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Giornata nazionale del polline: perché è importante tenere d’occhio le previsioni e come rimediare

Oggi è la Giornata nazionale del polline: un nuovo studio pubblicato su Nature mostra, con dei modelli previsionali, le relazioni tra il cambiamento climatico e le stagioni dei pollini in Nord America. Per capire se è possibile fare un paragone con la situazione europea, abbiamo intervistato la dottoressa Emma Tedeschini, presidente dell’Associazione Italiana di Aerobiologia, e Alessandro Di Menno Di Bucchianico, ISPRA, coordinatore della Rete POLLnet SNPA.
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Francesco Castagna 21 Marzo 2022
In collaborazione con Emma Tedeschini e Alessandro Di Menno Di Bucchianico rispettivamente presidente dell’Associazione Italiana di Aerobiologia e chimico ambientale di ISPRA, coordinatore della Rete POLLnet SNPA

Chi l’ha detto che il polline è presente solo in primavera? Al contrario di quanto potresti immaginare, è presente tutto l’anno a seconda delle fioriture delle piante. Alcuni studi mostrano gli impatti negativi che può avere non solo sulla salute, ma anche sull’ambiente, quindi anche su di te.

Tra i problemi legati alla salute, ci sono asma e allergie: patologie con cui chi ne soffre deve combattere ogni giorno, ma sono solo una parte del problema. Anche il clima potrebbe risentire dei nostri comportamenti.

Non tutto ciò che altera il clima è riconducibile esclusivamente all’inquinamento ambientale. Esistono relazioni tra cambiamento climatico e polline, variabili da tenere in considerazione e micro comportamenti da mettere in atto per prevenire un’ampia diffusione di polline nell’aria.

Lo studio

Partiamo da una ricerca, pubblicata sulla rivista Nature Communications lo scorso 15 marzo, dall’Università del Michigan. Devi sapere che si tratta di una previsione, e perciò siamo ancora in grado di rimediare in modo che l’ipotesi non si verifichi. L’indagine mostra come il polline delle piante in cui l’impollinazione è causata dal vento è da tenere sotto osservazione per diversi motivi: ha un ruolo importante nella fecondazione delle piante, altera il clima perché interagisce con le nuvole presenti nell’aria, disturba gli impollinatori (api, farfalle, vespe) e provoca forti reazioni allergiche.

Nello studio i ricercatori hanno analizzato, in America del Nord, le tendenze in base ad un modello di emissione di polline, incrociando i dati di 15 diversi tipi di polline di piante con le previsioni sui dati climatici futuri. Se le tendenze sul clima e sulla quantità di polline continuano ad essere queste, allora molto probabilmente l’aumento delle temperature potrebbe spostare l’inizio dei pollini primaverili di un range che va dai 10 ai 40 giorni. Inoltre, non solo uno spostamento, ma potrebbe verificarsi anche una situazione in cui la stagione dei pollini primaverili duri più del normale.

La situazione in Italia e il parere degli esperti

In città potrebbe capitarti di vedere delle piccole centraline che registrano l’inquinamento dell’atmosfera. Esistono anche delle strutture, ma forse non le vedi, ancora più piccole che misurano la presenza di polline nell’aria che respiriamo, generalmente si trovano sui tetti dei palazzi. Grazie a queste piccole stazioni, i ricercatori riescono a portare avanti i loro studi. In Italia la situazione è monitorata dall’Associazione Italiana di Aerobiologia, sul sito di AIA – SIAMA www.ilpolline.it e da POLLnet, la rete di monitoraggio aerobiologico del Sistema Nazionale per la Protezione dell'Ambiente (SNPA) sul sito www.pollnet.it.

