Lo strano caso dell’olio di palma: quale impatto ha sull’ambiente?

L’argomento è più dibattuto di quanto sembri e prima di farti una tua opinione, ti invito a leggere tutte le argomentazioni, anche quelle delle multinazionali responsabili della maggior parte dell’utilizzo dell’olio di palma. Il problema più che del singolo alimento è dell’intero sistema e della cultura che stiamo portando avanti.
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Rubrica a cura di Giulia Dallagiovanna
10 Settembre 2019

Strano davvero. Dopo anni nei quali è stato etichettato come alimento potenzialmente cancerogeno, l'olio di palma è stato riabilitato dal punto di vista della salute: fa male, sì, ma come tanti altri tipi di grassi. Ma una volta superati i controlli medici, sono arrivati quelli ambientali e lì sono cominciati i veri problemi. "È la principale causa del cambiamento climatico", "No, non è vero: è più sostenibile di altre colture", "Provoca deforestazione e sfrutta i lavoratori", "Molte persona hanno trovato un lavoro proprio grazie a queste piantagioni". Insomma, dove sta la verità? Non è così semplice definirlo, perché si parla comunque di Paesi lontani, come Indonesia e Malesia, e dove i controlli a volte latitano e chiudono qualche occhio più del dovuto, ma come spesso accade sta nel mezzo.

L'olio di palma non fa bene all'ambiente per diverse ragioni, ma chi lo utilizza non è un criminale. Non più comunque di chi produce cioccolato, caffè o commercia ananas. Cerchiamo quindi di capire un po' meglio il problema e il reale contributo che dà all'inquinamento del Pianeta.

Il più grande motivo di preoccupazione è proprio la distruzione degli ecosistemi per far spazio ai campi sempre più vasti. Come eliminare i boschi è semplice: bruciandoli. Quando senti la notizia di qualche foresta in preda alla fiamme, tieni presente che tra le cause potrebbe esserci anche questa. E gli incendi non solo eliminano gli alberi, produttori di ossigeno, la liberano nell'atmosfera ingenti quantità di anidride carbonica. Si calcola che solo nel 2010, la deforestazione dell'isola del Borneo, in Malesia, abbia prodotto 140 milioni di tonnellate di CO2. Anche, va precisato, non tutta era da ricondursi all'industria dell'olio di palma. Il punto però non è solo l'aumento dell'inquinamento, ma anche la riduzioni delle armi per combatterlo che la natura ha dato al Pianeta: gli alberi, appunto. Secondo un report dell'United Nations Environment Programme (il Programma delle Nazioni unite per l'ambiente), è la causa principale della distruzione delle foreste pluviali proprio in Malesia e Indonesia, i due principali produttori al mondo.

E gli animali che ci vivono? Costretti a spostarsi per trovare zone più accoglienti, mentre il loro habitat viene distrutto pezzo per pezzo. Uno studio dell'Università della Nord Carolina, pubblicato sulla rivista Plos One nel 2016, ha calcolato che il 45% delle coltivazioni nel Sud est asiatico vengono impiantate su terreni che nel 1989 erano ancora foreste. E tra il 2003 e il 2013, la produzione globale di olio di palma è quasi raddoppiata. Inoltre, prosegue lo studio, la biodiversità ha subito una grave riduzione. Di norma, in queste parti di Malesia si trovano fino a 80 specie di mammiferi in un solo ecosistema. Le piantagioni le hanno fatte scendere a una trentina. Le vittime più famose sono scimpanzé e gorilla, ma è tutta la catena alimentare che viene alterata. Anche i piccoli animali non trovano più prede, che a loro volta hanno perso i vegetali con i quali si nutrivano. Gli uccelli emigrano per trovare nidi più accoglienti e i grandi predatori se ne vanno, quando non vengono proprio cacciati perché non intralcino le coltivazioni.

Nel Sud Est Asiatico il 45% delle piantagioni si trovano su terreni che prima erano foreste

A tutto questo ha risposto la Ferrero, che da tempo dichiara di non voler abbandonare l'utilizzo di olio di palma e, anzi, ne fa quasi un vanto. La multinazionale ha sottolineato come la produzione di questo grasso vegetale sia in realtà più sostenibile rispetto alle alternative al momento disponibili. Avrebbe infatti una resa maggiore e richiede, di conseguenze, meno piante e meno terreno per le stesse quantità, ad esempio, dell'olio di soia. Inoltre, pare che queste piantagioni non richiedano acqua e che siano sufficienti le piogge naturali, poiché si tratta di alberi resistenti che necessitano anche di un minor ricorso a fertilizzanti e insetticidi.

Non nega poi il gravissimo fenomeno della deforestazione, ma attribuisce la colpa principalmente alle industrie della carta e quelle che ricercano un legno di pregio. Aggiunge infine che dal 2013 esiste il Palm Oil Innovation Group, un tavolo di lavoro composto da 16 membri tra i quali il Wwf, il Rainforest Action Network e ovviamente la stessa Ferrero. Lo scopo è quello di rendere la produzione dell'olio di palma più sostenibile, dal punto ambientale e sociale, individuando ad esempio quali terreni devono essere preservati e quali invece possono essere destinati alle piantagioni.

La sostenibilità sociale è un altro tema. I lavoratori impiegati nei campi guadagnano poco, pochissimo. In Italia, si parlerebbe di sfruttamento. Oltre al fatto che chi vive nei villaggi limitrofi è costretto a emigrare perché si ritrova a vivere con falde acquifere inquinate e il suo terreno viene espropriato a poco a poco per lasciare spazio alle palme. Nel 2018, però, 2mila agricoltori malesi erano scesi in strada a protestare contro la messa al bando dell'olio di palma, dicendo che "sfamava la loro famiglia". Non solo, ma aggiungevano che se i loro figli avevano potuto frequentare la scuola, era proprio grazie alle piantagioni che avevano reso più ricco l'intero Paese e portato strade asfaltate e case in mattoni nei villaggi.

Ti starai quindi chiedendo dove stia la verità a questo punto. Probabilmente hanno ragione tutti, ambientalisti, ricercatori, Ferrero e agricoltori (che erano comunque solo 2mila tra gli oltre 650mila che lavorano nella sola Malesia). Il problema infatti non è l'olio di palma come singolo alimento inquinante, ma un sistema dove si è completamente perso il valore del cibo. Si compra tutto quello che il supermercato offre, cercando l'offerta sempre più al ribasso e una buona parte della spesa finisce puntualmente nel bidone, comunicando alle multinazionali che c'è la necessità di produrre sempre di più a prezzi inferiori. L'olio di palma è frutto di questa cultura.

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Sono Laureata in Lingue e letterature straniere e ho frequentato la Scuola di giornalismo “Walter Tobagi” di Milano. Mi occupo principalmente altro…