CREA: “Dire che le foreste salveranno dal cambiamento climatico è una bufala. Sono solo una panacea”

In Italia ultimamente stiamo vivendo in un paradosso. Parliamo tanto di consumo di suolo che esiste, è reale, ma secondo gli ultimi dati forniti dai carabinieri forestali, su tutto il territorio italiano, le foreste sono in aumento del 18,4% negli ultimi dieci anni. Attualmente il 38% della superficie del nostro Paese è ricoperta da foreste. Com’è possibile? Cosa sta accadendo?
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Mattia Giangaspero 21 Marzo 2023
Intervista a Raoul Romano Ricercatore del Centro di ricerca politiche e bioeconomia del CREA. Esperto in economia e politica forestale, sviluppo sostenibile e rurale. Referente tecnico scientifico per la Direzione foreste ed economia montana del MIPAA, Istituzioni ed enti locali.

Per la giornata internazionale delle foreste  noi di Ohga abbiamo pensato di capire meglio quanto possa essere incisivo, e in positivo ovviamente, l'impatto di una foresta urbana sui cittadini. Capire meglio il perchè, nonostante un terzo del nostro Paese sia ricoperto da foreste, soffriamo di siccità. Capire meglio la connessione tra le aree boschive e il cambiamento climatico. Per questi motivi abbiamo pensato di ascoltare Raoul Romano, Ricercatore del Centro di ricerca politiche e bioeconomia del CREA (Consiglio per la ricerca in agricoltura e l'analisi dell'economia agraria).

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L’impatto della forestazione urbana quanto può incidere positivamente nella lotta al cambiamento climatico?

“Molti studi fanno presente come in un ambito urbano fortemente popolato la presenza di spazi verdi o di singoli piante hanno un impatto sulla qualità della vita della popolazione. Servono almeno 500mq di verde per persona in una città. Considerando il tessuto urbano delle più grandi città di Italia, questo dato diventa indicativo, per non dire falsato, perché non si può più stravolgere il tessuto urbano. Quel che possiamo fare è rendere questo tessuto urbano più resiliente e più sostenibile dal punto di vista del verde. Oggi le grandi città italiane si sono sviluppate in un’ottica completamente diversa. Vedendo una fotografia degli anni 20 e 30 c’era molto più verde e non c’era l’asfalto per terra e quindi le singole piante vivevano in una condizione di minore stress."

Oggi bisogna ridurre la superficie coperta, cioè cemento, marciapiede. Bisogna aumentare quell’area di sostenibilità che la pianta deve avere attorno alla base del tronco. Intorno alla piante deve esserci almeno un metro, un metro e mezzo di lato di terra, in cui l’acqua possa penetrare e di conseguenza la pianta potrà svilupparsi.

"La presenza del verde in città poi deve essere aumentata, ma con un ottica che purtroppo oggi manca. Ti faccio un esempio banale. Prendendo un qualsiasi progetto nuovo di costruzione, di palazzi o di quartieri, vengono raffigurati alberi alti 30 metri. Questo non è fattibile. Una pianta è un essere vivente, deve crescere, si deve sviluppare, arriva a una certa maturità e poi anche muore, ma con tempi diversi da quelli che sono i tempi dell’uomo. Se dovessi piantare adesso una pianta di 2 o 3 anni è alta quanto un essere umano. Tra decenni invece sarà 30 metri. Questo per dire che bisogna sviluppare verde urbano in prospettiva. Non possiamo pensare di mettere piante adulte, non ce l’abbiamo. Questo concetto sembra banale, ma culturalmente ci scontriamo tutti i giorni. Quando c’è da fare abbattimento in città di alberi pericolanti o malati, noi ci scontriamo con comunità di cittadini che però indicano la piantumazione di una pianta uguale, della stessa grandezza."

Manca nella nostra cultura ormai quel rapporto tra uomo e natura primordiale. Noi, oggi, vediamo la natura come un oggetto statico, come un componente dell’arredo urbano e non come un essere vivente che ha le sue necessità di spazio, di luce e i suoi tempi di crescita. Questo, mi sento di dire che è l’aspetto più difficile da far capire alla società. Le piante che metteremo oggi migliorerà la qualità della vita dei nostri nipoti, non di noi oggi.

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Per quanto riguarda le foreste invece nel suo report per l’Università di Palermo pubblicato nel 2019, indica come queste non svolgano più una mitigazione del clima. Questo porta delle conseguenze sulla biodiversità, sulla siccità sulla fauna. Le foreste sono essenziali non solo per il verde, ma anche per tanti altri temi ambientali. È come se ci fosse un’interconnessione… Cosa rischia di accadere?

“Il patrimonio forestale fornisce tutta una serie di servizi all’uomo, legati alla possibilità di salvaguardare tutta una serie di equilibri ecosistemi in cui la biodiversità si mantiene e si sviluppa. La biodiversità non è statica si evolve in funzione dell’ambiente. Il bosco ha la capacità di gestire questi diversi ecosistemi che permettono una conservazione. C’è adesso un fattore da considerare, ovvero il cambiamento climatico. Il bosco non è un organismo statico, ma vivente, quindi si evolve e si adatta. E si sta adattando da più di 50 anni ad un cambiamento climatico. Le piante che sono capaci di resistere molto di più a periodi di siccità, adesso si stanno sviluppando di più in aree dove prima non crescevano, perché queste stesse aree sono soggette per la prima volta a lunghi periodi di siccità. Questo noi non lo percepiamo a occhio nudo."

