole tropicali piene zeppe di specie uniche ed endemiche che, se perdessero il proprio habitat a causa delle coltivazioni, sparirebbero per sempre dal Pianeta.
Questo studio è stato accolto con grande scetticismo e critiche dal momento soprattutto che il suo primo firmatario ha interessi nella promozione dell’olio di palma e che, secondo altri scienziati, alcune affermazioni contenute nello studio, comunque pubblicato su riviste autorevoli, siano prive di fondamento. Lo scienziato si è difeso dichiarando che la sua intenzione fosse soltanto quella di porre l’attenzione su altri generi di coltivazione potenzialmente dannosi invece di concentrarsi esclusivamente su quello già conosciuto dell’olio di palma.