
Il Coronavirus replica meno, ergo è più “debole”. È il risultato a cui era giunto lo studio del San Raffaele di Milano: ce lo aveva raccontato il suo coordinatore, il professor Massimo Clementi, direttore del Laboratorio di Microbiologia e Virologia della struttura milanese che ci aveva anche spiegato come la carica virale ritrovata nei pazienti di maggio fosse notevolmente inferiore a quella negli infetti di marzo. Se il virus replica meno, le infezioni hanno una carica virale minore e quindi vi è una riduzione della sintomatologia clinica. Che, di fatto, è ciò che si sta osservando nelle ultime settimane di emergenza. Ora lo studio del San Raffaele è stato pubblicato sulla rivista Clinical Chemistry and Laboratory Medicine e insieme al professor Clementi abbiamo provato a trasportare le intuizioni dello studio alla situazione di oggi, due mesi dopo.
Il professor Clementi ci aveva spiegato che le cause dietro a questa minor virulenza del virus non erano certe e che si potevano avanzare fondamentalmente tre ipotesi. “Potrebbe essere una conseguenza positiva del lockdown e del distanziamento sociale” spiega Clementi: in sostanza si sta più attenti, si sta distanti gli uni dagli altri e c’è quindi una maggior attenzione che prima, invece, non c’era. La seconda ipotesi è legata alla stagionalità poiché “questi sono virus che normalmente replicano meno in estate perché risentono della temperatura e dei raggi UV”. Infine, per il direttore del Laboratorio di Microbiologia e Virologia del San Raffaele di Milano si potrebbe pensare che si sia innescata una sorta di convivenza fra l’uomo e il virus. Un po’ come è già successo con il virus influenzale che ha causato la pandemia di H1N1.
Mentre però sulle ragioni che potrebbero spiegare la “debolezza” del virus servono ancora studi più approfonditi, a praticamente due mesi di distanza le osservazioni riportate nel primo studio oggi sono state ulteriormente confermate. “Ciò che abbiamo osservato su 100 persone l’abbiamo rivalutato su tutti i nostri 1200 pazienti – continua Clementi – E qui si vede in maniera chiara che settimana dopo settima il virus si sta riducendo. Come l’abbiamo visto noi lo stanno osservando anche altri centri, come a Bergamo”. E questo, secondo Clementi, spiegherebbe i numeri di oggi, sarebbe la ragione per cui, insomma, “chi si infetta oggi è poco sintomatico oppure del tutto asintomatico, come successo negli ultimi due focolai di Roma e Bologna”.
Insieme al professor Clementi abbiamo provato a guardare al futuro. A che cosa potrebbe succedere dunque nei prossimi mesi di emergenza. Partendo dal presupposto, spiega, che “la Covid-19 è malattia che cambia dal punto di vista clinico e che infetto non è sinonimo di malato”, anche qui vi possono essere tre scenari possibili. Accanto al più drammatico, ovvero una “ripresa autunno-invernale devastante quanto o di più rispetto alla prima”, il virus potrebbe anche scomparire dopo l’estate, sullo stesso modello di H1N1. Ma c’è anche una terza strada, la più probabile per Clementi: “Sars-Cov-2 potrebbe anche rimanere. In questo caso spetterà a noi isolare i piccoli focalai che eventualmente nasceranno. E poi, lentamente, il virus potrebbe anche spegnersi o sopravvivere, senza però creare più alcun danno”.