L'Organizzazione mondiale della sanità (OMS) e Unicef lo raccomandano per favorire il legame tra madre e figlio fin dai primi istanti di vita, ma il rooming in non è obbligatorio e non è previsto da tutte le strutture sanitarie in Italia. Si tratta della pratica di "permettere alla madre e al suo bambino – si legge nel decalogo Oms/Unicef – di restare insieme 24 ore su 24 durante la permanenza in ospedale".
Se è vero che secondo la letteratura scientifica sono diversi i benefici che mamma e bambino possono trarre dal rooming in, non si può tralasciare il fatto che per essere attuato, il rooming in – specificano Oms e Unicef – necessita di tutta una serie di attenzioni che l'ospedale deve essere in grado di garantire ai neo-genitori, primo tra tutti la presenza di un personale sanitario preparato e pronto ad assisterli in questa delicata fase della loro vita. Ma in concreto cos'è e come funziona il rooming in?
Sebbene questo termine – letteralmente "tenere in stanza" – sia in uso da pochi anni, la pratica a cui rimanda è antica quanto l'uomo: in passato per una neomamma era naturale tenere con sé il bambino fin dalla sua nascita, poi con lo sviluppo della medicina e la diffusione del parto in ospedale è diventato sempre più comune tenere i bambini appena nati negli appositi reparti di nido e ostetricia.
Negli ultimi decenni però la sensibilità su questo argomento è cambiata e molti ospedali hanno deciso di optare per un approccio diverso, prevedendo il rooming in per i neonati che non presentano problemi di salute. Questa pratica è infatti a oggi quella raccomanda a livello internazionale: nel già citato decalogo firmato da Oms e Unicef del 1989 il rooming in viene consigliato nella prassi di assistenza al neonato.
Secondo il documento inoltre per un neonato sano e a termine il contatto "pelle a pelle" ("skin to skin") con la madre dovrebbe avvenire entro la prima mezz'ora dalla nascita. È importante però specificare che queste tempistiche così strette vengono meno in caso di cesareo o altri interventi chirurgici, ma anche in questi casi "resta valida – ribadisce il decalogo – la necessità di favorire uno stretto contratto madre-figlia quanto prima possibile".
"La pratica del roomin in – scrivono Oms e Unicef – dovrebbe quindi sostituire quella di tenere madre e figlio in camere separate e a contatto soltanto durante “visite” programmate" per una serie di motivi:
Secondo il documento dell'Oms inoltre la vicinanza perenne con il corpo della mamma avrebbe un potenziale effetto benefico anche sul sistema immunitario del bambino, perché favorirebbe "la colonizzazione della pelle e del tratto gastroenterico del neonato da parte dei micro-organismi materni, che tendono a non essere di natura patogena e contro i quali agiscono gli anticorpi contenuti nel latte materna".
Anche se nel decalogo per la promozione dell'allattamento molto spazio è dedicato ai benefici di questa pratica, non si può dire lo stesso delle modalità con cui dovrebbe essere attuato. Iniziamo con il dire che non è obbligatorio per un ospedale adottare il rooming in e non deve esserlo nemmeno per una mamma.
"Il rooming-in può essere gestito in vari modi, in base alla struttura dell’ospedale o del reparto di maternità. Il principio fondamentale è consentire alla madre libero e facile accesso al neonato grazie alla sua vicinanza fisica", si legge ancora nel documento Oms/Unicef, a patto che la struttura si adoperi ad "addestrare il personale sanitario affinché possa mettere in pratica il protocollo".
Le modalità con cui viene attuato il rooming in cambiano quindi da ospedale a ospedale. Ad esempio in un ospedale di Torino, il protocollo si realizza in questo modo:
È fondamentale però garantire alle mamme, ovviamente molto stanche e indebolite dal parto, un'assistenza continua da parte del personale del nido. Tra i compiti a esso assegnati nel caso dell'ospedale torinese già citato:
Ci sono inoltre alcune strutture che permettono a entrambi i genitori di vivere l'esperienza del rooming in. Quest'opzione permette infatti di creare un legame con entrambi. In questo modo inoltre è possibile tenere sempre controllo sia la mamma che il neonato e segnalare al personale la minima anomalia.
Ovviamente, come ribadito sopra, questo è solo un esempio di rooming in, quindi se stai valutando quest'opzione per il tuo parto è importante per te chiedere fin durante la gravidanza se la tua struttura preveda o meno quest'opzione e in quali modalità per fare, qualunque cosa tu preferisca, una scelta consapevole.
Fonti | Ministero della Salute, Ospedale Maurizio di Torino