Dalla pasta al caffè: ecco gli alimenti che potrebbero contenere il glifosato

Tracce dell’erbicida più diffuso al mondo sono presenti ovunque, perfino nell’acqua che beviamo, ma (quasi) sempre in valori inferiori rispetto ai limiti stabiliti dalla legge. Il rischio maggiore proviene dai prodotti a base di cereali, ma tra gli osservati speciali ci sono anche il miele e il caffè.
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Federico Turrisi 26 Novembre 2019

A tavola potresti trovare un condimento non desiderato: il glifosato, ossia la molecola più utilizzata al mondo in agricoltura per combattere le erbe infestanti. Solo in Italia ogni anno si usano 24 mila tonnellate di diserbanti sui campi agricoli. Questo vuol dire che le probabilità di ingerire quotidianamente delle piccole percentuali di glifosato sono altissime, a meno che non compri solo prodotti provenienti da agricoltura biologica. Almeno in teoria. Ma tracce di glifosato sono state trovate anche nell'acqua potabile, a riprova del fatto che il composto chimico è ovunque.

Gli enti regolatori fissano la dose giornaliera ammissibile, un parametro che esprime la quantità di una sostanza che i consumatori possono assumere ogni giorno, per tutta la vita, senza causare danni alla salute. Si parla in questo caso di Acute Reference Dose (ARfD), in italiano Dose Acuta di Riferimento (Dar): nell'Unione Europea la soglia per il glifosato è di 0,5 milligrammi per chilogrammo di peso corporeo.

La dose giornaliera ammissibile di glifosato è di 0,5 milligrammi per kg di peso corporeo.

La preoccupazione principale è dovuta al fatto che lo Iarc, l'Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro, ha classificato il glifosato come "probabilmente cancerogeno". Il rischio di sviluppare il linfoma non-Hodgkin riguarderebbe più gli agricoltori, la categoria più esposta ai pesticidi per motivi professionali. Ci sono però timori anche per i consumatori, soprattutto per quanto riguarda i possibili residui di glifosato (e in generale di pesticidi) sui prodotti agricoli e i loro derivati. Ma il dibattito sulle possibile conseguenze per la salute umana è ancora aperto, come dimostrano i pareri discordanti delle agenzie internazionali.

Il glifosato nella pasta

Ad analizzare il livello di glifosato presente in alcune categorie di alimenti, a partire dal prodotto simbolo della cucina italiana, la pasta, ci hanno pensato soprattutto varie inchieste giornalistiche. Va detto che recentemente la situazione è migliorata: decisiva è stata infatti nel febbraio dello scorso anno l'introduzione in etichettatura del paese di provenienza del grano e del paese di molinatura. Nel 2017 il Canadian Food Inspection Agency (Cfia) aveva confermato che il 36,6% dei campioni di grano canadese registravano un'elevata presenza di glifosato (il 3,9% addirittura sopra i limiti di legge, che in Canada è di 5 ppm). Che cosa c'entra il Canada? In questo paese il glifosato è ampiamente usato anche prima della raccolta per favorire la maturazione e l'essiccazione del grano, pratica che però è vietata in Europa, e fino a poco tempo fa il Canada era uno dei principali paesi, insieme agli Stati Uniti, da cui l'Italia importava il grano per realizzare la farina per la pasta.

Sempre nel 2017, la trasmissione A Bon Entendeur del canale svizzero-francese Rts ha analizzato 16 prodotti tra paste, biscotti e cereali da prima colazione a caccia dell’erbicida più utilizzato al mondo. In sei casi, pur in quantità ridotte, sono stati rilevati residui di glifosato.

Con il calo delle importazioni di grano dal Canada e dagli Stati Uniti, sono state trovate tracce di glifosato solo in due campioni, sempre entro i limiti stabiliti dalla legge. Tuttavia, alcuni campioni sono risultati contaminati anche con 4 o 5 residui di altri pesticidi contemporaneamente (il cosiddetto "effetto cocktail").

