Il cervello è “programmato” per imparare di più dalle persone che ci piacciono

Il cervello impara di più se l’insegnante è una persona di cui abbiamo stima e ci sta simpatico. Lo ha dimostrato un nuovo studio, che ha indagato le funzioni cerebrali e la relativa resistenza ad apprendere nuove conoscenze.
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Valentina Rorato 1 Marzo 2024
* ultima modifica il 01/03/2024

Per imparare non basta aver un bravo insegnante, è importante avere un insegnate che ci stia simpatico. Secondo uno studio condotto dall’Università di Lund, il nostro cervello è “programmato” per imparare di più dalle persone che ci piacciono – e meno da quelle che non ci piacciono.

La memoria svolge una funzione vitale, consentendoci di imparare da nuove esperienze e aggiornare le conoscenze esistenti. Impariamo sia dalle esperienze individuali sia dal collegarle per trarre nuove conclusioni sul mondo. In questo modo possiamo fare inferenze su cose di cui non necessariamente abbiamo esperienza diretta. Questa si chiama integrazione della memoria e rende l'apprendimento rapido e flessibile.

Per esaminare ciò che influenza la nostra capacità di apprendere e fare inferenze, la professoressa Inês Bramão, insieme ai colleghi Marius Boeltzig e Mikael Johansson, hanno fatto degli esperimenti in cui i partecipanti avevano il compito di ricordare e collegare diversi oggetti. Potrebbe essere una ciotola, una palla, un cucchiaio, delle forbici o altri oggetti di uso quotidiano. Si è scoperto che l'integrazione della memoria, cioè la capacità di ricordare e collegare le informazioni attraverso gli eventi di apprendimento, era influenzata da chi le presentava. Se si trattava di una persona che piaceva al partecipante, collegare le informazioni era più semplice rispetto a quando le informazioni provenivano da qualcuno che non piaceva al partecipante. I partecipanti hanno fornito definizioni individuali di "mi piace" e "non mi piace" basate su aspetti quali opinioni politiche, specializzazione, abitudini alimentari, sport preferiti, hobby e musica

I risultati possono essere applicati nella vita reale, secondo i ricercatori. Inês Bramão prende un ipotetico esempio dalla politica:  “Un partito politico sostiene l’aumento delle tasse a beneficio dell’assistenza sanitaria. Successivamente, visiti un centro sanitario e noti che sono stati apportati miglioramenti. Se simpatizzi con il partito che voleva migliorare l'assistenza sanitaria attraverso l'aumento delle tasse, probabilmente attribuirai i miglioramenti all'aumento delle tasse, anche se i miglioramenti potrebbero avere una causa completamente diversa”.

Comprendere le radici della polarizzazione, della resistenza alle nuove conoscenze e dei fenomeni correlati alle funzioni cerebrali di base offre una visione più profonda di questi comportamenti complessi, sostengono i ricercatori. Non si tratta quindi solo di filter bubble sui social media ma anche di un modo innato di assimilare le informazioni. “Particolarmente sorprendente è il fatto che integriamo le informazioni in modo diverso a seconda di chi dice qualcosa, anche quando l’informazione è completamente neutra. Nella vita reale, dove le informazioni spesso innescano reazioni più forti, questi effetti potrebbero essere ancora più evidenti”, conclude Mikael Johansson.

Fonte | “Ingroup sources enhance associative inference” pubblicato su Communications Psychologyil 15 febbraio 2024

Le informazioni fornite su www.ohga.it sono progettate per integrare, non sostituire, la relazione tra un paziente e il proprio medico.