Come funziona il primo pozzo che re-inietta la CO2 in una falda acquifera salina di profondità

Usare rocce e acque del sottosuolo per immagazzinare la CO2 e combattere il riscaldamento globale. L’esempio degli acquiferi salini profondi.
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Andrea Di Piazza Geologo specializzato in Green Management
17 Maggio 2023 * ultima modifica il 17/05/2023

Nel contrasto al riscaldamento globale una delle principali sfide è quella di ridurre o, addirittura, annullare le emissioni di anidride carbonica di origine antropica. Come ormai sappiamo, ogni attività industriale ha un suo impatto in termini di emissioni di gas climalteranti e svariate soluzioni tecnologiche sono state proposte per catturare l’anidride carbonica durante le operazioni e riutilizzarla o stoccarla per evitare l’immissione in atmosfera. Tra queste, l’iniezione sotterranea di CO2 è risultata essere un metodo efficace per ridurre drasticamente o annullare le emissioni da attività industriali. Come visto per le rocce basaltiche, anche le falde acquifere saline profonde si propongono come un promettente serbatoio per lo smaltimento dei gas serra con una capacità di stoccaggio pari a 10^4 Gt.

L’acqua salata come serbatoio di CO2

Le falde acquifere profonde di acqua salata, ospitate da rocce carbonatiche, sono tra le opzioni migliori per il sequestro di CO2 a lungo termine, grazie alla loro ampia distribuzione geografica su scala globale e alla capacità di stoccaggio. L’anidride carbonica può essere dunque intrappolata da una combinazione di meccanismi sia fisici che chimici che “fossilizzano” o solubilizzano il gas nella struttura fluido-roccia. Le interazioni tra CO2, salamoia (il fluido salino) e le rocce serbatoio dipendono da vari fattori tra cui la temperatura, la pressione, la chimica dei fluidi e la composizione della roccia, pertanto l’entità del risultato è esclusiva del sito in cui si effettua l’iniezione. Tuttavia il processo di sequestro può essere alquanto imprevedibile a lungo termine a causa di un certo grado di incertezza nelle interazioni tra CO2, roccia e salamoia, che influenzano le proprietà idro-meccaniche delle rocce. Lo studio della variazione tra porosità e permeabilità, infatti, è di vitale importanza affinché il processo avvenga con successo: qualsiasi cambiamento improvviso di queste proprietà, può causare perdite improvvise di CO2, con serie conseguenze sull’ambiente. Per questo motivo, con il fine di ottenere il massimo successo dall’operazione, è necessario approfondire la conoscenza delle interazioni tra fluido e roccia serbatoio nonché, ovviamente, della geologia locale, prima dell'iniezione vera e propria di anidride carbonica.

La ricerca scientifica

Gli studi sulle interazioni CO2-acqua-roccia si sono concentrate maggiormente sugli aspetti geochimici. In uno studio del 2015, per esempio, campioni di roccia dolomitica e acqua salata proveniente da un acquifero profondo sono stati esposti a CO2 per 91 giorni alla temperatura di 40 ̊C e alla pressione di 62 bar. Il confronto tra carote trattate e non trattate con CO2 e l'analisi di campioni di salamoia prelevati durante gli esperimenti hanno rivelato che la dolomite si è sciolta durante gli esperimenti e la concentrazione di ioni magnesio (Mg2+) e calcio (Ca2+) nella salamoia è aumentata. L’iniezione e l’acidificazione del fluido ricco in CO2 causa la dissoluzione della dolomite, l’aumento degli ioni nella salamoia nonché l’aumento osservato di porosità e permeabilità della roccia. Tuttavia sono proprio le relazioni tra interazione del fluido con la roccia e variazioni in permeabilità e porosità della roccia serbatoio che non sono ancora del tutto chiare. Svariati esperimenti mostrano risultati discordanti: se in alcuni casi si è osservato, in accordo con lo studio precedente, un aumento di questi parametri in risposta alla dissoluzione del carbonato, in altri casi invece, durante l’iniezione della CO2, è stata registrata una riduzione della permeabilità a causa della precipitazione di sale. Esperimenti in una roccia carbonatica fratturata, inoltre, hanno mostrato un aumento della permeabilità dovuto probabilmente a dissoluzione minerale. È evidente che sono necessari ulteriori ricerche per comprendere meglio le interazioni geochimiche e geofisiche in questi contesti.

La scala temporale

Uno dei limiti sperimentali della maggior parte di queste ricerche sono gli intervalli temporali a cui vengono condotti gli esperimenti. Se immaginiamo che un impianto di iniezione debba essere operativo per mesi o addirittura anni, è evidente che gli esperimenti di laboratorio devono essere dimensionati alla stessa scala temporale o almeno comparabile. Anche in profondità, come avviene in superficie con il carsismo, se esposti per un lungo periodo a reazioni con acido carbonico (che deriva dalla CO2), i minerali delle rocce carbonatiche come calcite e dolomite o i minerali argillosi reagiscono provocando la dissoluzione della roccia. In profondità questo si traduce nell’apertura di fratture e di nuove vie di scorrimento per fluidi e acque, modificando di fatto i modelli di flusso dei serbatoi ed influendo sulla permeabilità dello stesso.

Un recente studio sperimentale ha analizzato la combinazione tra alterazione delle proprietà geochimiche, mineralogiche e delle rocce negli acquiferi salini per il sequestro di CO2 nell'arco di 1 mese. L’esperimento è stato condotto considerando due periodi di reazione: uno di due settimane e un altro di quattro settimane. È noto, infatti, che diversi minerali richiedono tempi e gradi di equilibrio diversi per completare la loro reazione con CO2 e salamoia. I risultati dello studio suggeriscono che l’efficacia dell’iniezione di CO2 aumenta se il gas viene iniettato nel sottosuolo lentamente: in questo modo si facilitano le condizioni di equilibrio e si scongiura il rischio di modifiche strutturali del serbatoio. Tra le osservazioni più interessanti di questo esperimento vi è sicuramente la massiccia precipitazione di cloruro di sodio nei pori della roccia sul lungo periodo, fattore che riduce drasticamente la porosità del serbatoio.

Dal laboratorio al campo

Dal laboratorio alla realtà: sarà operativo dalla metà di quest’anno il primo pozzo che re-inietta la CO2 prodotta dalle attività del gruppo ADNOC in una falda acquifera salina di profondità. Annunciato durante l'Abu Dhabi Sustainability Week di quest'anno, il progetto fa parte di un fondo del valore di 15 miliardi di dollari per la realizzazione di opere e tecnologie che decarbonizzeranno le operazioni industriali del gruppo.

Una volta in funzione, il progetto inizialmente sequestrerà almeno 18.000 tonnellate all'anno di CO2 catturate dalle operazioni di Fertiglobe negli Emirati Arabi Uniti per l'iniezione nelle falde acquifere carbonatiche onshore di Abu Dhabi. L’esperienza del gruppo sul tema è già ampiamente assodata, come testimonia l’impianto di cattura di Al Reyadah, che ha la capacità di catturare fino a 800.000 tonnellate di CO2 all'anno.

Con tutti i limiti del caso l’iniezione in profondità di CO2 in acquiferi salini profondi si candida come strumento importante per la riduzione delle emissioni climalteranti da attività antropiche ma sono necessari ulteriori investimenti nella ricerca scientifica per migliorare l’efficienza di queste tecnologie e renderle più sicure.

Dopo una laurea in Geologia ed un dottorato di ricerca presso l'Università degli Studi Roma Tre, ha lavorato come ricercatore presso altro…