Correre una maratona dopo un cancro al seno, accanto alle tue dottoresse

Sandra Callegarin ha scoperto di avere un tumore nel 2014. L’anno dopo ha fondato la onlus Run Your Life Again (Ryla) che riunisce pazienti e dottoresse dello IOV (Istituto oncologico veneto) in nome dell’alleanza medico-paziente. Il primo obiettivo è quello di correre le maratone più importanti, da New York a Parigi. Il secondo è raccogliere fondi per la ricerca. Ne fa parte anche la dottoressa Stefania Zovato: “Il rapporto con il paziente è parte della cura”
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Giulia Dallagiovanna 12 Aprile 2022
* ultima modifica il 12/04/2022

La maratona di Parigi è lunga 42 chilometri e 195 metri. Prima di arrivare al traguardo, passi attraverso diverse fasi. C'è il momento in cui ti senti pieno di energie e pensi che arriverai fino alla fine senza problemi. Poi si presenta la stanchezza magari rallenti un po' per riposarti e dosare le forze. A un certo punto, le gambe pesano, il fiato manca e ti sorge il dubbio: "E se non ci riuscissi?" Ma dopo l'ultimo tratto, ti guardi indietro e realizzi tutto il percorso che hai affrontato per tagliare quella linea e soprattutto l'importanza del tuo allenatore e dei compagni di squadra che ti sono sempre rimasti vicino, pronti a sostenerti e a spronarti. Il rapporto tra un medico e un paziente con tumore funziona più o meno così.

Non è un caso se Sandra Callegarin ha fondato la onlus Run Your Life Again (Ryla) un anno dopo aver scoperto di essere affetta da carcinoma duttale infiltrante, la forma più diffusa di cancro al seno. E non è un caso se ha deciso di coinvolgere pazienti, ma anche dottoresse dello IOV (Istituto Oncologico Veneto). "L'alleanza medico-paziente è fondamentale – ci ha raccontato. – Io, ad esempio, sono una maniaca del controllo, ma quando ti ammali avverti chiaramente che il controllo sul tuo corpo lo hai perso. Ti senti in balia della corrente, non sai dove andare e sei costretto a farti guidare da qualcun altro". E quando accetti di mettere la tua vita nelle mani di un'altra persona, signfica che ti fidi. "Il medico non è qualcuno che rimane a distanza, dall'altra parte della cattedra. È come salire insieme su una canoa e remare all'unisono verso la stessa direzione. Se ti rassegni è tutto più difficile. Lavorare in modo attivo ti fa vivere meglio anche un periodo così difficile, persino quando, purtroppo, non finisce come si sperava".

Sulla canoa assieme a Sandra c'è salita, tra gli altri, anche la dottoressa Stefania Zovato, endocrinologa. Ha aderito a Ryla fin dalla formazione della prima squadra: 10 pazienti e 3 dottoresse. Ed era presente alla prima maratona, quella del novembre 2016 a New York. "Abbiamo trasferito la condivisione del percorso di cura alla corsa – spiega. – Sono convinta che una buona percentuale della cura stia anche in quello che noi trasmettiamo ai pazienti e a come escono dalla porta dell'ambulatorio. Si devono sentire rassicurati e consapevoli di potersi appoggiare a noi. Manteniamo un rapporto professionale perché dobbiamo essere un punto di riferimento, ma l'empatia è un qualcosa che non si impara sui libri e queste esperienze aiutano a svilupparla".

L'idea di fondare Ryla arriva qualche mese dopo la diagnosi di tumore. Nel 2014, Sandra ha appena iniziato a correre con il classico obiettivo di perdere qualche chilo e rimettersi in forma, quando sente un nodulo al seno. Inizia tutto l'iter degli esami e i risultati sembrano essere negativi fino a che, a giugno, arriva il verdetto definitivo. Nel frattempo il marito, sportivo, si era già iscritto alla maratona di New York e lei è decisa: "Ho chiesto agli oncologi che mi seguivano di aiutarmi a partire con lui". Si opera, affronta il primo ciclo di chemio e sale sull'aereo, "parruccata e mascherata" perché le difese immunitarie sono basse.

"La maratona di New York è un evento particolare – continua Sandra. – Le persone partecipano per motivi diversi. Spesso corrono per qualcuno o in memoria di qualcuno. Un affresco pieno di storie di vita. Mi è sembrato che questo percorso, in cui devi stringere i denti per arrivare al traguardo, fosse una metafora di quello che stavo vivendo io. E così ho avuto la folgorazione: una maratona contro la malattia". Al suo rientro, decide di coinvolgere anche pazienti e medici con due obiettivi: darsi un traguardo difficile per cui lavorare e raccogliere fondi per la ricerca. Lo IOV aiuta nella selezione delle candidate, che hanno davanti a loro uno sforzo fisico importante da sostenere, dopo aver già affrontato le terapie che possono lasciare strascichi ed effetti collaterali. "Il segreto è proprio quello di fare tutto assieme, se mi fossi allenata da sola sarebbe stato completamente diverso".

Allenarsi tutti i giorni è impegnativo. Uscire di sera, anche quando fa già buio e le temperature sono molto basse non è sempre un appuntamento allettante. Secondo la dottoressa Zovato conta l'obiettivo comune ma anche "il fatto di condividere una mezz'ora di serenità con cui concludere bene la giornata. Mi ha arricchito tantissimo frequentare queste persone al di fuori del percorso di cura e vedere con i miei occhi la loro tenacia e la forza con cui hanno superato gli ostacoli, quelli della corsa e quelli legati alla malattia. Penso che ciascun medico della squadra sia stato arricchito da questa esperienza e diventato in qualche modo uno specialista migliore".

Londra, Valencia e altri appuntamenti in Italia. Parigi è stato l'ultimo evento, in ordine di tempo, a cui hanno partecipato. Ma è stato speciale. Prima di tutto perché hanno tagliato il traguardo tutte assieme e poi per il tifo: "Le famiglie sono venute con noi e si sono sparpagliate per le strade, lungo il tragitto. Ogni tanto giravamo un angolo e ce li trovavamo davanti con striscioni e fischietti", ricorda la dottoressa.

Per Sandra e le altre pazienti, arrivare alla fine significa potersi guardare indietro. Rendersi conto di tutto quello che è successo, della strada che hanno affrontato, delle difficoltà che hanno superato. Significa esorcizzare la malattia, superando i propri limiti con un corpo che è già provato. "Quando ho tagliato il traguardo della mia prima maratona ho pensato ‘Porca miseria! Ci sono davvero riuscita, nonostante quello che ho passato!' Ho provato un senso di gratitudine immenso".

Credits photos: foto di Ufficio stampa IOV

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