Copenhill, il paradosso del termovalorizzatore di Copenaghen: cosa possiamo imparare da questa storia per l’inceneritore di Roma

A Roma verrà costruito un nuovo termovalorizzatore che si ispirerà al modello di Copenaghen, uno dei più sostenibili al mondo. Nonostante ciò, la Danimarca ha successivamente dichiarato che: “decidere di incenerire è stato un errore”.
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Annatina Fanigliulo 28 Febbraio 2024

È grande quanto cinque volte Piazza San Pietro e la sua superficie misura ben 40.000 m². Nel 2021 è stato eletto “edificio dell’anno” in occasione del festival mondiale dell’architettura. Stiamo parlando di Copen Hill, il termovalorizzatore più sostenibile al mondo, per molti, un modello da imitare. Ma è davvero così?

Il Copenhill

In funzione dal 2017, il Copenhill è davvero un modello, come viene decantato, oltre confine?
In effetti il termovalorizzatore danese può bruciare fino a 400.000 tonnellate di rifiuti l’anno, fornendo energia a 60.000 famiglie e gestendo il riscaldamento di 120.000 nuclei familiari. Tutto questo, senza emissioni di CO2, dalla ciminiera, esce solo vapore acqueo.

Inoltre, l’impianto collocato sul tetto è da urlo. Sono presenti piste da sci e snowboard, una parete di arrampicata di 85 metri e percorsi da trekking, tutto costruito con materiale riciclabile. Qui su sembra davvero di essere in montagna, ci sono perfino 5 sfumature di verde che simulano il manto erboso.

La Danimarca, successivamente però, ha riconosciuto il fallimento della sua politica sulla gestione dei rifiuti dichiarando che “decidere di incenerire è stato un errore”.
Se l’impianto non inquina e, in più, produce energia pulita per alimentare le abitazioni, come è possibile che sia stato un errore?

Il paradosso danese

Un termovalorizzatore per funzionare ha bisogno incessante di alimentarsi con i rifiuti. È come un mostro gigantesco, dai costi spropositati, che ha bisogno di mangiare continuamente.
Facendo due conti a Copenaghen il problema è proprio questo: è troppo grande. Ogni anno metà dei rifiuti inceneriti vengono importati dalla Gran Bretagna, parliamo di circa 210.000 tonnellate.

I rifiuti che vengono importati sono: carta, plastica e biomasse..tutti materiali riciclabili, che dovrebbero appunto essere riciclati e non inceneriti. Tutto ciò lancia un messaggio completamente sbagliato, ovvero che per risolvere il problema dei rifiuti bisogna bruciarli. E non solo: che per alimentare il termovalorizzatore bisogna produrre più rifiuti. È un vero e proprio paradosso.

La gerarchia dei rifiuti

Per la gestione dei rifiuti urbani, l’Unione Europea ha imposto ai governi di investire le proprie risorse rispettando la cosiddetta “gerarchia dei rifiuti”, la quale può essere immaginata come una piramide rovesciata.

In cima alla scala c’è la prevenzione.
Infatti, la priorità assoluta per l’UE è: non produrre più rifiuti. I governi, quindi, dovrebbero investire per scoraggiare la produzione e incoraggiare il riuso di ciò che è già stato prodotto. Ma prima a Copen Hill abbiamo accade esattamente il contrario: ha bisogno di rifiuti per funzionare e questo significa incoraggiare la produzione di nuovi rifiuti.

Al secondo posto della scala delle priorità, l’Europa chiede che per quello che quando un rifiuto non è più riutilizzabile, è necessario riciclarlo. E anche in questo il termovalorizzatore di Copenaghen non può  definirsi un modello, dato che viene alimentato anche con materiali riciclabili.

Poi, solo quei rifiuti che non possono essere riciclati possono essere bruciati con l’ausilio, ad esempio, dei termovalorizzatori per convertirli in energia. Ecco quindi l’UE chiede di investire a favore di questa gerarchia dove il termovalorizzatore è parte della soluzione e non l’unica.

Questo per limitare l’utilizzo delle discariche, che sono sull’ultimo gradino della gerarchia. Questo perché le discariche hanno un altissimo impatto sull’ambiente e l’obiettivo è ridurre a zero il loro utilizzo.

Il caso di Roma

A Roma si sta  parlando da tempo di costruire un termovalorizzatore nella zona urbanistica di Santa Palomba, a sud della Capitale,  e sarà come quello di Copen Hill, almeno sulla carta.
Chiaramente non avrebbe le piste da sci o una parte di arrampicata, ma sarebbe in grado di bruciare 600.000 tonnellate di rifiuti l’anno.

Costruire un gigantesco termovalorizzatore di questa portata a Roma, vuol dire investire miliardi di euro. Precisamente ci vorranno un miliardo di euro solo per la costruzione dell’impianto. Ma i costi per la durata trentennale della concessione ammonterebbero a poco più di 7 miliardi di euro; una cifra enorme per una soluzione ormai antiquata e superata che si ispira, stando all’opinione di molti esperti, a un modello fallimentare.
Allo stesso tempo, però, potrebbe essere per Roma una soluzione per poter gestire meglio i rifiuti, dato che qui ogni anno vengono prodotti 1.068.067 tonnellate di rifiuti indifferenziati.

Fanno bene i cittadini a non volerlo?

Per capirlo dobbiamo osservare i dati sullo smaltimento dei rifiuti. l’Italia smaltisce più del 20% dei rifiuti in discarica, oltre il 30% viene riciclato, e circa il 20% viene incenerito. La Danimarca, invece, non hanno discariche ma riciclano quanto noi e bruciano tra il 40 e il 50% dei rifiuti.

Una percentuale altissima che, come detto prima, contrasta le indicazioni dell’UE.
Il rischio, quindi, è che anche l’Italia scivoli su un grosso paradosso, perché se è vero che meno rifiuti finiranno in discarica, è anche vero che ricorrere al termovalorizzatore potrebbe incentivare la produzione di nuovi rifiuti e disincentivare il riciclo.

Affinché questo non avvenga occorre, in generale, produrre meno rifiuti, riutilizzare il riutilizzabile e riciclare e sperare che anche le scelte di chi ci governa vadano in questa direzione.