Il greenwashing dei supermercati sul consumo di plastica: uno studio rivela la grande distanza tra parole e fatti

La maggior parte delle catene di supermercati in Europa predica bene e razzola male in merito alla riduzione del loro uso di plastica. Lo rivela uno studio, ‘Under wraps? Quello che i supermercati europei non ci dicono sulla plastica’, realizzato da un consorzio di ong che hanno preso in rassegna i comportamenti dei rivenditori in 13 Paesi (Italia assente). I risultati del rapporto sono tutt’altro che positivi.
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Michele Mastandrea 9 Giugno 2022

Se rimanessimo alle parole e alle dichiarazioni pubbliche, saremmo sempre più vicini a un mondo plastic-free. Non solo i singoli cittadini sono sempre più attenti alla salvaguardia dell'ambiente, ma sempre di più anche le grandi aziende si lanciano in proclami sulla riduzione presente e futura della plastica usata nelle loro attività produttive.

Tra queste aziende, soprattutto i supermercati della grande distribuzione organizzata partecipano a campagne, sottoscrivono patti, pubblicano strategie temporali di riduzione del proprio impatto ambientale. Ma la realtà, devi sapere, non sembra corrispondere alle prese di posizione pubbliche.

Il rapporto di Break free from Plastic

Quantomeno, è quello che afferma il rapportoUnder wraps? Quello che i supermercati europei non ci dicono sulla plastica’, realizzato dalle organizzazioni appartenenti alla coalizione Break Free from Plastic. Questa comprende tra gli altri anche la Changing Markets FoundationGreenpeace.

Lo studio è stato costruito sulle azioni di 130 rivenditori, operanti in 13 Paesi, tra cui non è compresa l'Italia. A questi rivenditori è stato sottoposto un questionario nel periodo che va tra il giugno e il dicembre 2021, a cui solo il 30% degli interpellati ha risposto in forma scritta. Altri dati sono stati recuperati dalle ong autrici dello studio attraverso altre tipologie di indagine. Tre le aree investigate: trasparenza e performance, impegni, supporto alle politiche governative.

La questione non è di poco conto, dato che i supermercati europei hanno un giro d'affari annuale di circa 2.400 miliardi di euro e più del 40% della plastica utilizzata in Europa è relativa agli imballaggi. L'ormai acclarato impatto delle microplastiche sulla salute degli ecosistemi non permette di rimandare azioni decise in tal senso. Ma i risultati dello studio sono tutt'altro che positivi: "Alcune delle più grandi catene di vendita al dettaglio in Europa stanno solo facendo chiacchiere, mentre dietro le quinte provano a ritardare l'azione e a distrarre consumatori e politici sul loro ruolo nella crisi della plastica", si legge nella presentazione del rapporto.

Il punteggio medio, su 100 punti massimi ottenibili per ogni azienda in base alla qualità dei suoi comportamenti, è stato uno sconfortante 13. Le migliori performance sono quelle della catena tedesca Aldi in Gran Bretagna e in Irlanda. La maggioranza delle aziende non ha fornito però nemmeno i dati più basilari, come la quantità di plastica utilizzata annualmente per gli imballaggi, oppure le modalità di misurazione dei propri obiettivi ecologici.

Poca attenzione al riuso

Inoltre, invece che ad attuare cambiamenti sistemici, sostenendo le riforme necessarie per affrontare il problema, i rivenditori avrebbero concentrato i loro sforzi su singoli impegni, volontari e parziali. Le aziende "si stanno concentrando sulla riciclabilità come strategia principale per affrontare la crisi della plastica, invece di dare la priorità ai sistemi di prevenzione e riutilizzo dei rifiuti", prosegue il rapporto.

Insomma, si punta troppo poco al riuso, secondo lo studio: "Solo pochissime aziende compiono seri sforzi per ridurre i loro imballaggi in plastica e altri imballaggi monouso, muovendosi verso modelli di business più rispettosi dell'ambiente, caratterizzati principalmente da sistemi di riutilizzo". I dati raccolti parlano di un tasso di riuso degli imballaggi inferiore, in media, al 40%.

Doppi standard e azioni necessarie

Molti rivenditori inoltre, secondo lo studio, agiscono con standard differenti a seconda dei contesti statali in cui operano. Facendo percepire, più che una volontà reale di riduzione del consumo di plastica, la voglia di modellare i propri comportamenti in base alla permissività della legge locale.

Spesso anzi si oppongono ad alcune politiche che permetterebbero di aumentare fortemente il riuso degli imballaggi e dei contenitori in plastica, come i Sistemi di Deposito Cauzionale. E nei casi peggiori, come quello dell'azienda inglese Tesco, citato nello studio, anche quando installano cassonetti per raccogliere le bottiglie usate, ne affidano poi la gestione "a società che esportano rifiuti in paesi terzi come la Turchia, dove vengono spesso bruciati illegalmente".

Nelle sue conclusioni, lo studio si rivolge alle aziende, a cui chiede di elevare gli standard di trasparenza e di produrre roadmap per la riduzione del consumo di plastica. Ma soprattutto, si appella alle autorità di governo dei singoli Paesi. A cui chiede innanzitutto di imporre obiettivi vincolanti per la riduzione della plastica, ma anche innovazioni legislative. Ad esempio, l'introduzione della rendicontazione aziendale obbligatoria sul consumo di plastica, così come l'obbligo di varare Sistemi di Deposito Cauzionale per tutti i contenitori di plastica. Affinché la transizione verso la sostenibilità non rischi di essere più simile a greenwashing piuttosto che a un processo concreto di trasformazione.