Gli occhi di Olena raccontano la scelta impossibile delle madri ucraine con HIV: allattare i figli con il rischio di infettarli o affamarli?

La guerra portata dalla Russia in Ucraina ha distrutto ospedali e strutture sanitarie lasciando migliaia di madri affette da HIV senza farmaci antiretrovirali e latte in polvere. La scelta cui si trovano di fronte è impossibile: allattare e rischiare di infettare i bambini o farli morire di fame? Olena Stryzhak insieme alla sua organizzazione Positive Women da più di un anno lavora per aiutarle. E respingere i fantasmi della guerra.
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Kevin Ben Alì Zinati 9 Febbraio 2023
* ultima modifica il 09/02/2023
In collaborazione con Olena Stryzhak Direttrice di Positive Women Ukraine

Mentre parla, Olena sposta gli occhi verso un punto in alto e a sinistra. Qualcosa attira la sua attenzione lì una, due, tre volte ma dev’essere qualcosa di distante, separato, perché il suo sguardo va lontano.

Forse lo fa per proteggersi. Forse distogliere gli occhi dall’interlocutore dall’altra parte dello schermo del computer è il suo trucco per affrontare un argomento tosto che sa che le farà male.

Olena sta raccontando che le nuove statistiche sulla trasmissione dell’HIV nel suo Paese non sono affatto buone e per essere sicura che il messaggio superi indenne la differenza linguistica soppesa ogni sillaba.

Parla in modo controllato anche mentre sventola fogli stampati e inchiostrati di nero davanti alla videocamera. Parla sforzandosi di tenere in equilibrio due sentimenti che, è evidente, si danno battaglia come poli opposti di un magnete. “Oggi le nostre madri con HIV sono costrette a un bivio. Devono scegliere tra allattare i propri figli con il rischio di trasmettere l’infezione oppure farli morire di fame”. 

Rabbia e determinazione, le due forze che cerca di bilanciare Olena Stryzhak, presidente dell’organizzazione ucraina Positive Women, traboccano come un fiume dagli argini. C'è rabbia perché quella che descrive è la realtà che migliaia di donne affette da HIV sono obbligate a vivere oggi in Ucraina.

Rabbia

Da quando la Russia di Vladimir Putin ha iniziato la sanguinosa invasione, il loro mondo ha preso un’altra forma. Le orecchie rimbombano del fischiare dei missili e dei vetri che esplodono, i sistemi sanitari collassano, le strutture mediche trattano i pazienti mentre rattoppano le stanze sventrate dalle bombe.

La zona di Kharkiv, in Ucraina, è stata gravemente danneggiata dagli attacchi russi il 24 gennaio 2023 a Kharkiv. Photo credit: Spencer Platt/Getty Images.

La guerra è l’intruso nella vita di Olena e in quella del suo popolo, nelle vite delle madri ucraine con HIV che tutti i giorni, da oltre dodici mesi, si trovano di fronte alla “scelta impossibile”.

Prima delle esplosioni e dei carri armati, i programmi supportati dal governo ucraino e dal Global Fund, l’organizzazione internazionale impegnata nella lotta contro HIV, Tubercolosi e Malaria e supportata anche dall’Italia, funzionavano “armoniosamente” e oltre al sostegno sociale fornivano costanti approvvigionamenti di farmaci antiretrovirali e latte artificiale. Ora in molte zone dell’Ucraina l’accesso a tutti questi «beni» necessari non è più disponibile.

“Il latte artificiale è molto importante per l'alimentazione dei bambini ma ora scarseggia e molti processi di distribuzione sono stati interrotti racconta Olena. Nutrire i neonati in modo artificiale è un’alternativa essenziale per le neo-mamme che non allattano perché non possono a causa di patologie o terapie in corso, perché non vogliono (e ribadiamolo: non è né una vergogna né una colpa) o perché, come succede in Ucraina, i loro farmaci per l’HIV non arrivano più.