Per capire meglio l’andamento dei pollini in Italia abbiamo sentito due esperti: la dottoressa Emma Tedeschini, presidente dell’Associazione Italiana di Aerobiologia, e Alessandro Di Menno Di Bucchianico, ISPRA, coordinatore della Rete POLLnet SNPA, che si occupa anche del monitoraggio e coordinamento del polline nelle diverse stazioni in Italia. Secondo Emma Tedeschini non bisogna parlare di spostamento della stagione dei pollini primaverili: “È più corretto parlare di sfasamento a seguito di un aumento delle temperature. Per alcune specie di piante il polline compare in anticipo, per altre si ha un aumento della quantità di polline presente nell’aria”. È bene, ricorda la presidente Tedeschini, spiegare che le emissioni di polline dipendono principalmente da due fattori: la temperatura e l’aumento di acqua, e quindi di piogge.

"È più corretto parlare di sfasamento della stagione dei pollini primaverili a causa dell'aumento delle temperature"

Ora, il cambiamento climatico non sta fornendo i due fattori allo stesso modo, concentra le piogge in alcuni periodi dell’anno e perciò avviene un prolungamento delle stagioni”, dice la presidente Tedeschini. Ci sono poi altri comportamenti, utili per noi e per l’ambiente, che possono prevenire l’aumento del polline nell’aria: “La presenza di polline dipende anche da un diverso uso del suolo: lo sfalcio dell’erba, la pulizia delle mura e la manutenzione delle piante infestanti senza l’utilizzo di sostanze chimiche, ma con sistemi che utilizzano il vapore”.

Secondo la presidente questa è una conseguenza delle economie delle amministrazioni, che molto spesso si trovano a tagliare fondi utili a formare il personale che si occupa del verde. Ci vogliono poi più risorse e tante ore di lavoro.
Anche il ruolo degli impollinatori è compromesso. Le api, che si servono di un polline meno allergenico, lo utilizzano per nutrirsi. “L’inquinamento ambientale genera nel polline una situazione di stress, perché produce proteine stressanti e in un ambiente inquinato è più aggressivo per noi, così gli impollinatori vengono disorientati".

Alcuni studi mostrano che la salute degli impollinatori dovrebbe interessare anche te: da una parte l’inquinamento del suolo, l’uso dei pesticidi e l’inquinamento dell’aria riducono l’attività di questi organismi, dall’altra avere meno impollinatori significa meno raccolti di cibo, un mercato globale che attualmente vale 577 miliardi di dollari.

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Monitorare il polline

Bisogna circostanziare lo studio fatto negli Stati Uniti, perché si basa su proiezioni modellistiche per i prossimi anni, non su dati misurati”, dice Alessandro di Menno Di Bucchianico.

Con le reti di monitoraggio presenti in Italia, l'esperto ISPRA ci spiega che non è possibile individuare i pollini della singola specie, ma ci si va molto vicino. “Sulla base di queste concentrazioni noi calcoliamo la durata della stagione pollinica, osserviamo alcune minime variazioni, che non possiamo ancora attribuire all’attività umana, e una tendenza per certe famiglie di allungamento della stagione. Su Roma, per esempio, riesco a registrare un piccolo anticipo facendo una valutazione statistica”.

"Associare questa variazione solo all'aumento della temperatura è un errore statistico"

Il ricercatore afferma che il fenomeno dell’emissione di polline è così legato alla meteorologia, che esistono tanti fattori da analizzare prima di affermare con decisione che una sua variazione sia legata al cambiamento climatico. “Associare questa variazione solo all’aumento della temperatura vuol dire commettere un errore statistico. In Italia questo fenomeno al momento non si è verificato, la proiezione fatta in Nord America mostra sicuramente risultati importanti ma è importante non giungere a conclusioni affrettate. C’è questa possibilità ma noi non abbiamo la stessa biodiversità degli Stati Uniti”, conclude Di Menno Di Bucchianico.

Scientificamente sappiamo quindi che il polline è utile per il processo di fecondazione delle piante, allo stesso tempo sappiamo che altera la fenologia, ovvero il rapporto tra gli organismi vegetali e le variazioni climatiche, e per finire sappiamo che entrambe hanno una grande importanza anche sulle nostre vite. Cosa fare allora? Come già detto dagli esperti, bisogna attuare delle giuste politiche di tutela e cura dell’ambiente nelle città e allo stesso tempo fornire più fondi alla ricerca per incrementare il monitoraggio di questi importanti fattori.