Gli effetti dell’alimentazione insostenibile: il costo reale delle tue abitudini in cucina

Parlare si lotta al cambiamento climatico significa anche, e soprattutto, rivedere il proprio regime alimentare. Arrivati a questo punto della rubrica lo avrai ormai capito: il modo in cui mangi ha un proprio impatto sull’ambiente e ciascuna delle scelte che compi incide. Ma di preciso, quali sono le conseguenze?
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Rubrica a cura di Giulia Dallagiovanna
17 Dicembre 2019

Se hai seguito questa rubrica, arrivato a questo punto avrai ormai capito quali gesti in particolare rendono la tua alimentazione non sostenibile per il Pianeta. Prima di tutto, l'acquisto di prodotti provenienti da allevamento e agricoltura intensivi, poi la scelta di cibi che arrivano dall'altra parte del globo e infine le enormi quantità di packaging che li avvolgono. Ma perché queste abitudini sono un danno per l'ambiente? Lo avrai intuito dai diversi articoli che forse hai letto, ma proviamo a fare un riassunto per avere un po' più chiara quale sia la situazione generale.

Partiamo proprio dalla produzione industriale di cibo. Dagli anni '60 ad oggi la richiesta di carne è raddoppiata e le Nazioni Unite hanno stimato che entro il 2050 mangeremo il 69% in più di carne di manzo, il 42% di maiale e addirittura il 100% di pollo. Si parla naturalmente di animali stipati in capannoni, senza alcuno spazio vitale, e fatti crescere a colpi di antibiotici e mangimi studiati ad hoc per aumentarne la massa corporea. Per quanto riguarda l'agricoltura, invece, il problema è sotto i tuoi occhi: peperoni e zucchine nei supermercati anche in inverno, fragole e ciliegie provenienti dall'altro capo del mondo, monoculture che resistono e producono a questi ritmi solo grazie a fertilizzanti e pesticidi. Bene, questi due settori insieme sono responsabili del 25% di tutti i gas serra che vengono emessi nell'atmosfera.

Innanzitutto, il 70% delle risorse idriche utilizzato ogni giorno viene impiegato per irrigare, dare da bere al bestiame o pulire attrezzi e macchinari. Nel conto poi deve anche essere inserito tutto l'inquinamento prodotto dalla deiezioni e quello generato nel suolo e nei corsi d'acqua dagli scarti di prodotti chimici per i campi.

Agricoltura e allevamento intensivi sono responsabili del 25% delle emissioni di gas serra

Inoltre, non dimenticarti della deforestazione. Si parla di centinaia di migliaia di ettari e migliaia di chilometri quadrati di boschi andati in fumo per sempre. E non è un modo di dire, perché la tecnica è proprio questa: bruciarli. È accaduto, e sta ancora accadendo, ad esempio in Ghana per il cacao, in Malesia e Indonesia per l'olio di palma, ma soprattutto nella Foresta Amazzonica per la soia. E proprio quest'ultimo è uno dei principali ingredienti dei mangimi per gli animali allevati in forma intensiva. Così, si ritorna al punto di partenza.

Eliminare piante a questo ritmo ottiene principalmente due effetti (oltre alla distruzione degli ecosistemi, alla perdita della biodiversità e al rischio di estinzione di diverse specie): vengono liberate nell'aria centinaia di tonnellate di anidride carbonica e ci sono sempre meno agenti che la possano assorbire e trasformare in ossigeno. E senza nuovo ossigeno, non respira nessuno. Oltre al fatto che la CO2 è tra i gas serra che contribuiscono al riscaldamento globale.

E già che siamo in tema di emissioni, vediamo anche quelle dovute al trasporto degli alimenti. Di norma, avviene attraverso le navi cargo che possono anche arrivare ad attraversare l'oceano quando le tue mire cadono su ananas o altri frutti tropicali. Il loro carburante si chiama bunker oil, non è raffinato e contiene tanto, tantissimo biossido di zolfo. Una parola che non ti suonerà sufficientemente familiare quanto smog, cioè quella nebbia che vedi ogni mattina aleggiare sulla tua città. Il biossido di zolfo ne è però uno dei principali componenti. E una sola di queste imbarcazioni ne produce tanto quanto 50 milioni di automobili.

L'ultimo problema in ordine di tempo è il packaging. Avrai sempre meno minuti, e anche voglia, di dedicarti alla preparazione del pranzo o della cena e così preferisce se le verdure sono già lavate e, perché no, anche tagliate, se i tranci di pesce sono già stati tagliati e messi in una vaschetta, se la minestra è già pronta e solo da scaldare. Ma tutti questi piatti già cucinati sono per forza di cose contenuti in confezioni che li devono conservare. Sono, cioè, avvolti nella plastica, ovvero uno tra i materiali più inquinanti creati dall'essere umano. Impiega circa 400 anni per degradarsi, rilasciando nell'ambiente diverse sostanze tossiche come metano ed etilene. Lo ha dimostrato anche uno studio pubblicato lo scorso anno su PlosOne.

Lo stesso discorso vale naturalmente per ogni imballaggio presente al supermercato. Non sono certo esenti dal problema gli snack, i cracker, il pane in cassetta e così via. Se guardi da vicino il tuo carrello della spesa, lo troverai pieno di polietilene. Il più delle volte, inoltre, sarà sottilissimo e bassa qualità, perciò nemmeno adatto per essere riciclato. Considerando che negli oceani in questo momento stanno galleggiando isole di plastica grandi quanto interi continenti, direi che non è per nulla un problema da sottovalutare.

Ma il punto fondamentale sono le tue abitudini. Mangiare ogni settimana un hamburger al fast food vicino casa inquina e non è nutriente. Calcola che ogni 2mila panini imbottiti con la carne, vengono liberati 25 chili di gas serra. Per farti capire meglio, la stessa quantità di pizza ne produce un solo chilogrammo. E non è ecologico nemmeno comprare prodotti fuori stagione, provenienti da un Paese lontano dall'Italia o quantità smisurate di snack e merendine. Per non parlare poi dello scarso valore che oggi diamo al cibo, comprandone troppo rispetto alla nostro reale fabbisogno e finendo per gettarne via una consistente percentuale, ignorando il peso ambientale degli scarti alimentari.

Ormai diversi esperti concordano sul fatto che parlare di lotta al cambiamento climatico significhi, prima di tutto, rivedere il nostro regime alimentare. E ora avrai le coordinate per riscrivere il tuo. La prossima settimana invece chiederemo qualche consiglio a un esperto.

Questo articolo fa parte della rubrica
Sono Laureata in Lingue e letterature straniere e ho frequentato la Scuola di giornalismo “Walter Tobagi” di Milano. Mi occupo principalmente altro…