I rischi dietro al referendum per abolire la sperimentazione animale in Svizzera

Domenica 13 febbraio i cittadini svizzeri dovranno esprimersi sull’eventualità di vietare lo sviluppo e l’importazione di qualsiasi farmaco che sia stato testato anche sugli animali (e in realtà anche sull’uomo). La proposta è dunque quella di abolire completamente la sperimentazione animale. Sarebbe bello? Sì. È possibile? Purtroppo no, quanto meno oggi.
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Giulia Dallagiovanna 11 Febbraio 2022
* ultima modifica il 11/02/2022
Intervista al Dott. Giuliano Grignaschi Responsabile del Benessere Animale presso la Direzione servizi per la ricerca dell’Università degli Studi di Milano e Segretario generale di Research4Life, organizzazione di cui è partner l'Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri

Domenica in Svizzera si vota per un referendum che contiene 4 quesiti. Tra le limitazioni alle pubblicità del tabacco e l'eliminazione delle imposte di bollo, è stata inserita anche la proposta di abolizione della sperimentazione animale. Si chiede cioè di vietare lo sviluppo e l'importazione di qualsiasi farmaco che sia stato testato prima su modelli animali (e in realtà anche umani). Detta così sembra quasi la fotografia di un mondo ideale: nessun topo, coniglio o scimpanzè costretto a diventare parte di un esperimento. Il problema? Non è possibile. E, aggiungiamo, purtroppo. Come sottolinea la comunità scientifica e come ripete più volte anche il dottor Giuliano Grignaschi, responsabile del Benessere Animale presso la Direzione servizi per la ricerca dell’Università degli Studi di Milano e Segretario generale di Research4Life, organizzazione di cui è partner l'Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri. "A partire dal 1960, per legge, nessun farmaco può essere immesso sul mercato, se prima non è stato sperimentato anche su modelli animali", chiarisce.

L'antidolorifico che hai preso ieri per farti passare quel fastidioso mal di testa, l'antibiotico che il pediatra ha appena prescritto a tuo figlio, il chemioterapico che sta assumendo quel tuo parente a cui hanno diagnosticato un tumore. Ciascuno di questi prodotti non potrebbe essere utilizzato se non fosse stato testato prima su un animale. Un percorso seguito anche dai dispositivi biomedici, come pacemaker e valvole cardiache, e in ambito di sicurezza alimentare.

"Si possono utilizzare modelli animali solo a seguito di autorizzazioni specifiche rilasciate da un'autorità competente, che in Italia è il Ministero della Salute – prosegue Grignaschi – e una volta dimostrata l'assenza di metodi alternativi validi. Vengono applicati in tutti gli ambiti che hanno a che fare con la nostra salute, compresa la ricerca di base". Il riferimento è a tutta quell'attività sperimentale che viene svolta allo scopo di ampliare le conoscenze scientifiche, senza prevederne un'applicazione nel breve termine. "Se non avessimo avuto alle spalle vent'anni di ricerca di base sulla tecnologia a mRNA, oggi non potremmo vaccinarci contro il Covid".

Nell'iter dello sviluppo di un farmaco, il modello animale entra in gioco prima della cosiddetta fase 1 clinica, ovvero del trial su volontari sani, e dopo i test in vitro o in silico. Lo scopo è testare l'efficacia della molecola sintetizzata e verificare quale tipo di reazioni avverse possa provocare su un organismo più complesso delle cellule coltivate in laboratorio, per essere certi che abbia un buon profilo di sicurezza. "Alcuni effetti tossici si possono manifestare anche in seguito alla metabolizzazione nel nostro organismo e quindi non dipendere direttamente dalla molecola, ma da un metabolita che si forma dopo la somministrazione del farmaco". Superati i test sugli animali, si passa a quelli sull'uomo e poi alla richiesta di approvazione e di immissione in commercio.

Ad oggi, nessun farmaco può essere immesso sul mercato se prima non è stato testato su modelli animali

Il decreto legislativo n.26 del 2014, che recepisce una direttiva europea del 2010, regola "la protezione degli animali utilizzati a fini scientifici" e prevede che un ricercatore possa utilizzare modelli animali solo dopo aver presentato una richiesta formale all'autorità competente, la quale esaminerà la domanda attraverso organismi tecnico-scientifici (in Italia, l'Istituto superiore di sanità) e poi stabilirà se approvarla oppure no. Il via libera dipende dalla soddisfazione di diversi parametri: assenza di metodi alternativi altrettanto validi, impiego del minor numero possibile di animali, utilizzo delle migliori tecniche di anestestia, analgesia e cura dell'animale in generale. È il principio delle 3R (Reduction, Replacement, Refinement – riduzione, sostituzione e perfezionamento).

Alla base di tutta l'impalcatura, il rapporto costo-beneficio: il vantaggio portato alla comunità deve essere superiore al danno arrecato all'animale, in termini di sofferenza. È la ragione per cui a partire dal 2013 l'Unione europea ha vietato il test di prodotti cosmetici su modelli animali. "La possibilità che un cosmetico produca un effetto tossico è bassa e si tratterebbe comunque di una reazione avversa di lieve entità. Va aggiunto che, in linea di massima, potremmo anche evitare di utilizzare cosmetici. Per i farmaci il discorso è completamente diverso". Una precisazione: la normativa si riferisce esplicitamente a vertebrati non umani e a cefalopodi, molluschi marini particolarmente evoluti. Sono escluse invece tutte le altre specie di invertebrati, ad esempio i moscerini della frutta, in quanto non considerati esseri senzienti, in grado di provare dolore e di elaborare questa sensazione in piena consapevolezza.

In Europa l'attenzione verso questo tema c'è e sta aumentando. Lo scorso novembre il Parlamento ha dato il via libera alla creazione di un database pubblico che raccolga informazioni su modelli alternativi e le metta a disposizione di tutta la comunità scientifica. Ma va letto sempre in un'ottica di transazione: "L'opinione condivisa da chi si occupa di ricerca è che in futuro potremo ridurre sempre di più l'utilizzo di animali, grazie al progresso tecnologico, ma non arriveremo mai ad azzerarlo completamente. A meno che non decideremo di testare una molecola direttamente sull'essere umano, assumendoci tutti i rischi", conclude Grignaschi.

Un dibattito complesso, che chiama in causa l'etica, la morale, la scienza. Un dibattito che difficilmente può essere ridotto a un semplice "sì" o "no" a un quesito referendario.

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