Non se ne parla più? Era uno slogan? No, si insiste giorno dopo giorno, per trovare un accordo o quantomeno una base di intenti prima che inizi la COP28 di Dubai a novembre. Mancano meno di due mesi alla conferenza delle Nazioni Unite per il Climate Change e il sistema di "Loss and Damage'‘ presentato poco meno di un anno fa, proprio durante la scorsa COP, resta ancora in piedi.
Era stato un'annuncio che forse all'inizio poteva sembrare uno slogan, ma mese dopo mese ha preso sempre più piede e non ci si può rimangiare la parola data. Ma prima di capire a che punto siamo e cosa sta succedendo facciamo qualche passo indietro.
Capiamo meglio di cosa stiamo parlando, cos'è il loss and damage?
Gli Stati meno sviluppati del mondo si sono riuniti sotto la bandiera del Cairo lo scorso anno, per chiedere ai Paesi più ricchi di non venir meno agli accordi di Parigi nel 2015. Infatti secondo l'Accordo sul clima le Nazioni più sviluppate dovrebbero coprire le perdite e i danni del riscaldamento globale.
Si parla da tempo di un fondo da 100 miliardi di dollari all'anno, volto alla decarbonizzazione e all'adattamento dovuto agli effetti del cambiamento climatico. Questo fondo sarebbe la base d'appoggio per rendere ufficiale il sistema loss and damage.
Oltre a questo fondo, dal nome appunto "Loss and Damage", la proposta dei Paesi più poveri è un sistema di tassazione per le emissioni di anidride carbonica, i viaggi aerei, il carburante delle navi, l'estrazione di combustibili fossili e in generale per le transazione finanziarie.
Quella di ragionare in termini di "loss and damage" è una battaglia che i Paesi dell'Alleanze dei piccoli Stati Insulari portano avanti da decenni, infatti, secondo l'IPCC, "ci sono voluti più di 20 anni per ancorare il concetto di L&D all’architettura dell’UNFCCC attraverso l’istituzione del Meccanismo Internazionale di Varsavia (WIM, Warsaw International Mechanism)".
A portare avanti le istanze dei MaPa, i "most affected people and areas" (ovvero i Paesi e le comunità che sono vittime degli effetti della crisi climatica) è stato l'Egitto, lo Stato che ha ospitato la Cop27. Secondo il rapporto IPCC pubblicato ad Aprile 2022, i principali colpevoli della crisi climatica in termini di emissioni accumulate storicamente sono il Nord America e l'Europa, altro che Cina, come si è sempre sostenuto (chiaramente anche quest'ultima ha le sue responsabilità).
Per una corretta rappresentazione delle emissioni presenti nell'atmosfera, bisognerebbe considerare anche le emissioni che si sono accumulate con il tempo nell'atmosfera. Così facendo, ne esce un quadro diverso, perché è vero che complessivamente la Cina è il maggiore responsabile di emissioni di CO2, ma (per l'appunto) in termini di emissioni accumulate al primo posto si colloca il Nord America (Usa 27% delle emissioni cumulate globali di CO2 tra il 1850 e il 2018), segue l'Europa (il 17% nel medesimo arco di tempo) e per ultima la Cina (11% di emissioni di Co2).
È qui però che si apre lo scontro ideologico, perché in sostanza accettare una soluzione tale significherebbe che i Paesi più ricchi ammettessero le proprie colpe. È, però anche un dato di fatto, che il 10% più ricco del mondo sia responsabile di quasi il 50% di tutte le emissioni, mentre il 50% più povero ne genera solo il 12% del totale. E quindi come parte più sviluppata del mondo dobbiamo cominciare a prenderci le nostre responsabilità e pagare le nostre colpe.
L'anno scorso però gli stessi Paesi più ricchi hanno presentato una controproposta per il Loss and Damage. E la controproposta sarebbe un'altra: "mantenere gli impegni già presi nella Cop26 sulla decarbonizzazione e di rispettare l'obiettivo di mantenere il riscaldamento globale entro 1,5 gradi."
Sembra che la questione ideologica raccontata prima sia quasi superata e adesso entra in gioco un altro punto ovvero quello di strutturare questo meccanismo. Come dovrebbe funzionare? Chi, quanto, come e quando i Paesi dovrebbero pagare e quali Paesi dovrebbero ricevere i fondi? Come questi fondi dovrebbero essere usati?
A margine dell’Assemblea generale dell’ONU che si è svolta dal 18 al 22 settembre 2023 i negoziati sul meccanismo Loss & Damage hanno fatto emergere posizioni ancora molto distanti. Per alcuni dei Paesi più sviluppati come Stati Uniti, Gran Bretagna, Australia e l’Unione Europea, bisogna trovare il giusto meccanismo che porti alla conclusione di questa trattativa.
Solo i Paesi classificati come meno sviluppati (46, di cui 33 in Africa) e i piccoli stati insulari in via di sviluppo (39 paesi che ospitano meno dell’1% della popolazione mondiale) potrebbero ottenerlo.
Una platea troppo ridotta effettivamente, ma dall'altro fronte anche i Paesi ricchi vorrebbero accedere a questi fondi. Altra considerazione che va fatta è che forse avere una platea troppo ristretta potrebbe portare a discriminare chi non otterrà questi fondi e magari ne ha diritto.
“Tutti i paesi in via di sviluppo vulnerabili, indipendentemente dal loro livello di sviluppo e dalla loro collocazione geografica, devono essere ammissibili”, ha affermato il ministro degli Esteri pakistano Jalil Abbas Jilani durante l’incontro ministeriale sul dossier che si è svolto a New York. “Non saremmo in grado di dare il nostro sostegno a un approccio così selettivo, divisivo ed escludente”.
Ultimo punto riguarda la questione economica del fondo. Chi deve mettere le risorse? Sicuramente i Paesi più sviluppati, però c'è un problema: la Cina risulta ancora come Paese in via di sviluppo e invece tutti gli altri grandi leader mondiali vorrebbero che pagasse anche il Paese del dragone. La posizione Europea sostiene che dovrebbe contribuire al fondo ogni stato che è in condizioni di farlo. Sul versante opposto, i paesi in via di sviluppo fanno valere la responsabilità storica dei paesi avanzati nell’aver alimentato la crisi climatica.