Olena Stryzhak guida Positive Women, l’unica rete ucraina in prima linea per le donne e le ragazze che vivono con l’HIV

“Le donne con HIV possono allattare solo se ogni giorno ricevono la terapia antiretrovirale e hanno la diagnosi della loro carica virale ogni mese. Quando vivono in luoghi bombardati e non hanno accesso alle cliniche mediche, non possono farlo regolarmente e l’allattamento al seno diventa molto pericoloso. Senza ART le madri non possono tenere a bada la propria infezione e senza controlli non possono sapere se saranno portatrici sane o se il virus dell’immunodeficienza umana che ospitano sguscerà nel corpo del loro bambino mentre è attaccato al loro seno.

Il latte artificiale è molto importante per l'alimentazione dei bambini ma ora scarseggia

Olena Stryzhak, direttrice Positive Women Ukraine

Eccola, la scelta impossibile. La scelta a cui alcune donne ucraine con HIV decidono di rispondere allattando lo stesso. Non c’è alternativa: hanno esaurito le scorte di latte in polvere e non possono lasciare il proprio bambino senza cibo, le malattie neonatali vanno a braccetto con la malnutrizione.

È un altro modo in cui la guerra attenta alla vita e si sa, non esiste una guerra che si può vincere: è una bugia a cui non crediamo più.

La guerra infetta tutto

I tristi riflessi di questa scelta rischiosissima sono cristallizzati nei fogli che Olena continua a tenere in mano. “Lo status dei neonati è noto solo dopo 18 mesi perché fino a quel momento hanno ancora gli anticorpi delle loro madri e per questo vengono registrati comunque come sieropositivi – dice, e mentre lo fa lancia ancora uno sguardo in quel punto in alto e a sinistra – Da quando abbiamo ottenuto i test PCR le cose sono cambiate. I bambini vengono ancora registrati come sieropositivi prima dell’anno e mezzo ma nel giro di 2-3 mesi possiamo sapere se hanno contratto l’HIV o meno. Secondo questi nuovi dati, però, oggi abbiamo l’1,5% di neonati sieropositivi, nel 2020 erano l’1,3%: la percentuale è in crescita e quest’anno credo aumenterà ancora”. 

Scegliere tra allattare i propri figli con il rischio di trasmettere l’infezione oppure farli morire di fame: è la "scelta impossibile" cui, secondo Olena, sono costrette le madri ucraini con HIV

Il Ministero della Salute era anche pronto a richiedere all’OMS la certificazione della fine della trasmissione del virus da madre a figlio. Sarebbe stata una prima vittoria, un piccolo giro di boa, ma quando l’invasione russa è iniziata e i numeri sono diventati quelli rivelati da Olena, il processo è stato interrotto. “Il ministro ha deciso di posticipare tutto di 2-3 anni, da quello che ho capito ora ha altre priorità e questa non è una buona notizia. È come guardare tutto il lavoro che abbiamo fatto svanire nella foschia”. 

Questa decisione non è solo un passo indietro per il suo Paese. Ha anche lo stesso odore e lo stesso colore di una sconfitta personale. “Nel 2000 ero incinta e mi è stata diagnosticata l’HIV. È stato allora che ho iniziato a battermi per raggiungere lo zero percento di trasmissione da madre a figlio nel mio paese. Ventitré anni fa non avevamo accesso agli antiretrovirali, dal 2003 il Global Fund ha iniziato a sostenere l'Ucraina e le cose hanno cominciato a cambiare per davvero. Nel 2001 la trasmissione da madre a figlio era di circa il 27,8% e nel 2021 ha raggiunto l’1,3%. Ora però la guerra sta cambiando tutto”. 

Lo scatto ritrae Natalia Hrabinska, 35 anni, mentre allatta sua figlia Stefaniya, nata in un seminterrato di un edificio residenziale utilizzato come rifugio antiaereo il 21 marzo 2022 a Kiev, in Ucraina. Photo credit: Anastasia Vlasova/Getty Images.