Ti faccio un esempio. A Roma c’è un caso che però è lampante ai suoi cittadini. Imboccando la Salaria che è una consolare che esce dalla città, adesso sono comparse delle palme, da rinnovazione naturale in mezzo allo spartitraffico. Ogni 30-40 metri si trovano delle palme che non ha messo l’uomo, ma si tratta di semi che si sono sviluppati trasportati da animali. Quel vialone, tra 20-30 anni, sarà un vialone palmato. È questo il cambiamento che stiamo vivendo, la palma che in queste aree non si è mai sviluppata, adesso invece cresce ed è una pianta sana

"Storicamente in quella consolare ci sono sempre stati, invece, dei platani come piante. Ora torniamo al discorso di prima. Dire che le foreste salveranno dal cambiamento climatico è una grandissima bufala. È una panacea ai problemi che in realtà si dovrebbero risolvere da un altro punto di vista.”

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Cioè?

“Cioè la riduzione delle emissioni. Le foreste assorbono le emissioni da CO2 da sempre, ma lo fanno con tempi lunghissimi. Se dovessimo piantare anche 60milioni di alberi che tutti dicono che dobbiamo piantare, gli effetti contro il cambiamento climatico li vedremo tra 80anni e non domani. A noi però serve domani. Il problema della quantità di CO2 dell’atmosfera non lo risolvono i boschi o le piante assorbendo CO2. Lo risolve l’uomo riducendo le emissioni. Le piante invece si adattano semplicemente alla quantità di CO2 che c’è nell’atmosfera.

Aggiungo un’ultima cosa molto importante. L’evoluzione naturale che boschi e piante stanno avendo in Italia, noi come specie umana la possiamo accompagnare, sviluppare. Potremmo renderla più rapida e nell’interesse che abbiamo noi. In ambito cittadino possiamo mettere a dimora piante che nei prossimi anni possono svilupparsi. Cambiando quindi completamente la concezione del nostro verde urbano. Per esempio i pini marittimi che caratterizzano Napoli e Roma stanno morendo tutti e nei prossimi dieci anni non ce ne saranno più uno in piedi perché c’è un parassita che li sta facendo morire. Allora noi dobbiamo accettare questo e dobbiamo mettere specie più capaci di resistere al caldo e ai parassiti.”

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Proprio su quest’aspetto dello sviluppo di una nuova forestazione urbana, volevo provare a fare con lei un ragionamento. Sono anni che parliamo di consumo di suolo che in Italia aumenta sempre più, però secondo le ultime analisi fatte a livello forestale, sempre l’Italia, negli ultimi dieci anni, ha anche sviluppato molte più aree verdi, arrivando a coprire il 38% del suo territorio da foreste. Com’è possibile che viviamo in questo paradosso di tanto verde e tanto consumo di suolo?

“Il paradosso è molto semplice perché la deforestazione, cioè la perdita di bosco per creare altre superfici in particolare quelle agricole, l’Italia l’ha conosciuta secoli fa, invece altre parti del mondo ne hanno bisogno oggi. In Italia a fine 800’ si parlava di deforestazione. Intere aree venivano tolte per creare campi agricoli perché in quell’epoca c’era fame e c’era bisogno di coltivare. Pensa che nel 1861, il 93% della popolazione attiva in Italia era occupata nel mondo agricolo. Il 93%. Si tratta del primo censimento del Regno d’Italia.

Questo adesso si fa in altre parti del mondo, ma sempre per noi. Noi consumiamo la soia, il mais, l’olio di palma che vengono prodotti in altre parti del mondo. L’Italia adesso è semplicemente un grande importatore di prodotti agricoli. Noi non facciamo più questa attività di deforestazione. Noi facciamo un agricoltura molto intensiva. Oggi solo il 4% delle persone attive a livello lavorativo, sono all’interno del settore agricolo. Abbiamo completamente perso quell’attività di agricoltura, di collina e di montagna che prima invece veniva fatta nei vari boschi. Adesso i boschi hanno ripreso i loro spazi. Quindi adesso abbiamo quest’aumento di superficie forestale, ma solo per questo processo di riforestazione naturale. Il limite del bosco scientificamente si è sempre detto che era 2000 metri, ma da quando i pascoli non vengono più fatti il livello è salito fino a circa 2500 metri. In Italia quindi non si può parlare di deforestazione. Ci sono dei tagli che vengono fatti per utilizzare il legname. Questi tagli però sono regolati da una normativa, la più restrittiva d’Europa. Noi tagliamo meno di tutto il resto d’Europa. Importiamo legname. Il primo Paese da cui importiamo è l’Austria che pensa, ogni anno, taglia il 70% di quello che cresce. Noi invece circa il 30%."

In Italia si confonde il taglio di un albero nella strada sotto casa, o di un boschetto con la deforestazione. Quelli sono solo tagli che ovviamente devono essere autorizzati e legali. La deforestazione è un taglio che invece cambia l’uso del suolo. Come dice Ispra il cambio di uso del suolo negli ultimi 50 anni è legato solo alla cementificazione. Noi adesso dobbiamo considerare che il nostro vivere quotidiano influenza le foreste di tutto il mondo e non solo quelle italiane. Non riusciamo a capire che consumare e comprare certe cose sta creando un effetto dannoso in altre parti del mondo.