La differenza tra una scelta etica, sostenibile e capace di garantirti un alimento sano e sicuro rispetto a una che invece ti mette di fronte a cibi dove i dubbi coinvolgono tanto l’origine quanto la filiera e l’affidabilità è sottile.
Il segreto per non sbagliarla si nasconde nell’etichetta appiccata sulla confezione di ciò che staio comprando. Saperla leggere e interpretare dunque è determinante, tanto più se racconta la vita di prodotti delicati come il salmone.
Sapere se in mano hai un animale selvaggio o allevato, per esempio, è importantissimo dal punto di vista nutrizionale perché dalla provenienza dipende la qualità e la quantità di nutrienti che quel cibo può offrirti ma rappresenta anche una discriminante importante sia dal punto di vista della sicurezza alimentare che dall’impatto ambientale.
Come leggere dunque l’etichetta del salmone? Cosa possiamo imparare interpretando in maniera corretta e consapevole le informazioni contenute sulla confezione di questo prodotto?
Il primo dato che un’etichetta fornisce riguarda la provenienza del salmone che si era comprando. Se, dunque, l’animale è stato pescato in natura o se invece è stato allevato: se non trovi nessuna indicazione, tieni a mente che nella maggior parte dei casi si tratta di un pesce d’allevamento.
La differenza è sostanziale perché i salmoni selvaggi sono spesso pesci pescati nelle acque dell’oceano Pacifico, tendenzialmente appartenenti a due specie diverse, il salmone rosso (Oncorhynchus nerka) o il salmone argentato (Oncorhynchus kisutch), che arrivano perlopiù dall’Alaska e rappresentano una fonte di proteine magre e nutrienti e un sapore più forte dovuto a un’alimentazione ricca di aringhe.
In genere, si tratta di un prodotto più costoso rispetto a quelli d’allevamento ed è dunque più difficile trovarlo nei supermercati.
Un salmone d’allevamento è, invece, più economico e nella maggior parte dei casi si tratta della specie Salmo salar. L’aspetto negativo tuttavia è che questi animali possono essere esposti all’effetto di contaminanti chimici come pesticidi, antibiotici e altre sostanze chimiche utilizzate per controllare il rischio malattie e parassiti negli allevamenti.
Gli allevamenti di salmone si trovano perlopiù in Norvegia, Scozia e Irlanda e, come tali, sono di fatto allevamenti “intensivi” che dunque possono avere un impatto negativo sull’ambiente marino e quindi sulla qualità delle acque e la distruzione degli habitat naturali.
Fai attenzione anche alla presenza o meno del nome specifico della specie salmone che stai comprando. Se l’etichetta dovesse includere il nome scientifico potresti prenderla come un’ulteriore garanzia del fatto che stai effettivamente comprando ciò che leggi scritto.
Secondo un’approfondita analisi del Washington Post, alcune marche di salmone nell’etichetta possono anche riportare informazioni sulla colorazione del prodotto, specificando se quel rosa-arancione che si vede è frutto di un “colore aggiunto”.
I salmoni che vivono liberi negli oceani, infatti, non presentano il classico colore a cui siamo abituati e al posto del rosa o dell’arancione si presentano invece con una colorazione tra il grigio e il bianco.
Per uniformare il loro aspetto e immettere sul mercato prodotti “riconoscibili” e in grado di soddisfare le esigenze dei consumatori, gli allevamento ricorrono a pigmenti sintetici che vengono somministrati ai pesci aggiungendoli ai mangimi in modo da conferire loro il caratteristico colore rosa-arancione. Non temere: ci sono anche allevamenti che utilizzano mangimi contenenti un tipo di carotenoide o dei pigmenti naturali.
L’indicazione sul luogo dove è stato catturato o allevato il salmone è un’informazione fondamentale per poter compiere una scelta più o meno sostenibile perché le pratiche e le normative sulla pesca e l'allevamento variano da paese a paese.
Anche in questo caso torna estremamente utile l’analisi del Washington Post che, citando i dati di Seafood Watch del Monterey Bay Aquarium, racconta che il salmone Chinook della Nuova Zelanda per esempio sarebbe allevato in modo responsabile mentre quello atlantico allevato in Canada, Cile, Norvegia o Scozia sarebbe da evitare a causa dell'impatto ambientale di queste strutture.
Fonte | Humanitas