Olena fa una pausa dal suo racconto e guarda ancora una volta lì, in alto e a sinistra. Seguo il suo sguardo e finalmente è chiaro. Sta guardando l’orologio in alto a sinistra, appeso al muro della stanza da cui parla. “Abbiamo solo un’ora, poi ci staccheranno l’elettricità – ammette, cambiando posizione sulla sedia – È per questo che non ho risposto la prima volta che abbiamo provato a connetterci”. 

La guerra infetta tutto, anche il tempo delle interviste. La guerra complica tutto, anche la lotta contro l’HIV. Nel 2021 a livello globale sono stati registrati 650mila morti per AIDS, con oltre 1,5 milioni di nuovi casi ma l’aumento delle nuove infezioni e il numero continuo di decessi in varie zone del mondo starebbero indebolendo i nostri sforzi contro il virus.

Una delle ragioni, secondo UNAIDS, starebbe nel continuo dilagare delle disuguaglianze: quelle tra bambini e adulti e, ancora una volta, quelle di genere. «Nelle aree ad alto carico di HIV, le donne sottoposte a violenza da parte del partner hanno fino al 50% di probabilità in più di contrarre il virus. In 33 paesi dal 2015 al 2021 solo il 41% delle donne sposate tra i 15 e i 24 anni ha potuto prendere decisioni autonome sulla propria salute sessuale» si legge nell’ultimo rapporto intitolato Dangerous Inequalities.

Il report di UNAIDS racconta che le disparità dividono anche adulti e più piccoli nell’accesso alle terapie: poco più della metà dei bambini con HIV sono in terapia antiretrovirale contro oltre tre quarti degli adulti infetti. Questo ovviamente ha avuto conseguenze pesantissime: nel 2021 i bambini rappresentavano il 4% di tutte le persone con HIV ma addirittura il 15% di tutti i decessi legati all’AIDS.

Oggi abbiamo l’1,5% di neonati sieropositivi, nel 2020 erano l’1,3%: nel 2023 la percentuale crescerà ancora 

Olena Stryzhak, direttrice Positive Women Ukraine

Disuguaglianze che la guerra non cancella, anzi accentua. “In Ucraina la disuguaglianza di genere è un grosso problema – ammette con rammarico Olena – Soltanto nel 2019 abbiamo iniziato ad avere il 20% del nostro parlamento composto da donne, prima era il 12% e cambiavamo il nostro parlamento ogni 5 anni. La situazione del parlamento riflette un quadro più ampio. Questo tipo di disuguaglianza di genere significa disparità di retribuzione e quindi meno possibilità di accedere a trattamenti e cure”. Senza considerare che su oltre 250mila persone con HIV, circa il 45,5% sono donne.

Determinazione

Esaurita la rabbia, dalle parole di Olena viene fuori l’altro sentimento. La determinazione ora prende il sopravvento e la si nota da come intreccia le dita delle mani in un incastro elegante, dal suo viso serio diretto verso l’obiettivo della videocamera. Dai suoi occhi.

Con determinazione Olena racconta il lavoro di Positive Women, l’unica rete ucraina in prima linea per le donne e le ragazze che vivono con l’HIV. Racconta di come con solo 22 rappresentanti, la sua organizzazione copra tutte le 24 regioni ucraine e dello sforzo con cui ciascuno dei volontari offra supporto ad almeno 100 donne tutti i giorni.

La guerra ha cambiato pelle anche alla sua organizzazione. Da organizzazione di advocacy all’interno della rete di comunicazione per donne affette da HIV, oltre che per sex workers e tossicodipendenti, Positive Women si è presto trasformata in un hub umanitario per la raccolta di cibo, acqua, beni di prima necessità, energia sicura, power bank, generatori, vestiti termici per affrontare le rigide temperature invernali ucraine.