In conclusione, possiamo dire che i prodotti cerealicoli e i legumi non biologici hanno qualche probabilità di contenere glifosato. In passato, tracce della sostanza sono state rinvenute in prodotti come biscotti, fette biscottate, crackers e corn flakes. Negli Stati Uniti la Food and Drug Administration (Fda), l'agenzia federale che si occupa della regolamentazione dei prodotti alimentari e farmaceutici, nei test di laboratorio ha rilevato la presenza del composto chimico sul 63% dei campioni di mais e sul 67% dei campioni di soia, sottolineando però che nessuno dei campioni aveva livelli superiori ai limiti stabiliti dalla legge.

Il glifosato nel miele

Anche il miele potrebbe risultare contaminato dal glifosato. A fare scalpore sono stati soprattutto due studi. Il primo del marzo 2016 condotto da un chimico statunitense, Narong Chamkasem, del Food and Drug Administration, il quale aveva esaminato 28 campioni di miele, trovando in tutti tracce di glifosato. Il secondo più recente, del febbraio 2019, condotto da un gruppo di ricercatori dell’Agri-Food Laboratories del Ministero dell’Agricoltura e delle Foreste dell’Alberta, in Canada: in questo caso è emerso che dei 200 campioni di miele esaminati 197 avevano residui di glifosato (ossia il 98,5%). Le autorità canadesi si sono affrettate a precisare che i valori sono sempre sotto i limiti europei.

Il glifosato nella birra e nel vino

Anche due tra le bevande alcoliche più apprezzate in Europa e nel mondo non sono esenti dallo spauracchio glifosato. Per quanto riguarda la birra, in Italia un'inchiesta sempre condotta dal Salvagente nell'estate del 2018 ha rivelato che dalle analisi di 28 marche conosciute di birra sono state trovate tracce di glifosato in 16 campioni. Un'iniziativa analoga è stata realizzata dalla rivista francese 60 millions de consommateurs: in questo caso, delle 45 birre prese in esame 25 hanno fatto registrare residui di glifosato. Un'ulteriore conferma è arrivata dai test condotti negli Stati Uniti dal Pirg, Public interest research group, su 15 bottiglie di birra (per lo più americane) e 5 di vino (4 statunitensi e uno argentino): nel 95% dei campioni è stata riscontrata la presenza della famigerata sostanza, il che significa che solo una marca di birra ne era priva. Per quanto riguarda il vino italiano invece, la situazione dovrebbe – il condizionale è d'obbligo – essere più rassicurante, diciamo così. Basti pensare che lo scorso aprile il Consorzio di tutela del prosecco Conegliano Valdobbiadene Docg, in Veneto, ha deciso di vietare l'uso dei diserbanti a base di glifosato, nonostante le normative italiane ed europee ne consentano ancora l'impiego.

Il glifosato nel caffè

Il caso più recente di glifosato negli alimenti riguarda il caffè. Stando a quanto riporta un articolo di Bloomberg dello scorso settembre, alcuni test che hanno rilevato livelli di glifosato pericolosamente vicini al limite normativo nei chicchi di caffè provenienti dal Brasile e dall'Indonesia, Nestlé, azienda multinazionale che detiene marchi importanti come Nescafé e Nespresso, ha informato i fornitori brasiliani e indonesiani sul fatto che eseguirà controlli più stringenti sui chicchi di caffè verde che acquista, in particolare per quanto riguarda l'uso di pesticidi e di erbicidi come appunto il glifosato. I controlli aggiuntivi riguarderebbero soprattutto il caffè che poi arriva in Europa, dove la normativa è più severa rispetto a molti altri paesi del mondo. Con questa mossa ovviamente Nestlé non intende rinunciare all'uso degli erbicidi, ma vuole stimolare i coltivatori di caffè a migliorare le loro pratiche di gestione delle erbe infestanti, valutando anche altri metodi di diserbo.