L’insostenibile produzione del cibo in Occidente: il problema non è solo quello che importiamo

Non si tratta solo di evitare un cibo e preferirne un altro, è l’intero sistema alimentare che abbiamo in Occidente che andrebbe rivisto. Dovremmo infatti tornare a comprendere il valore di tutto ciò che mangiamo e che la grande distribuzione ci ha abituato a trovare comodamente al supermercato, in ogni momento dell’anno.
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Rubrica a cura di Giulia Dallagiovanna
10 Dicembre 2019

Non si tratta solo di acquistare prodotti biologici e a chilometro zero, è l'intero sistema alimentare che seguiamo che dovrebbe essere completamente rivisto. O meglio, dovremmo recuperare un patrimonio che condivide anche il nostro Paese: la dieta mediterranea. Si tratta del menù più sostenibile che puoi seguire in questo momento: poca carne e prodotti animali, molta frutta e verdura. Il problema infatti non è solo l'importazione di cibo da zone lontane del Pianeta, ma anche come viene prodotto e le quantità richieste dal mercato ogni singolo giorno. Tutto il processo che consente a un bovino di finire sulla tua tavola sotto forma di bistecca o all'insalata di poter essere acquistata comodamente in busta in qualsiasi mese dell'anno hanno contribuito a rendere l'industria alimentare più inquinante degli altri settori industriali e dei trasporti. Emette infatti il 25% di tutti i gas serra che finiscono nell'atmosfera.

Innanzitutto, scegliamo cibi che già di per sé sono poco sostenibili. Carne e prodotti di derivazione animale hanno dietro di loro degli esemplari allevati, nella maggioranza dei casi, in veri e propri lager, senza il minimo spazio per muoversi e con il solo compito di mangiare per aumentare la massa corporea. E un alimento che costa poco e assicura proprio una crescita rapida è la soia. La soia è anche una delle cause principali della deforestazione. Mentre si nutrono, poi, berranno anche. Secondo la SIMA (Società italiana di medicina ambientale), la maggior parte delle risorse idriche che hai a disposizione sulla Terra viene utilizzata per produrre foraggio, dissetare e pulire le stalle e tutte le attrezzature che entrano in contatto con gli animali. Se ci aggiungi anche il metano prodotto in questi allevamenti, non ti sarà difficile capire come mai siano responsabili del 15% di anidride carbonica emessa nell'atmosfera.

Dall'inizio del Novecento, le nostre abitudini alimentari sono cambiate radicalmente. Rispetto al 1950 consumiamo una quantità di carne di cinque volte superiore, compriamo frutta a verdura proveniente da ogni parte del mondo, siamo abituati a trovare al supermercato gli stessi prodotti in ogni mese dell'anno e avvolgiamo ogni cibo in quantità esorbitanti di plastica.

Eccessivo consumo di carne, allevamenti e agricoltura intensivi e spreco alimentare sono le tre principali fonti di inquinamento

Non è quindi solo l'allevamento, ma anche l'agricoltura intensiva a destare preoccupazione. Le distese di campi a monocultura e che non conoscono nessun periodo di pausa dalla produzione sono un panorama tipico del secondo dopoguerra. Prima, i tuoi nonni te lo potranno confermare, i ritmi erano decisamente meno sostenuti. Ma se il terreno non conosce mai riposo e continua a nutrire le piante, a poco perderà le forze garantendo anche un raccolto inferiore rispetto alla quantità che ci si era prefissati. La soluzione? Fertilizzanti. Secondo i dati dell'Icei (Istituto di cooperazione economica internazionale), ogni anno vengono riversate 138 milioni di tonnellate di questi agenti chimici, mentre solo una minima parte è costituita da prodotti biologici.

E mentre una macchina li rovescia sulle coltivazioni, l'aria trasporta le goccioline di sostanze tossiche per tutta l'area circostante. Il 95% delle molecole di ammoniaca che respiri proviene proprio da qui. E questo dato è vero anche se abiti a Milano o in qualsiasi grande città lontana dalla campagna, come confermano le rilevazioni fatte nel 2017 dalla Fondazione per lo sviluppo sostenibile. Ma i fertilizzanti inquinano anche per altre vie. Quello che il suolo non assorbe, infatti, finisce direttamente nelle acque reflue e nei canali idrici. Fiumi, mari e falde acquifere da dove proviene l'acqua del tuo lavandino sono tutti contaminati dalla presenza di questi prodotti.

A tutto questo panorama, già abbastanza allarmante, devi poi aggiungere gli sprechi alimentari. Il cibo viene scartato a prescindere lungo tutti i passaggi della filiera produttiva. Secondo uno studio del Politecnico federale di Zurigo pubblicato a ottobre 2019, il 13% si verifica durante la fase della produzione vera e propria, il 27% durante la lavorazione e la trasformazione, l'8% al momento del commercio e il 52% dal settore gastronomico e in casa tua. Si tratta infatti di tutta quella frutta che marcisce nel tuo frigorifero e quindi devi gettare via, dei prodotti che non fai in tempo a consumare prima della data di scadenza, de bucce di ortaggi che in realtà sono ricche di proprietà nutritive e così via. Si tratta, insomma, dell'illusione che il cibo spunti da solo sui banchi del supermercato e che quindi possiamo consumarne a volontà, senza farci il minimo scrupolo.

È proprio il valore del cibo quello che dovremmo recuperare e che invece, probabilmente, per i tuoi nonni era chiarissimo. Mangiare soprattutto quello che cresce nella tua zona e limitarne il consumo alla stagione dell'anno corretta, possibilmente acquistando biologico, è la tua principale azione contro il cambiamento climatico.

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Sono Laureata in Lingue e letterature straniere e ho frequentato la Scuola di giornalismo “Walter Tobagi” di Milano. Mi occupo principalmente altro…