“Stiamo anche lavorando con il Centro di sanità pubblica per raccogliere informazioni da tutta la regione sul latte artificiale”. Una sorta di censimento delle donne con HIV per ottenere dati sui loro bisogni, sul numero di figli a carico e sulle quantità di latte artificiale di cui necessitano. “Se chiedi alle mamme di cosa hanno bisogno ti rispondono senza ombra di dubbio pannolini, cibo, acqua e latte artificiale. È uno dei bisogni fondamentali delle donne con bambini appena nati”. Stanno anche cercando i fondi per le scorte dei prossimi mesi: si parla di circa 10milioni di gravnia, poco meno di 300mila euro.

Niente paura

Questa è la realtà di Olena tutti i giorni: quando va al lavoro, quando con Positive Women gira da est a ovest l’Ucraina per sostenere altre donne con HIV, quando porta la sua vita e i suoi numeri davanti alla Conferenza internazionale sull’AIDS.

È la realtà che l’accompagna quando torna a casa dai suoi due figli. Mila, la più grande, quest’anno compirà 22 anni mentre Max è prossimo ai 14: entrambi sono nati sani e senza HIV ed entrambi, oggi, sono a conoscenza della diagnosi della loro mamma.

Positive Women è diventato un hub umanitario per la raccolta di cibo, acqua, energia sicura, power bank, vestiti termici e beni di prima necessità

“Pensavo sarebbe stato più difficile parlarne con mia figlia perché ero inesperta e non sapevo come dirglielo – ricorda Olena, questa volta ingarbugliandosi con le parole: sono due settimane che non parla inglese, dice scusandosi, la verità è che è emozionata – Quando le ho parlato della mia diagnosi di HIV aveva 8-9 anni e ha capito subito. È stato tutto molto facile. Lei era la ragione per cui ho iniziato il mio attivismo, quindi in qualche modo lo sentiva dentro di sé e non ne ha mai avuto paura”. 

Olena combatte per tutelare le donne ucraine affette da HIV dal 2000: da quando, già incinta, ha scoperto di aver contratto il virus

Né Mila né Max sono stati allattati al seno perché allora in Ucraina non c’era accesso agli ART. E poi perché prima di conquistare l’assistenza sociale, a quel tempo c’erano altre battaglie da affrontare. “Dovevamo superare lo stigma e la discriminazione. Abbiamo avuto momenti in cui le donne sieropositive erano separate in stanze diverse simili a prigioni”.

La situazione ora è migliorata. Oggi in Ucraina le persone possono parlare apertamente di HIV senza discriminazione da parte della famiglia o degli amici: la gente non ha più paura del virus. “Un alto livello di stigma e discriminazione tuttavia rimane ancora nel sistema sanitario, non nella società. A differenze dell’Europa dove le cose vanno in modo opposto. Non conosco molte persone di altri paesi, nemmeno nei paesi post Unione Sovietica, che possano parlare apertamente del loro stato di sieropositività con parenti e conoscenti. Quando è iniziata l'invasione russa, molte donne ucraine sono state evacuate in altri paesi e ce l'hanno confermato”.

Inoltre, lo scorso anno sono stati approvati nuovi protocolli di sanità pubblica in Ucraina e per la prima volta le donne con HIV sono state incluse tra le autrici: “Abbiamo iniziato a raccomandare l’importanza dell’allattamento al seno per le donne sieropositive. Ora è una scelta che le donne possono fare. Hanno questa opportunità, se lo volessero”. 

Olena dà ancora una volta un’occhiata all’orologio appeso al muro della stanza. Ora il suo sguardo è più cupo e cerca di nasconderlo dietro a un sorriso dolce e imbarazzato. Dice che mancano solo dieci minuti, poi la comunicazione verrà interrotta. “Non è colpa mia”.

La guerra vuole definire il nostro tempo, vuole tentare di dirci di cosa dobbiamo parlare e per quanto. Non ci sto, così le pongo un’ultima domanda prima che la nostra voce venga spenta.

Hai paura, ora, Olena?

“No”.

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