Gli accordi della Cop26 punto per punto: cos’è è stato deciso a Glasgow

I principali punti deboli sono due: la decarbonizzazione su cui India e Cina non hanno voluto cedere e il fondo economico per aiutare i Paesi in via di sviluppo a riparare i danni del cambiamento climatico, contro il quale hanno fatto resistenza soprattutto Stati Uniti e Unione europea. E l’obiettivo dell’1,5 gradi, per quanto messo nero su bianco, appare ancora molto lontano.
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Giulia Dallagiovanna 14 Novembre 2021

La Cop26 è finita e non esattamente come si sperava. Il Patto di Glasgow adottato all'unanimità dai 197 Paesi partecipanti alla Conferenza dell'Onu è un accordo al ribasso: inferiore non solo a quanto chiedevano associazioni e movimenti ambientalisti, ma anche alle raccomandazioni degli scienziati rispetto all'obiettivo 1,5 gradi. Il riferimento a questa soglia resta, come già era stato fatto al G20, ma la strada per raggiungerlo appare oggi sempre più tortuosa. Il presidente della Cop26, Alok Sharma, annuncia quasi tra le lacrime il risultato raggiunto. "Mi scuso per il modo in cui questo processo si è svolto – ha dichiarato. – Sono profondamente dispiaciuto, ma è fondamentale proteggere questo pacchetto". Dunque non è un mistero che questo Patto tanto atteso a arrivato dopo lunghi e complessi negoziati, durati un giorno in più rispetto alla tabella di marcia, non sia quello che davvero ci si aspettava dal vertice di Glasgow. Ed è un problema, perché si può discutere di tutto, ma non del fatto che andando avanti di questo passo la specie umana potrebbe non riuscire più a sopravvivere sulla Terra. Vediamo insieme, punto per punto, quello che è stato deciso.

Aumento delle temperature sotto 1,5 gradi

Tutti i Paesi concordano sulla necessità di mantenere l'aumento della temperatura globale al di sotto di 1,5 gradi rispetto all'era preindustriale. Solo in questo modo si potrà pensare davvero di convivere con le conseguenze del cambiamento climatico. Dunque l'obiettivo è stato messo per iscritto anche nel documento finale, segnando un passo avanti rispetto agli Accordi di Parigi, dove si parlava di 2 gradi. Il punto è: come si pensa di raggiungerlo?

La questione della decarbonizzazione

Il carbone è la fonte fossile più inquinante di tutte e se vogliamo mantenere il riscaldamento globale entro limiti vivibili, dobbiamo trovare il modo di non esserne più dipendenti. Nel Patto di Glasgow compare per la prima volta il riferimento alla decarbonizzazione, ma rispetto alle prime bozze dell'accordo, il testo definitivo è al ribasso.

Viene fissato l'obiettivo minimo di decarbonizzazione dei Paesi al 2030: un taglio del 45% delle emissioni di CO2 rispetto al 2010. Si prevede di arrivare a quota zero emissioni nette intorno alla metà del secolo. Di nuovo, manca la scadenza al 2050 e Stati come l'India, la Cina e la Russia hanno già spostato il termine al 2060, se non al 2070.

Viene inoltre richiesto agli Stati di aggiornare i loro impegni di decarbonizzazione, i famosi Ndc (Nationally determined contributions), entro il 2022. Sempre per la prima volta compare il riferimento esplicito alle centrali a carbone e ai sussidi pubblici che ricevono. Ma, al contrario di quello che si sperava, non si chiede di eliminarle, bensì di "ridurle". Per questo cambio di terminologia si è battuta particolarmente l'India, sostenuta dalla Cina, che ha dichiarato, attraverso il suo ministro dell'Ambiente Bhupender Yadav: "Non è compito dell'Onu dare prescrizioni sulle fonti energetiche. I paesi in via di sviluppo come l'India vogliono avere la loro equa quota di carbon budget e vogliono continuare il loro uso responsabile dei combustibili fossili".

La finanza climatica

Quando si parla di finanza climatica vengono subito in mente le Borse, le Banche mondiali, termini incomprensibili e grafici che si riaggiornano costantemente. In realtà, in questo caso il risvolto è molto più pratico: i Paesi in via di sviluppo necessitano fondi dai Paesi più ricchi (cioè noi) per poter attuare la propria transizione ecologica, imparare a convivere con le conseguenze del cambiamento climatico e poter risolvere i danni già provocati dalla crisi ambientale. E hanno tutto il diritto di riceverli, dal momento che di quei danni è responsabile soprattutto la parte più industrializzata del mondo, ovvero quella che produce la maggior quantità di emissioni inquinanti.

Bene, anche questo è un tasto dolente ed è stato proprio uno dei punto sui quali si è discusso di più. Il documento di Glasgow sollecita i Paesi più ricchi a mantenere la promessa di 100 miliardi l'anno cui alimentare un fondo destinato ai Paesi in via di sviluppo, anche se non specifica le modalità con cui questi soldi verranno poi erogati. Sono anni, per la verità, che questo impegno viene ribadito e mai mantenuto. A fare resistenza in questo caso sono stati soprattutto Stati Uniti e Unione europea.

Le reazioni

Leader politici e delegati che hanno preso parte alla Cop26 si dicono soddisfatti dell'accordo raggiunto. O quanto meno ci provano. John Kerry, l'inviato americano per il clima, ha detto che "Glasgow è un programma che ci indica cosa dobbiamo fare. Credeteci o meno ma è la prima volta che si nomina il carbone. Siamo più vicini che mai a evitare il caos climatico. Questo è l'inizio di qualcosa. Abbiamo sempre saputo che Glasgow non non era il traguardo".

Alok Sharma, nonostante lo sconforto evidente, ha comunque ribadito come in Scozia si sia fatta la storia. E Boris Johnson, primo ministro britannico, ha aggiunto che l'accordo è "un grande passo avanti, anche se resta ancora un enorme lavoro da fare nei prossimi anni".

La lettura più onesta è forse quella di Antonio Guterres, segretario generale dell'Onu, che alla fine della Conferenza saluta il Patto come "un compromesso. Riflette gli interessi, le condizioni, le contraddizioni e lo stato della volontà politica nel mondo oggi".

Le critiche dei movimenti ambientalisti

La prima a reagire alle comunicazioni ufficiali è Greta Thunberg su Facebook: "La Cop26 è finita. Qui un breve riassunto: bla, bla, bla. Ma il vero lavoro prosegue fuori da queste stanze. E noi ci arrenderemo mai". Parlano di fallimento anche gli Extinction Rebellion, mentre diverse associazioni ancora devono esprimersi.

Nei prossimi giorni questi accordi andranno analizzati e capiti, ma intanto gli occhi sono già puntati su Sharm el-Sheikh, dove sarà ospitata la prossima Cop27.